Steve Jobs si dimette da CEO di Apple: un commento

Ieri sera Steve Jobs ha annunciato di essersi dimesso dal ruolo di amministratore delegato di Apple. Ecco il nostro commento...

Critico e giornalista cinematografico


Condividi

Tre anni fa, parlando con Jim Capobianco (ex-Disney, story supervisor alla Pixar e all’epoca autore del primo esperimento 2D dell’azienda, il corto Il tuo amico topo, incluso nel Blu-Ray di Ratatouille), gli chiesi quanto Steve Jobs (che della Pixar è coproprietario fin da Toy Story, quando lo avevano cacciato dalla Apple e lui decise di investire nel talento che vedeva in John Lasseter) entrasse nei lavori dello studio:

Abbastanza. Viene sempre alle riunioni, è il padrone ma è sufficientemente intelligente da delegare le decisioni a chi sa essere più esperto e dotato di lui nel campo. Ogni tanto vuole vedere gli avanzamenti, degli spezzoni o piccole scene. Quando può dà anche suggerimenti, che se sono buoni vengono ascoltati.

Incredulo chiesi, senza fronzoli e con il tono poco educato di chi non ammette risposte di circostanza perchè deve sapere, quanto spesso questi suggerimenti fossero effettivamente materiale buono che poi viene integrato, e Capobianco inspirando con rassegnazione disse: “Molto spesso”.

Che ci sia aria di leggenda e di santificazione in vita per l’ormai ex-CEO di Apple è evidente, come è evidente che non si tratti di un semplice capitano di industria abile nel suo lavoro, un fondatore e risollevatore di compagnie.

Steve Jobs non è un programmatore nato, uno con il pallino dell’ingegneria, quello era Bill Gates (il rovescio della sua medaglia da sempre, che ha mollato le redini anche prima di lui). Jobs è un maverick, uno che agisce controcorrente per il puro spirito di farlo, perchè è l’unica maniera per fare cose audaci e che si è dato all’informatica perchè negli anni ‘70 era evidente come il sole a chiunque fosse minimamente interessato alle novità del pianeta, che l’ingresso della tecnologia nelle vite delle persone era la più grande storia di cui si potesse essere parte negli anni a venire, l’unico possibile futuro ambito di innovazione di pensiero.

Negli anni 2000 la casa della Mela, che ha ormai dismesso il nome originale Apple Computers Inc. per diventare solo Apple (i computer sono un business come altri, ora), è passata dallo status di outsider, prodotto di nicchia per innovatori che avevano il coraggio di pensare diversamente (il Think different di una fortunatissima campagna pubblicitaria), a pensiero mainstream e quindi asciugato e svilito, in tutte le sue componenti. Oggi tutti ripetono parole e concetti di Jobs sbagliandoli, rimasticandoli, adattandoli a sè e umiliandoli senza pietà, quando solo dieci anni fa Apple, e quindi il Jobs-pensiero, erano lontani anni luce da quel che si comprava e quel che si pensava della tecnologia, erano gli anni Microsoft. Quando negli anni ‘80 mise su una squadra segreta all’interno di Apple stessa per sviluppare il Macintosh (il primo personal computer di successo) disse ai dipendenti: “Non siete la marina, siete i pirati”. Facevano cose audaci, distruggevano il sistema vigente, portavano novità.

Ora il buon lavoro di Steve e il conseguente successo l’hanno resa qualcos’altro, Apple ora è lo standard in molti settori, il padrone e non più il ribelle. E contestualmente Jobs lascia. Lascia per motivi di salute abbastanza evidenti anche solo a vedere lo stato fisico del povero tycoon (reduce da un tumore al pancreas e al trapianto di fegato), ma come in un grande film l’atto non poteva avvenire in un momento più simbolico: l’era di Apple come vera innovatrice è finita perchè per definizione chi è al comando non può innovare, non può sovvertire quel che si è costruito e si comanda.

Apple diventa una compagnia come le altre. Una buona compagnia probabilmente, come buone sono le Volkswagen e come intelligente era la Sony degli anni ‘70-’80, ma innovatrice non più. E del resto forse non lo è più da qualche anno. Al comando c’è Tim Cook, un serio professionista che viene dal mondo dell’assemblaggio delle componenti, che ha lavorato in IBM prima di arrivare alla corte di Jobs dove si è fatto strada a a furia di ottimizzazione della catena produttiva e abbatimento costi. Non un presidente da guerra ma uno da consolidamento.

La musica restituita ad un senso commerciale dopo un’ubriacatura folle di pirateria, l’internet mobile che finalmente trova senso (prima tecnologico e poi umano) con l’iPhone a circa 5-6 anni dal suo ingresso nei comuni dispositivi, l’era dei notebook che volge al termine sostituita dai tablet e la mancata rivoluzione dell’internet televisivo con l’Apple TV. La storia della tecnologia che entra nella nostra vita, amplifica sensi e possibilità, diffonde nuovi modi di pensare. Roba da innovatori che la casa di Cupertino non può più fare e che ora tocca a qualcun altro. Forse è meglio che Jobs si sia ritirato.

Continua a leggere su BadTaste