The Visit: Shyamalan ha rischiato la sua casa per realizzare il film

The Visit dimostra che la carriera di Shyamalan è fatta sì di cadute e ritorni, ma soprattutto di un'inesauribile voglia di fare cinema

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Si ama molto narrare la storia artistica di Shyamalan come una di quelle fatte di alti e bassi, sconfitte e ritorni. Una carriera al top, un graduale declino, infine la svolta con The Visit, il film che l’ha riportato nei binari quando tutto sembrava ormai finito per lui, tutte le porte di Hollywood chiuse dopo importanti flop. Oggi, con il suo ultimo film Bussano alla porta, si celebra un regista che senza più trovare consenso unanime riesce però ad essere sempre determinante. Da un po’ di anni ogni suo film viene accolto con attenzione e trepidazione, quasi quanto quella tributata ai grandi blockbuster. 

Proviamo a raccontare la stessa storia da un’altra prospettiva, come farebbe Shyamalan stesso con i suoi twist. La carriera del regista indiano è fatta sì di cadute e riprese, ma è espressione soprattutto dell’ostinazione a fare cinema. Sempre e comunque. Anche quando sarebbe più comodo smettere. Quando il rischio è troppo e ci si gioca tutto. La voglia di esprimersi per immagini ed emozioni è troppo forte. Un bisogno fisico, nella natura irrazionale dei filmmaker.

Fu proprio The Visit a mettere le cose in questa prospettiva; la sua assurda storia produttiva e quello che ha comportato questo semi found footage portato in sala quasi nell’anonimato, nascondendo l’autore, e sperando nel successo. 

5 milioni di fiducia in se stessi

Dopo il sonoro flop di L’ultimo dominatore dell’acqua e il disastro di After Earth Shyamalan era diventato una barzelletta per il pubblico e l’uomo nero per i produttori. Affidargli un film grosso era un’opzione che non esisteva. E per quelli piccoli, perché pensare a lui?

Qui la storia si sarebbe potuta fermare. Con un bel gruzzoletto da parte, qualche consulenza, qualche comparsata qua e là il nostro avrebbe potuto planare fino alla pensione. Invece la voglia di cinema porta a rischiare il tutto e per tutto, anche la casa.

Aveva scritto una sceneggiatura intitolata Sundowning per un piccolo film. Due bambini in vacanza a casa dei nonni materni che non hanno mai conosciuto. Giornate piacevoli, a parte qualche stranezza dovuta all’età. Bizzarrie che iniziano ad acuirsi, di notte in notte, in maniera sempre più spaventosa.

Per girare quello che poi diventerà The Visit Shyamalan fece un’ipoteca sulla casa di 5 milioni finanziandolo alla cieca. Come andava andava. Il film ci sarebbe stato, il resto era tutto da costruire. Sapeva che, finite le riprese, avrebbe dovuto essere un gran bravo a convincere qualcuno a credere nel film.

Era sul set senza uno studio partner, senza produzione (al di fuori della sua) ma soprattutto con zero garanzie di distribuzione. Se nessuno avesse acquistato e portato in sala il film, Shyamalan sarebbe rimasto con l’investimento trasformato in un film che solo lui avrebbe visto. 

Cosa deve diventare The Visit?

I film si fanno in studio di montaggio. The Visit ancora di più. Così Shyamalan racconta il suo dilemma in fase di composizione del film. Cosa doveva accentuare per poterlo rendere vendibile?

Ci ho messo molto tempo a montare The Visit. Più di quanto pensassi. Il primo montaggio era un film art-house a pieno titolo. Poi ho spinto sulla commedia, aveva tutte queste sfumature comiche, poi mi son detto “sai cosa? Fermiamolo come un thriller”. Quando sono arrivato alla conclusione che la colonna vertebrale del film era veramente un thriller spaventoso che diventa un film dell’orrore, allora ho saputo dire quali delle altre parti, le cose artistiche, quelle umoristiche, potevano rimanere a servizio del film. 

Questa versione attirò l’attenzione di Jason Blum che lo adottò con la sua Blumhouse insieme alla Universal. Sperimentarono una strategia marketing molto accorta, allegando il trailer alle copie di Unfriended e lavorando su un immaginario di regole molto simile a quello di The Village.

Il The Visit che arrivò al cinema è tutt’altro che un film perfetto ma è un gran film di genere. Ha tutto quello che serviva per ripartire. Un’idea forte, una metafora con cui tutti si possono identificare (l’invecchiamento come un periodo di stranezze che fanno paura) e il colpo di scena finale.

Soprattutto: è realizzato da un regista che era in cima a Hollywood e che ha dovuto assumersi i rischi e le procedure di un esordiente al suo primo lungometraggio indipendente.

Riprendersi alla grande

The Visit arrivò a meta incassando 65 milioni di dollari in patria e 33 nel resto del mondo. Sfiorò i 100 milioni di incasso su un budget 20 volte minore di questa cifra. Numeri che furono più forti di due (e più) flop. La casa era salva e insieme a lei la possibilità di fare film. Seguirono Split, con 278 milioni di dollari su un budget di 9 milioni, Glass con 247 milioni per un budget di 20 milioni e Old che ne incassò 89 su 18 milioni di budget.

Questa sequenza di titoli arrivati in positivo era impensabile prima di The Visit. Una scommessa al tutto e per tutto rischiosissima. A questo rischio pare che Shyamalan si sia affezionato. È il fattore che l’ha allontanato dall’asettico meccanismo industriale dei blockbuster costringendolo (autocostringendosi) a fare solo film sentiti al cento per cento. Quale miglior modo perché questo accada se non tornare ogni volta alle modalità produttive di The Visit?

Così Shyamalan figura sempre come produttore nei suoi film, investe in prima persona, si assume i rischi (c’è da dire anche che tende sempre a contenerli con strategie argute), e soprattutto ha la libertà di fare quello che vuole.

Nel caso di Split” ha detto intervistato nel 2019 “se avessi fatto la presentazione del film sarei andato nello studio system a dire ‘questo è il film parla di una ragazza rapita’. La presentazione sarebbe finita lì”. 

Fare film è un rischio che qualcuno non può fare a meno di correre. Alle volte questo si tramuta anche in ispirazione. 

Fonte: Slashfilm

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