Speciale - Hotline Miami - Scrutare l'abisso
Un viaggio nella violenza più estrema, firmato da uno dei team indipendenti più talentuosi degli ultimi anni...
Hotline Miami nasce per essere l’equivalente videoludico di Drive, il film di Nicholas Winding Refn, ma è finito per diventare altro, uno dei titoli più interessanti (nel senso più ampio e del termine) degli ultimi anni, fra i più colti e audaci, in grado di riflettere davvero sulla violenza attraverso le immagini.
Chiaramente retro nell’impostazione, Hotline Miami è caratterizzato da colori tendenti al fluo, sparatissimi e spesso la saturazione delle scene è alterata, modificando la grafica in accordo con una colonna sonora che mischia il meglio (o il peggio) della musica elettronica anni '80, con ritmi martellanti e ossessivi. L’effetto di alterazione mentale, misto a psichedelia è perfetto e si muove in armonia con le azioni immotivate di un protagonista muto, senza volto e privo della benché minima caratterizzazione. I riferimenti ai primi episodi di GTA sono evidenti, ma, in maniera più sottile, Hotline Miami fa il verso anche a tutti i protagonisti impersonali che abbiamo interpretato in centinaia di FPS diversi.
Una volta completata l’area (cioè uccisi tutti gli esseri viventi, cani inclusi) al posto della classica dissolvenza verso il nero a cui seguono il conto dei punti e il livello successivo, il giocatore deve ripercorrere tutto lo schema all’indietro fino all'ingresso, nel silenzio più totale. Questa scelta di design costringe a fare i conti con le proprie azioni e la visuale dall’alto mostra impietosamente ogni singolo cadavere e la pozza di sangue in cui è riverso, mentre quelli che un tempo erano corridoi d'albergo o case, si sono trasformati in macellerie messicane di triste memoria.
La sensazione straniante di ripercorrere nel silenzio i luoghi poco prima attraversati furtivamente e lo spettacolo infernale delle proprie gesta sono la dimostrazione più evidente di quanto Hotline Miami sia un gioco che non solo non si compiace della propria violenza, anzi, la vive con una colpevolezza che ha del timoroso.
Non è dunque solo Drive di Refn l'ispirazione (per quanto l’unica apertamente confessata dai designer). La visuale dall’alto ricorda i momenti conclusivi di Taxi Driver, il continuo oscillare in uno stato che pare di coscienza alterata e normalità sembra preso da Enter the void di Gaspar Noè, mentre tutto l'immaginario di riferimento deve moltissimo all'estetica glam di Miami Vice. Infine moltissimo del modo in cui la trama allucinata di Hotline Miami è raccontata ricorda i deliri di David Lynch, tutto è percepito attraverso la mente del protagonista, tanto che ad un certo punto, riusciamo a capire come, insieme al protagonista, stiamo discendendo in un terribile abisso personale, fatto di dolore, violenza e droghe. Non solo. I cadaveri cominciano a comparire e parlare anche nelle zone “tranquille”, nei negozi tra livello e livello, mentre i commessi cominciano a dire frasi sempre meno comprensibili e piene di metariferimenti (“Perchè fai tutto quello che ti viene detto al telefono?”) come accade nel principe dei giochi indie di nuova generazione: Braid di Jonathan Blow. Ma a differenza di quest'ultimo, simili espedienti non fanno che confermare come Hotline Miami sia un gioco in cui non si può credere a nulla poiché protagonista e giocatore sono uniti nell'essere elementi terzi, figli di un sistema che li vede come meri esecutori e non come autori della propria storia.
Nel complesso Hotline Miami non solo intende rivedere il rapporto di responsabilità che il giocatore ha con il videogame ma anche ridefinire gli ambiti in cui un gioco può muoversi. In tantissimi videogame si spara e si uccide come dinamica ludica in nessuno però si ha la chiara responsabilità di quel che si è fatto, in quasi nessuno l’aver ucciso è mostrato come l’abisso di violenza che è. Nonostante la grafica retro rigetti ogni realismo, il viaggio nella follia del protagonista senza nome è mostrato come un inferno di indecente efferatezza e continuo sopruso.
Non c’è esaltazione ma nemmeno bigotta condanna, c'è solo tanta paura.
Ogni giocatore in ogni videogioco esegue degli ordini. Per giocare è necessario fare tutto quello che il gioco dice di fare, se si corre in macchina lo si fa, se si deve sparare lo si fa, se quello è il nemico dovrà essere ucciso, in un modo non troppo diverso da quello con cui il protagonista di Hotline Miami va e uccide. Gli viene detto e lo fa, senza pensare e con un certo piacere. L’azione senza senso ripetuta per ognuno dei 14 livelli di rispondere al telefono, senza sapere chi stia parlando dall'altra parte, assieme a quella conseguente di andare a fare ciò che è stato imposto, ad un certo punto non appare troppo diversa da quella di mettersi davanti al monitor e fare fuori quelli che sono presentati come nemici. E alla fine di ogni carneficina la sensazione è quella di aver fatto qualcosa di sbagliato.
Disponibile attraverso Steam e GoG per Windows e da poco anche su Mac, Hotline Miami costa circa 8,49€, presto arriverà anche su PSNetwork.