The Expendables, dieci anni fa arrivavano gli Avengers dell’action

Il film di e con Sylvester Stallone fu, per chi ama le botte e le esplosioni, come un sogno che diventava realtà

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The Expendables, dieci anni fa uscirono gli Avengers dell’action | Lo speciale

Nella primavera di otto anni fa un intero fandom, cresciuto con i fumetti targati Marvel e nel mito degli Avengers in quanto supergruppo che riunisce alcuni degli eroi più amati in un’unica entità dedita alla salvezza del pianeta, vide la luce grazie a Joss Whedon e al suo The Avengers, un kolossal che riuniva nello stesso film Iron Man, Hulk, Thor, Captain America e tutto il resto della banda unita contro una minaccia cosmica.

Tanti auguri a te tanti auguri a te...

Due anni prima un altro fandom, quello cresciuto con Rambo, Cobra e Terminator, vedeva realizzarsi davanti ai propri occhi un sogno molto simile: l’uscita al cinema di un film che riuniva nella stessa squadra (quasi) tutti i grandi nomi dell’action anni Ottanta e Novanta, una sorta di Avengers delle esplosioni due anni prima dell’uscita di quello dei supereroi. Oggi The Expendables compie dieci anni, e a distanza di tutto questo tempo e nell’ottica di quanto venuto dopo ci chiediamo ancora se ne valesse davvero la pena – e ci rispondiamo di sì, ovviamente, ma con qualche riserva.

The Expendables nasce per un motivo molto semplice: Sylvester Stallone voleva a tutti i costi fare un film corale nel quale invitare tutti i suoi muscolosissimi sodali dell’action, da Jean-Claude Van Damme ad Arnold Schwarzenegger a Bruce Willis, da Dolph Lundgren a Mickey Rourke, fino alle nuove leve rappresentate da Jason Statham. L’idea era semplicissima, o meglio: non esisteva un’idea, c’era solo da parte di Sly la volontà di trovare una storia che potesse accomodare questa collezione di personalità ingombranti e le riunisse in un unico dream team. Sylvester Gardenzio andò dunque in cerca dello script giusto e lo trovò nel cassetto di David Callaham, sceneggiatore che si era fatto un (pessimo) nome con il film su DOOM e che nel 2005 aveva scritto un film intitolato Barrow, la non meglio specificata storia di un gruppo di mercenari impegnati in una missione pericolosa.

The Expendables

Alla fiera dell'action per due soldi un Bruce Willis Stallone comprò

Usando come base la sceneggiatura di Barrow, Stallone aggiunse abbastanza dettagli da poter presentare la sua versione della storia a uno studio senza venire respinto, poi si mise al lavoro sulla vera impresa produttiva di The Expendables, cioè il casting. Il film come l’aveva riscritto Sly era effettivamente di una semplicità disarmante: gli Expendables sono un gruppo di mercenari (appunto) che vengono ingaggiati dalla CIA per eliminare un dittatore fantoccio sudamericano e l’agente ribelle statunitense che lo controlla e lo sfrutta per arricchirsi grazie al traffico di droga. Una storia tutto sommato lineare che, nelle intenzioni del suo autore, avrebbe guadagnato spessore e tridimensionalità grazie ai suoi personaggi: e in effetti il vero fascino (e l’appetibilità commerciale) di The Expendables sta da sempre nel suo cast, nell’idea di vedere nella stessa inquadratura una serie di facce che gli amanti dell’action avevano imparato ad associare ad altrettanti personaggi e ad altrettante saghe cinematografiche di successo, per la prima volta tutte riuniti in un unico film.

Per mesi prima dell’inizio delle riprese, seguire le vicende il casting di The Expendables fu come seguire una versione più testosteronica del calciomercato estivo. Non tanto per i nomi che Sly riuscì ad assicurarsi senza problemi – Dolph Ludgren, al suo primo film da sala dopo 15 anni di direct-to-video, Jet Li, Mickey Rourke, Jason Statham, più Willis e Schwarzy per due piccoli cameo –, quanto per quelli che sarebbero potuti essere e che non furono: Steven Seagal (che disse no perché aveva già avuto brutte esperienze con il produttore Avi Lerner), Bob De Niro, Al Pacino, Ben Kingsley, Ray Liotta, Wesley Snipes (che però non aveva modo di lasciare gli Stati Uniti a causa di quel problemino con le tasse), Jean-Claude Van Damme (che rifiutò perché secondo lui il suo personaggio non aveva un arco narrativo efficace)... È un po’ il problema di quando ti poni obiettivi ambiziosissimi (“Voglio fare un film con tutte le star dell’action dell’ultimo mezzo secolo!”) e poi ti rendi conto che hai a disposizione solo due ore di film nelle quali strizzare tutti senza scontentare nessuno: una volta selezionato il tuo team sono più i nomi rimasti fuori che quelli che sei effettivamente riuscito a coinvolgere.

