Steven Spielberg svela come è arrivato a dirigere Lo squalo
Steven Spielberg racconta come ha scoperto il libro da cui avrebbe realizzato Lo Squalo e come questo gli ricordasse il suo primo film.
Lo squalo (1975) ha lanciato la carriera di Steven Spielberg a Hollywood. Da allora, tra Indiana Jones, E.T. e Jurassic Park (solo per citare tre tra decine di capolavori), il regista ha segnato il nostro cinema come pochi altri.
Ricordo che stavo lavorando alla post-produzione del mio primo film per il cinema Sugarland Express, e di aver visto la bozza di un libro chiamato Lo squalo. Era molto tempo prima che il titolo entrasse a far parte della coscienza collettiva - era solo una parola - SQUALO. Ho chiesto se potessi leggere il libro, senza sapere ancora che parlasse di un grande squalo bianco, un predatore delle spiagge di una cittadina chiamata Amity. Non avevo idea che sarebbe diventato uno dei più grandi best-seller della nazione.
Ho subito pensato: "Wow, questo è come il film per la televisione che ho fatto su un furgone e un autista disgraziato, chiamato Duel". E ovviamente, visto che ero giovane e stupido mi sono detto: "Duel... ha quattro lettere e Jaws (titolo originale del film Lo squalo ndr) ha quattro lettere... e parlano entrambi di questi leviatani che predano persone innocenti". Ho visto questo paragone tra i due e ho pensato a Lo squalo come a un sequel di Duel, solo in acqua.
Il progetto però era già stato affidato a un altro regista, il quale si era già incontrato anche con l'autore del libro, Peter Benchley. Ma Spielberg riuscì a incontrare i produttori per raccontargli la propria idea. Alla fine i due decisero di affidargli il lavoro.
Mi fecero sedere e mi annunciarono: "Vogliamo che tu diriga Lo squalo." Io dissi: "Cosa è successo all'altro regista?" E loro mi spiegarono: "Abbiamo avuto una riunione con lui, ma lui continuava a riferirsi allo squalo di fronte a Peter Benchley come alla "grande balena bianca". E Peter si è disinteressato parecchio dall'avere il suo squalo chiamato balena". E così il progetto, infine, è arrivato a me.
E noi possiamo concludere con un grande: per fortuna!
FONTE: Vanity Fair