Storia della televisione: Rubicon
Recensione e commento a Rubicon, il thriller cospirativo della AMC
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Ciò che rimane sul palco sono piccole tracce di una delle sfide più difficili lanciate allo spettatore occasionale negli ultimi anni. Un percorso in tredici puntate che programmaticamente si rifiuta di giocare con gli schemi narrativi ordinari, in cui la rivelazione è un premio da guadagnare, dove un setting ingiallito e deprimente è lo specchio delle solitudini che si muovono negli ambienti. E tutto è lento, troppo lento. Una cospirazione internazionale, omicidi, spionaggio, codici da decifrare: nessuna di queste parole chiave della vicenda prepara il terreno a ciò che sta per avvenire, o non avvenire.
Questo il nucleo centrale di Rubicon, attorno al quale gravitano una serie di situazioni più o meno legate. Per la vedova Katherine Rhumor (Miranda Richardson) c'è la ricerca, forse vana, di un senso nel suicidio del marito Tom, che si è ucciso dopo aver ricevuto un quadrifoglio nascosto nel giornale. C'è Ed Bancroft (Roger Rubinson), un ex analista di codici la cui mente è stata consumata dal troppo lavoro. E poi ci sono i colleghi del protagonista all'API: Maggie Young (Jessica Collins), l'assistente di Will, invaghita di lui, Tanya MacGaffin (Lauren Hodges), con qualche problema personale, Miles Fiedler (Dallas Roberts), uscito da poco da un divorzio, Grant Test (Christopher Evan Welch), irascibile, tra i più grandi del gruppo. Ai piani più alti si muovono, spesso nell'ombra, Kale Ingram (Arliss Howard), supervisore di Will, e Truxton Spangler (Michael Cristofer), capo dell'API.
Rubicon fa di tutto per celare la sua ambientazione contemporanea. Sappiamo, a partire dalla stessa citazione dell'11 settembre, che la storia si svolge al giorno d'oggi, ma ad un livello più inconscio questo non viene mai avvertito. Spariscono i computer, spariscono le tecnologie, rimane il senso di spaesamento di chi spesso, in conclusione di episodio, si smarrirà nel cercare conferme di intercettazioni nel proprio appartamento, non troppo diversamente da come appariva il personaggio di Gene Hackman nel finale di La Conversazione di Francis Ford Coppola. Il senso di soffocamento, percepito ancora di più data la lentezza della storia, diventa anche il nostro. In un'intervista il creatore Henry Bromell avrebbe rivelato come la serie sia stata quasi interamente girata in un palazzo: pochi esterni, zero azione, tanti silenzi.
E in tutto questo una cospirazione che non è il motore costante della storia. Capita che un episodio emblematico, il quarto, The Outsider, abbandoni l'indagine principale per focalizzarsi sul gruppo alle prese con una decisione difficile. E capita che un'altra puntata (The First Day of School) si apra e chiuda sulla stessa inquadratura, la vetrata di un palazzo, riletta alla luce di ciò che abbiamo visto. Come tutti gli omaggi, anche Rubicon gioca su stilemi e svolte più o meno noti perché ripresi più volte. Il titolo, come si diceva, richiama il fiume attraversato in armi da Cesare, e quindi il punto di non ritorno, il gesto oltre il quale tutto è destinato a mutare. Il suicidio di Catone, che vedeva vicina la fine della Repubblica, diventa anche il gesto violento di Tom Rhumor. Per scoprire quale fiume sia stato attraversato in questo caso dovremo invece attendere a lungo, e non tutti i pezzi del mosaico alla fine – ma nemmeno durante la visione – ci appariranno chiari. La cancellazione anticipata del primo progetto originale di AMC dopo Mad Men e Breaking Bad lascia spazio ad amarezza e confusione. Eppure...
Eppure c'è qualcosa, nell'incompiutezza di quest'opera, che la rende forse ancora più sospesa, forse ancora migliore. Esattamente come nei Tre giorni del condor, quella che viene raccontata è una certa fase, quella della ricerca, quella delle mille incertezze, della cospirazione da portare a galla, e del finale che ci lascia la libertà di immaginare il futuro. Quando la posta in gioco si fa così alta, è difficile non portare avanti una trama spionistica senza mutare il genere della serie in fantapolitica (che poi non è tanto diverso da ciò che ha fatto Homeland). Dopo aver ideato lo show con Jason Horwitch, che poi avrebbe lasciato per divergenze creative, Bromell ha tratto il meglio da ciò che aveva. Rubicon è lento, difficile, frustrante, ma è anche uno di quei casi in cui la tv ha cercato di imporsi oltre lo spettro dei rating, cercando di uscire dal complesso di inferiorità che per tempo l'ha ingabbiata.