I film italiani che vengono prodotti sono troppi: se ne faranno meno. I produttori spiegano come, quali e perché

Vengono prodotti troppi film italiani, le principali case di produzione intendono ridurre e hanno un'idea su quali film continuare a fare

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

La produzione di film italiani ha raggiunto livelli eccessivi, quindi quelli prodotti saranno meno anche perché i distributori e le tv investono meno, e hanno anche deciso quali produrre

“A novembre sperimenteremo un horror italiano, Home Education. Pensiamo che si debba trovare una piccola parte del budget che ci possa permettere di sperimentare su nuovi talenti e nuovi ambiti. L’horror ha avuto un momento d’oro nell’industria italiana e poi è stato dimenticato. Credo si possano trovare nuove potenzialità”.

Lo ha detto Alessandro Araimo, Executive Vice President & General Manager South Europe di Warner Bros. Discovery, in uno dei momenti più interessanti del panel Italian Cinema: A Brighter Tomorrow? tenuto al Mercato Internazionale dell’Audiovisivo e moderato da Vito Sinopoli di Box Office. L’intento era quello di discutere questioni in questo momento importanti per l’industria italiana con un buon numero di rappresentanti della produzione e della distribuzione. L’horror, nelle parole di molti produttori, è un filone che vale la pena esplorare, per quanto ci abbiano tenuto a precisare che si tratta di tentativi con piccoli budget e che la commedia (o per meglio dire il suo ritorno) sembri il trend più redditizio.

Nel complesso, come già si dice da qualche anno, tutti hanno concordato che si realizzano troppi film, non tutti realmente pensati per la sala, solo mandati in sala qualche giorno per ragioni più economiche che di valorizzazione della filiera. La situazione l’ha riassunta bene Piera Detassis, Presidente dell’Accademia David di Donatello.

“Siamo a un punto di non ritorno comunicativo. C’è un’implosione: escono film di cui non sappiamo nulla. Sono troppi per essere assorbiti dal mercato. Il cinema medio, come la commedia indistinta ma anche i film d’autore o d’esordio, non trova spazio perché non è proprio possibile comunicarlo. Questo non solo porta all’implosione ma proprio a un disvalore del prodotto cinematografico”.

Anche per questo e soprattutto vista la contrazione negli investimenti delle piattaforme (che pre-acquistando i film per lo sfruttamento successivo al cinema di fatto li finanziano) tutti hanno concordato che ridurranno l’impegno produttivo: meno film e possibilmente finanziati meglio. In primis lo ha detto Rai Cinema attraverso il suo CEO Paolo Del Brocco. E la cosa è importante perché Rai Cinema, alle volte con un grande sforzo altre volte con piccoli contributi, è presente su quasi tutti i titoli italiani.

“La sala non assorbe più i film che assorbiva prima, i film medio piccoli d’autore avevano una distribuzione, uscivano e avevano un loro pubblico anche se piccolo. Questo non accade più, e la vendita del diritto pay [intende lo sfruttamento successivo alla sala, quindi anche lo SVOD ndr] non c’è più. Questo leva una gamba importante del business plan e poi fa sì che a un certo tipo questi film non siano proprio più visibili. Noi ridurremo i volumi per concentrarci sul far crescere alcuni giovani e soprattutto ci concentreremo su film eventizzabili [si intende quelli che possono essere percepiti come dei grandi eventi da non perdere ndr]. Ci muoveremo con coerenza rispetto a un’industria che non ha davanti a sé 2-3 anni facili, visto che le piattaforme non stanno investendo come prima. Non rinunciamo alla missione di sviluppare e scovare talenti, ma è anche vero che i giovani registi che fanno un primo film osannato dalla critica e poi per il loro secondo da che avevano un milione e mezzo di budget passano a 6, 7 o anche 8 milioni non li si fa crescere bene e la cosa porta il sistema al collasso”.

Non è stato specificato chi fosse il giovane regista a cui faceva riferimento Paolo Del Brocco ma quando è stato il turno di Massimiliano Orfei, CEO di Vision (che ha distribuito Enea, costosa opera seconda di Pietro Castellitto) è sembrato volesse rispondergli sostenendo come nessuno si sostenti con la sola sala cinematografica.

“È chiaro che il pensiero di costruzione di un progetto cinematografico non può prescindere dall’analisi di quanto possa poi funzionare in sala, è la base su cui deve fondarsi ogni ragionamento, Il problema è che salvo rare eccezioni non esiste un progetto cinematografico italiano che, anche quando va bene, trovi nello sfruttamento in sala il proprio break even [quando il guadagno supera i costi e si genera un profitto ndr]. Per questo credo che i prodotti pensati per la sala debbano anche essere pensati per lo sfruttamento in streaming, cioè devono funzionare in tutti i momenti, anche perché le piattaforme e le televisioni sono i committenti di riferimento se il finanziamento di un film avviene attraverso i loro investimenti. Rai Cinema del resto ha RAI dietro, Medusa ha Mediaset e noi abbiamo SKY. Quello che abbiamo notato è che prima il valore di un film era determinato dall’incasso in sala, in base a quello era venduto agli sfruttamenti successivi, ora però molti film che faticano in sala vanno bene in streaming o on demand e altri film che vanno molto bene in sala faticano in streaming o on demand. Trovare una soluzione non è semplice ma penso occorra riconnettere quanto più possibile questi pubblici. Si può fare ma non in poco tempo, intanto dobbiamo resistere e non avere paura di investire per svecchiare il parco talenti”.

Lo stesso in un intervento successivo Del Brocco ha voluto ribadire quanto detto.

“La produzione di Rai Cinema è per più della metà fatta di opere prime e seconde. Ma penso sia un problema che il tax credit faccia sì che in tanti produttori possano produrre di più. Perché poi non si trovano altrettanti grandi registi e quindi si finisce a fare tutte opere prime o seconde, senza una grande selezione, e vengono fuori film mediamente modesti. Bisogna cercarlo il talento e bisogna seguirlo e svilupparlo. Certo se però prendiamo uno che ha avuto un po’ di successo di critica e all’opera seconda o terza gli diamo i milioni lo facciamo solo sbattere a 100 all’ora contro un muro. Noi non parteciperemo a film economicamente insensati rispetto al risultato appena raggiunto da un regista giovane”. 

A chi teme che la contrazione di investimenti delle piattaforme internazionali possa essere un inizio di ritiro dall’Italia qualora non ci fossero ritorni adeguati ha risposto Araimo.

“In generale tutte le piattaforme saranno più selettive ma non smetteranno di investire su contenuti locali di mercati importanti come i principali europei, perché è l’unica maniera per incidere in quei mercati su cui vogliono stare. Nel caso dell’italia ci sarà un processo di razionalizzazione. L’ho visto con HBO MAX (ora solo MAX) in Spagna, è stata ribadita complessivamente l’importanza della produzione locale ma deve essere razionalizzata: avremo investimenti con ambizioni importanti e internazionali, poi avremo una serie di produzioni con un focus più locale e poi un altro livello di dimensioni medie più contenute, che ha l’obiettivo principale di creare consumo, mentre i due livelli prima citati hanno l’obiettivo di generare abbonati. È un tipo di segmentazione che mi aspetto di vedere applicata a tutte le piattaforme. E anche in Italia in futuro faremo lo stesso, quando avremo una piattaforma”.

Continua a leggere su BadTaste