The Hater è tanto bello quanto inquietante
Su Netflix è appena arrivato un thriller polacco sulla macchina del fango social, ed è agghiacciante
L’ultima volta che da queste parti abbiamo parlato di un film polacco distribuito da Netflix e spinto dalla piattaforma in tutti i modi possibili non è andata benissimo.
Dagli Oscar a Netflix
Dietro The Hater c’è la coppia composta dal regista Jan Komasa e dallo sceneggiatore Mateusz Pacewicz: magari i loro nomi non vi dicono nulla, ma quest’anno il loro Corpus Christi era nella cinquina finale dell’Oscar per Miglior film straniero, dov’è stato battuto dall’imbattibile Parasite. E Komasa si era già fatto notare con Suicide Room, un film che già nel 2011 parlava di bullismo online, omofobia e della confusione tra vita reale ed esistenza digitale che è uno dei tratti distintivi delle c.d. “nuove generazioni”, quelle nate e cresciute in un mondo post-MySpace, per intenderci.
Questa scelta tematica porta con sé una serie di conseguenze a cascata sul linguaggio usato e sui riferimenti stilistici scelti da Komasa, oltre che sulla pura e semplice narrazione. O detta in modo più semplice, Suicide Room era un dramma privato, The Hater è prima di tutto un thriller politico che guarda al David Fincher di The Social Network ma anche a quello di Millennium, e solo in second’ordine la tragica storia della nascita di un mostro che potrebbe essere uscita da un Grande Romanzo Russo dove alla fine la colpa è di tutti e non esistono innocenti.
La Bestia [Polish version]
La storia di The Hater nasce piccola, tutta concentrata su un tizio con la faccia da cattivo di James Bond che si chiama Tomasz e che studia legge a Varsavia. Quest’ultimo dettaglio dura nel film il tempo di una scena: il film si apre con Tomasz che viene espulso dall’università perché beccato a plagiare un’opera altrui, e prosegue senza mai staccare gli occhi da questo tizio un po’ timido e insicuro ma socialmente inserito (a differenza del protagonista di Suicide Room), un furbastro con la passione per le bugie e i segreti e una fissa clamorosa per Gabi, la figlia di una coppia di ricchi liberal radical chic tutti vernissage e feste di gala in grosse sale da ballo, che, si scopre altrettanto presto, stanno finanziando gli studi di Tomasz per ragioni che capirete guardando il film (cosa che dovreste fare).
Tomasz, ovviamente, mente alla coppia benefattrice riguardo ai suoi studi, perché non vuole precludersi la possibilità di riuscire forse magari alla fine a sedurre la bella Gabi, la quale dal canto suo è interessata a poche cose che non siano la droga e ballare. The Hater si apre quindi come una sorta di versione polacca di Parasite, con uno scontro di classe gigantesco e i trucchetti e i sotterfugi che la persona presunta “inferiore” deve inventarsi per restare nelle grazie dei suoi altrettanto presunti “superiori” – i quali, si scoprirà, hanno altrettante magagne e lati oscuri. Ne viene fuori un ritratto sociale nerissimo e senza troppe speranze, nel quale i ricchi progressisti schifano neanche tanto segretamente i poveri e sono più interessati alle installazioni di arte moderna che ai problemi di un campagnolo che sta studiando grazie ai loro soldi, e i poveri, be’...
I poveri, nello specifico il povero Tomasz, smettono molto rapidamente di essere poveri, perché The Hater decide quasi subito di spostare il terreno dello scontro di classe dai salotti bene a Internet. Il nostro protagonista, uno dei più clamorosi casi di attore inespressivo ad arte che si siano mai incontrati in questo millennio, si mette a lavorare per un’agenzia di PR che organizza campagne online di ogni tipo – in superficie quelle più sane e vendibili, promozione di influencer, comunicazione politica, e dietro le quinte quelle più zozze: campagne d’odio, macchina del fango, scandali costruiti ad arte, fake news propagandate da bot comprati da qualche farm indiana... in altre parole Tomasz finisce a lavorare per La Bestia, ed è qui che The Hater si fa davvero interessante e diventa un editoriale, tranciante e senza troppa speranza, su come funziona la comunicazione oggi.
FAKE NEWS!1!!!
