Venezia 70 - Un Festival meno cosmopolita ma audace e in grado di osare

Edizione dal livello medio alto, priva di film dalla statura clamorosa in grado di modificare la storia del cinema, ma capace di rischiare e indicare un paio di linee guida per il futuro...

Critico e giornalista cinematografico


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Se dovessimo dare una temibile etichetta a questa edizione 2013 della Mostra di Venezia, sarebbe inevitabilmente quella di “festival dei documentari” e probabilmente i telegiornali non avranno mancato di farlo. Moltissimi in tutte le sezioni del festival, alcuni molto belli (altri logicamente meno), due in concorso (non era mai capitato prima), uno ha anche vinto.

L’edizione 70 ha ratificato e legittimato qualcosa che è già vero da tempo, il documentario negli ultimi 10 anni ha cambiato la propria ragione, le proprie motivazioni e il proprio linguaggio, in tutto il mondo. Da genere compilativo è diventato un modo di fare film intenso e potente, finalizzato a rappresentare storie dai caratteri talmente eccezionali da poter gareggiare con quelle di finzione oppure capace di usare l’arma più potente del cinema, lo sguardo, per rappresentare fatti o luoghi noti in maniere inedite (L’ignoto blu profondo di Herzog è uno degli esempi più clamorosi per come immagina pianeti alieni usando immagini della Terra). In questo mutamento l’Italia, specie negli ultimissimi anni, ha giocato il suo ruolo (Costanza Quatriglio, Pietro Marcello e il duo D’Anolfi e Parenti sono solo alcuni esempi) e vista la difficoltà nel produrre e fare cinema nel nostro paese, il documentario è diventata una realtà dinamica e vivace.

Dunque il Leone d’Oro a Sacro GRA fotografa l’esistente: la scena documentaristica è uno dei fenomeni più interessanti al mondo e l’Italia gioca il suo ruolo. Pensare di poter prevedere cosa questo premio cambierà nella percezione generale e nelle disponibilità produttive e distributive sarebbe eccessivo, di fatto però ora possiamo guardare retrospettivamente agli anni che hanno portato a questo trionfo con la giusta prospettiva.

Per il resto questa seconda edizione Barbera non si è distaccata dalla precedente (di un livello molto medio), non ha presentato capolavori disarmanti nè tonfi allucinanti ma ha saputo vivere su una media alta.

Stray Dogs, Philomena, The Wind Rises, The zero theorem, Via Castellana Bandiera, Tom à la ferme (che peccato non averlo premiato in nessuna maniera, sarebbe stato un riconoscimento a qualcuno che fa davvero qualcosa di diverso dal solito) ma in fondo anche Miss Violence e Joe sono alcuni dei titoli più interessanti del concorso, film capaci di stupire (chi più e chi meno ovviamente) e introdurre qualcosa di scardinante nelle teste degli spettatori. Fuori dal concorso e nelle altre sezioni, tra quelli che abbiamo visto, sono spiccati Gravity, Heimat 4, Still Life, La mia classe, Locke e L’arbitro, tutte opere che hanno saputo stupire o anche solo regalare ottimo cinema, cioè ciò che è richiesto ad un festival.

Occorre a questo punto ricordare che l’ultimo festival di Cannes (non ci si fa illusioni, è palesemente il festival più forte, importante e imperdibile del mondo) a fronte di alcuni capolavori di disarmante bellezza e determinante importanza nella storia del cinema che viviamo (Inside Llewyn Davis, La vie d’Adele, The Past e La grande bellezza) aveva qualche altro buon film ma un livello medio non esaltante e di contro la Berlinale, per il secondo anno di seguito, era un festival quasi privo di film buoni.

Insomma, considerato sempre che un festival si fa con i film che ci sono e che è possibile attirare (l’unico rimpianto di Barbera, si sa, è stato 12 years a slave di Steve McQueen) quest’edizione di Venezia pare un successo.

I dati ufficiali diffusi dalla Biennale parlano di 20% in più di biglietti venduti rispetto all’anno scorso e 6% in più rispetto a due anni fa, dato che solo in un certo senso è in contrasto con l’evidenza (chi era presente si è accorto che i frequentatori erano visibilmente meno, le file nettamente più corte, le sale nettamente più vuote di due anni fa) e con le proteste di ristoratori e albergatori (tuttavia anche il sottoscritto ha frequentato decisamente meno luoghi di ristorazione).

Ognuno ha la propria lettura ma a noi è sembrato un festival meno cosmopolita degli altri anni, meno ossessionato dall’avere film da tutto il mondo ma più radicato su frontiere nuove e capace di osare in più d’un caso. Aver messo in concorso due documentari è stata una mossa tanto audace quanto quella di aver riconosciuto la grandezza di un film popolarissimo e molto canonico come Philomena.

 

Ecco la redazione festivaliera di Badtaste.it! #venezia70 #veneziabt

Posted by Badtaste on Tuesday, August 27, 2013
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