The Expendables

Uno, nessuno, cento Sly

Al netto di tutte le dolorose assenze, The Expendables arrivò comunque in sala con un cast di tutto rispetto, arricchito da una serie di nomi in quota “appassionato del genere” (Randy Couture, Steve Austin) e da un paio di caratteristi di stralusso tipo Eric Roberts nei panni del cattivissimo. E ottenne anche il successo che Sly si aspettava: debutto al numero 1 negli Stati Uniti, 280 milioni di dollari di incassi totali a fronte di un budget di 80, e il terreno preparato per gli inevitabili sequel. Quello che non ottenne, invece, è l’acclamazione incondizionata della critica, prontissima a puntare il dito su una trama inconsistente e un po’ banale, sui dialoghi non sempre taglienti come ci si aspetta da un best of dell’action anni Ottanta, e addirittura sull’effetto distraente che fa vedere così tanti miti della nostra infanzia riuniti nella stessa inquadratura. In sostanza, The Expendables seguì la parabola del 90% dei grandi capolavori del ventennio d’oro dell’azione: grandi aspettative, grandi incassi, recensioni mediocri accompagnate da odiose dichiarazioni tipo “il vero cinema è altrove”.

Perché allora, nonostante tutto, il film di Stallone non è ancora (e non sarà mai, con ogni probabilità) considerato un Vero Classico all’altezza dei modelli a cui si ispira? Qui ci sarebbe da aprire un tavolo di discussione, perché ciascuno ha un’interpretazione diversa del motivo per cui The Expendables è un buon film ma non il capolavoro che poteva essere. L’indiziata numero uno è la sceneggiatura, ovviamente, che è paradossalmente troppo intricata per il bene del film; non che sia difficile da seguire, ma è ripiena di elementi tutto sommato superflui (uno fra tutti il personaggio di Sandra, la figlia del dittatore cattivo) che rallentano la narrazione e la punteggiano di sequenze evitabili che distraggono dal vero motivo per cui si sta guardando il film (cioè bicipiti ed esplosioni). L’indiziata numero due è la CGI, che non raggiunge ancora i livelli invadenti di The Expendables 2 e 3 ma che qui e là fa capolino e macchia alcune sequenze che, se fossimo stati davvero negli anni Ottanta, sarebbero state girate nel modo più tradizionale possibile.

Ego vs ego

Ma c’è anche un motivo più filosofico dietro al fatto che The Expendables è un buon film ma non la Bibbia che sarebbe dovuta essere: il punto è che l’idea stessa del dream team di eroi action anni Ottanta era destinata in qualche modo a fallire in partenza. Sly, Willis, Schwarzy Lundgren, Rourke... stiamo parlando di personalità gigantesche dentro e fuori dallo schermo, e di attori che hanno fatto fortuna grazie a personaggi che da soli riempiono tutto il film in cui si trovano. Nessuno degli Expendables ha mai in carriera avuto bisogno di lavorare in compagnia per fare successo, è una questione di saturazione: Stallone è il genere di attore che ti riempie (anche metaforicamente) un’inquadratura con la sua sola presenza, e lo stesso si può dire di tutti i suoi compagni, e strizzarli in una storia che li coinvolga tutti fa molto poco “dream team” e molto “galli in un pollaio”. The Expendables è anche una lotta di ego, e il suo vero difetto è che in ogni scena si percepisce, invisibile, sullo sfondo, lontano dagli occhi, la presenza di uno stuolo di legali con il cronometro in mano che calcolano esattamente quanto screen time abbia il proprio assistito, e litigano per ogni frazione di secondo rubacchiata.

I due capitoli successivi del franchise non faranno altro che ribadire quanto abbiamo detto finora sul primo: aumentano i nomi importanti e con essi aumenta l’attenzione a farli stare tutti in scena per il tempo richiesto dai loro contratti, aumentano le esplosioni e in parallelo aumenta l’uso e abuso della CGI, aumenta la posta in gioco per i protagonisti, solo gli incassi non aumentano, non abbastanza quantomeno da giustificare un quarto film (che però pare, notizia di un mese fa, che possa tornare in lavorazione). L’impressione è che, anche se il franchise dovesse andare avanti, ormai gli manchi il cuore, esaurito tra un’esplosione e un cameo nel corso dell’ora e quaranta di quel primo capitolo che, dieci anni dopo e nonostante tutti i difetti, ci teniamo ancora stretto come se fosse davvero “gli Avengers dell’action”.

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