Storia della televisione: The Pacific
Nel 2010, dopo il capolavoro Band of Brothers, la HBO, Steven Spielberg e Tom Hanks tornano alla II Guerra Mondiale: risultato è il bellissimo The Pacific
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Dicembre del 1941. L'attacco a Pearl Harbor estende a un livello ancora più globale la dimensione del conflitto. Gli Stati Uniti entrano in guerra contro le forze dell'Asse. Le parole rivolte alla I divisione marine nel primo episodio risuonano come una presentazione di ciò che verrà narrato: la fortezza Europa non interessa, i nazisti non sono importanti qui. Lo scopo degli Stati Uniti è quello di strappare isola dopo isola punti di appoggio ai giapponesi ormai alle porte dell'Australia. La serie segue le tappe salienti, perché più tragiche o perché più strategicamente importanti, dello scontro accumulando alle spalle annate intere e battaglie, momenti determinanti in cui risaltano luoghi come Guadalcanal, Pelielu, Iwo Jima.
In ogni momento, e questo purtroppo ne limita l'apprezzamento, The Pacific vive all'ombra dell'illustre predecessore. E lo fa in modo non troppo diverso da come, almeno nella percezione comune, il fronte del Pacifico viene messo in secondo piano rispetto a quello Europeo quando si parla di Seconda Guerra Mondiale. Forse perché meno sentito, forse perché più lontano. La scrittura, su tutti quella di Bruce McKenna, procede allora ribaltando la prospettiva "esotica" che un'ambientazione di questo tipo potrebbe suggerire, prosciugando colore e meraviglia da ogni spazio, riducendo il tutto a polveroso e dannatamente concreto contenitore di morte. Le fa eco una fotografia che, sulla scia di Band of Brothers e, ancora prima, Salvate il soldato Ryan, lavora su colori desaturati suggerendo una visione "d'epoca".
E sarà emblematica, da un punto di vista narrativo e tematico, la conclusione della terrificante parentesi della battaglia di Pelialu, che occupa tutta la parte centrale della miniserie. Sapremo infatti solo alla fine che, nonostante tutti gli sforzi e i sacrifici per la conquista, il generale MacArthur non utilizzò mai quell'isola come avamposto strategico: la follia di una "battaglia dimenticata" all'interno di una follia più grande. La stessa idea di dover assaltare in continuazione nuove isole, facendosi strada uno sbarco dopo l'altro, senza potersi guardare indietro, mette a dura prova l'animo dei protagonisti, che sono sempre il centro di tutto. L'esperienza umana al di sopra delle motivazioni belliche o delle strategie, di atti eroici o vergognosi (che pure ci sono in entrambe le forme), di quell'immobilismo e vita quasi da trincea in questo All'ovest niente di nuovo ambientato dall'altra parte del mondo.
Nel 2006 Clint Eastwood con il dittico Flags of Our Fathers e Letters from Iwo Jima ribaltava con semplicità la più classica prospettiva su un conflitto – che poi diventava esempio per qualunque conflitto – raccontandoci entrambi i punti di vista. The Pacific non si spinge fino a qui, ma è facile vedere che, piuttosto che sulle disuguaglianze nel conflitto tra nemici, si punta sul senso di aggregazione tra simili che partecipano ad una tragedia collettiva e ne condividono le ferite, da una parte e dall'altra. Tutti i percorsi, gli epiloghi tragici, verranno interrotti brutalmente dall'annuncio dello sgancio della bomba atomica, lasciando i sopravvissuti a convivere con i propri fantasmi in un episodio finale in cui l'unica vittoria palpabile consiste nell'essere tornati a casa.
La serie è basata sui testi "With the Old Breed: At Peleliu and Okinawa" e "China Marine" di Eugene Sledge, su "Helmet For My Pillow" di Robert Leckie e su "Red Blood, Black Sand" di Chuck Tatum. Per la sua realizzazione è stato quasi raddoppiato il budget di Band of Brothers, per circa 200 milioni di dollari, una cifra che la rende la più costosa miniserie di sempre.