The Hater è un film sulle fake news, e soprattutto su come chi le fabbrica e le diffonde sappia alla perfezione quello che sta facendo, manipolando volutamente la realtà e la verità non in nome di una qualche agenda più o meno estremista, ma del puro e semplice profitto. C’è di mezzo una campagna elettorale per l’elezione a sindaco di Varsavia, e il nome nuovo è quello di Paweł Rudnicki, progressista, omosessuale, amante del multiculturalismo e dell’accoglienza. E il film diventa quindi il racconto della sua parabola politica, visto dal punto di vista di un tizio (Tomasz, ovviamente) che lavora attivamente per sabotarlo e che per farlo arriva a infiltrarsi come attivista nella sua campagna e a diventare uno dei suoi punti di riferimento.
Tutto il film si muove così su un doppio binario.
Da un lato c’è la parte più marcatamente thriller, fatta di spionaggio e controspionaggio, di doppi e tripli giochi, e con il passare del tempo anche di pericolo, violenza e morte; è l’anima più massimalista e contemporanea di The Hater, che sbatte sullo schermo tutto il peggio della propaganda online nel 2020, dagli hashtag costruiti dal nulla per far crollare il profilo social di un’influencer alla radicalizzazione ultranazionalista di certi soggetti particolarmente fragili e influenzabili. È anche la parte dove Komasa prende più scorciatoie e non si fa problemi a esagerare, per cui The Hater riesce nella non facile impresa di essere allo stesso tempo molto realistico ed estremamente cartoonesco, e di concederesi anche più di un paio di momenti di pura fighetteria registica.
Dall’altro c’è il prosieguo del discorso più privato e psicologico cominciato con Suicide Room, con la differenza che il film del 2011 raccontava le esperienze di una vittima, mentre The Hater è la storia di come nasce un carnefice: Tomasz è un mostro ed è costruito con grande attenzione a certi dettagli che fanno impazzire i c.d. redpillati (tanto per fare un esempio scemo, più il ragazzo acquista fiducia in sé più il cappotto che indossa si allunga e assomiglia a un indumento uscito da Matrix), ed è quasi costantemente in scena, seguito ossessivamente da Komasa in qualsiasi cosa faccia, compreso spiare altra gente mentre è seduto sul cesso a fare la cacca in una sorta di corto circuito di voyeurismo. Il film non lo condanna, anzi, quantomeno non esplicitamente, e c’è anche il rischio che Tomasz possa sembrare un antieroe, un Arthur Fleck del web, e non il pericoloso sociopatico che è davvero.
Rischio scongiurato nel momento in cui ci si rende conto che il film di Komasa non condanna nessuno non perché voglia lanciare un messaggio, ma perché non salva nessuno, non giudica nessuno, non prende alcuna posizione: racconta una storia e lascia l’interpretazione e il verdetto a chi guarda. Altrettanto importante è la considerazione che The Hater non parte da un punto di vista neutro ma dal presupposto che non c’è alcuna bellezza né alcuna innocenza in quello che sta per andare a raccontare; se proprio volete che abbia una morale, un punto di vista, è questo: fa tutto schifo, ora ve lo dimostro, decidete voi chi fa meno schifo di chi.
Ci sarebbe poi anche un inquietantissimo parallelo da raccontare tra quello che succede nel film e, proviamo a dirlo senza spoilerare nulla, un brutto fatto di cronaca avvenuto nel 2019 proprio in Polonia (se volete sapere di cosa parliamo andate qui), una coincidenza che convinse la produzione a rimandare l’uscita del film a tempi migliori – nello specifico il 6 marzo 2020, pochi giorni prima dell’inizio ufficiale dell’attuale apocalisse. Questo per dire che The Hater è un film che ha avuto una distribuzione sfigatissima, ma è anche un film scritto e diretto da due abbastanza svegli da rendersi conto che il terreno è ormai fertilissimo perché certi discorsi, un certo modo di fare propaganda, l’uso della bugia come strumento politico e come esca per attirare certe fasce di popolazione che sono fragili, isolate e con la sensazione di non avere più nulla da perdere, smettano di essere elucubrazioni teoriche nascoste negli editoriali di certi giornali e siti progressisti e comincino a diventare una triste e sempre più frequente realtà.