Storia della televisione: Six Feet Under
L'attimo della morte come slancio verso la vita che rimane: questo è Six Feet Under, uno dei grandi capolavori della storia della televisione
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La morte è la curva della strada/morire è solo non essere visto.
Vita e morte come concetti complementari, che si richiamano costantemente l'un l'altro, che culminano l'uno nell'altro, generando una massa informe che i più chiamano esistenza. Senza retorica, senza abbellimenti, senza forzature che dovrebbero sottolineare il valore meraviglioso e senza macchia della pura vita. Semplicemente perché non è così: la vita è anche dolore, meschinità, rimpianti, paure. E sono anche questi elementi a darle valore, perché il contrario della sofferenza in questo caso non è la gioia, ma la non esistenza. Una volta oltrepassata la curva citata nel nostro verso, la macchina della morte lascia una scia di vita, ricordi, esperienze. Che ci faranno sorridere e piangere, arrabbiare e odiare, ma che diventano parte della costante trasformazione di ogni individuo in un se stesso più coerente e ricco. L'attimo della morte come slancio verso la vita che rimane.
Lontanissimo da lacrime facili e chiusure edificanti, Six Feet Under fa spesso ricorso allo humour nerissimo, al grottesco, alla dissacrazione della morte. Un tono che si impone stilisticamente su tutta la storia e sui personaggi. A volte andando oltre il crudo realismo, come nel caso delle ripetute apparizioni, nel corso delle stagioni, del "fantasma" del padre di Nathaniel a David. Ma più spesso concedendosi delle deviazioni rispetto all'atteso corso delle storie e dei rapporti: come nel caso dell'omosessualità nascosta di David e della sua storia con il poliziotto Keith (Mathes St. Patrick), o della tormentata storia d'amore tra Nate e Brenda (Rachel Griffiths), o delle seconde occasioni di Ruth. L'attesa non è nulla, il presente, questo attimo, è tutto: come dirà Brenda a un certo punto, "The future is just a fucking concept that we use to avoid being alive today".
Dove gran parte della narrazione, seriale e non, lavora nel tenere sulle spine lo spettatore, sulla tensione e i colpi di scena, Six Feet Under si limita a raccontare eventi e personaggi. Tranne alcuni stralci di storyline accennati sopra, la scrittura rinuncia all'incedere furioso del narratore che deve aggrovigliare eventi e spettatori. Perché, anche qui, la vita ha una sua bellezza impura e sporca, fastidiosa e viscerale, che le permette di sbocciare da sé nella considerazione di chi la osserva. Per questi motivi, uniti ad una scrittura impeccabile, personaggi indimenticabili, caratterizzazioni ottime, uno stile personale, una maturità che le permette di trattare tematiche così alte in modi stratificati e mai banali, Six Feet Under (la profondità a cui vengono seppelliti i corpi) è un grande viaggio.
E il tema del viaggio ricorre infine nei minuti conclusivi dell'opera, indimenticabili. L'ignoto è parte dell'esistenza, è il panorama oscuro alla fine della notte, ma, prima di arrivarci, dovremo camminare, guidare lontano. La curva della strada si avvicina, e una macchina non può far altro che andare verso di essa. Ma può concedersi deviazioni lungo la strada, piccoli momenti personali, piccole affermazioni di sé, mentre intorno altri viaggi finiscono. Una vita lunga un attimo, un attimo lungo una vita, in quello che è il miglior finale della storia della televisione.