Storia della televisione: Angels in America
Angels in America: la miniserie capolavoro della HBO diretta da Mike Nichols sulla diffusione dell'AIDS negli anni '80
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La splendida intro, sulle note di Thomas Newman, ci trasporta a volo d'angelo lungo alcune delle più riconoscibili costruzioni degli States: il Golden Gate Bridge di San Francisco, il Gateway Arch di St. Louis, la Sears Tower di Chicago, l'Empire State Building di New York fino a concludersi proprio a Central Park. Qui infine si scende in picchiata fino a stringere sul volto dell'angelo della Bethesda Fountain, che si anima e ci guarda. Fin da principio, Angels in America è quindi un viaggio ideale che abbraccia da costa a costa gli Stati Uniti, raccogliendo contraddizioni, problematiche, tensioni nascoste. L'AIDS è il punto di partenza, il motore della storia, ma la miniserie non è solo questo, non è un semplice racconto di denuncia come può esserlo il recente The Normal Heart. È qualcosa dalla portata più universale, filtrata attraverso le storie di un gruppo di personaggi per caso o per destino legati tra loro.
Angels in America è innanzitutto un'opera televisiva incredibilmente stratificata, che sovrappone più toni, che scommette perennemente se stessa, che sorprende ad ogni svolta, difficile da decifrare e da inquadrare. Il sottotitolo dell'opera teatrale originale, a sua volta ispirato a quello di uno spettacolo di George Bernard Shaw, è "Fantasia gay su temi nazionali", mentre le due parti in cui è divisa la miniserie si intitolano Millennium Approaches e Perestroika: è un buon punto di partenza. Essenzialmente la visione di Kushner/Nichols è surreale, assurda, quasi impossibile da equilibrare con il senso del dramma che una vicenda del genere dovrebbe trasmettere. La scommessa vinta è quindi quella di riuscire a conciliare non soltanto uno stile così personale – fatto di sogni ad occhi aperti, allucinazioni condivise, manifestazioni angeliche, visioni incomprensibili – con la trattazione di un tema così delicato come quello dell'AIDS, ma anche con uno sguardo all'America che era negli anni '80, quella reaganiana in cui la storia è ambientata, che è negli anni '90, quando viene scritta l'opera, e che è ancora nel 2003, quando la HBO trasmette la miniserie. I temi sono universali, eterni, fortissimi, e i personaggi quasi ne sono travolti, diventandone l'emblema e la rappresentazione concreta.
Come il personaggio di Ben Shenkman, che sostiene l'anima più razionale e puntualmente sconfessata del discorso. Sarà lui ad affermare, di fronte a Belize, che "non ci sono angeli in America, c'è solo la politica". Ma non sono soltanto gli angeli ad essere andati via (anzi, loro sono rimasti): sono la religione e le istituzioni in generale ad aver fallito. Nel decennio della presidenza Reagan il sentimento di abbandono di una vasta fetta sociale diventa la condizione di sconfitta dell'intera società americana, che si vede colpita là dove era più forte: nei suoi valori di patria, libertà e religione civile. I protagonisti sono mormoni, ebrei, cattolici e tutti loro, sistematicamente, falliscono nel tentativo di ottenere risposte e aiuto dalle istituzioni (qualcuno a un certo punto ribatterà: "i cattolici credono nel perdono, gli ebrei credono nella colpa"). È la fine del Novecento, Dio ha abbandonato l'umanità – ci viene detto pure il giorno, il 18 aprile 1906 – ed è tempo che la sua creatura impari a cavarsela da sola. Perché, come ci viene detto in conclusione, il tempo continua a correre, non aspetta, e non ha senso lottare per frenarlo.
Lo scomparso Robert Altman cercò di raccontare tutto questo per vari mesi negli anni '90, ma dovette rinunciare. Fu comunque il primo a suggerire Al Pacino. Lo stesso Kushner tentò di condensare il film in tre ore, ma non ci riuscì finché, quando ormai il millennio tanto atteso era giunto, fu la HBO a garantire la libertà creativa necessaria alla trasposizione dell'opera. E Angels in America, anche grazie alla mano di Mike Nichols (Il laureato) è davvero un'opera carica di creatività. Lo è nella sua fusione di stili, come detto, che spaziano dal dramma sentito, ma nemmeno per un secondo ricattatorio, all'ironia e all'esagerazione più sfrenata, come nelle erezioni del protagonista che si accompagnano alle apparizioni angeliche. Ma in questa storia di redenzione, sesso, affermazione della libertà c'è anche spazio per finezze più nascoste, come i moltissimi riferimenti all'opera cinematografica di Jean Cocteau nelle sequenze oniriche che omaggiano i suoi Orfeo e La bella e la bestia.
Il New York Times lo definì come "la più grandiosa trasposizione di un'opera teatrale americana dai tempi di Un tram che si chiama desiderio di Elia Kazan". Angels in America è, più banalmente, un'opera straordinaria, ricchissima, che ha moltissimo da offrire e che va riscoperta.