Sette anni dopo, Mama è ancora un horror con i fiocchi

Il debutto di Andy Muschietti arriva su Netflix, ed è invecchiato benissimo

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Sette anni dopo, Mama è ancora un horror con i fiocchi

Andy Muschietti ha avuto una delle carriere più folgoranti dell’horror moderno.

Nel 2008 gira un corto intitolato Mamá, che potete vedere qui per intero (dura appena tre minuti).

Cinque anni dopo, con l’aiuto della sorella Barbara, Andy prende il suo corto e lo trasforma in un film; la notizia arriva a Guillermo del Toro, grande fan di Mamá, che decide di partecipare alla produzione. Il film esce con il titolo Mama, incassa 150 milioni di dollari (circa dieci volte il suo budget) e trasforma quello di Muschietti in uno dei nomi più caldi del genere: dopo aver rifiutato di dirigere il reboot della Mummia, il regista di origini italiane viene chiamato da New Line Cinema per IT, adattamento in due parti del romanzo di Stephen King, che usciranno nel 2017 e nel 2019. Per riassumere, nel giro di dieci anni Muschietti è passato da “promettente regista argentino di cortometraggi” a “regista dell’attesissima versione cinematografica del romanzo più famoso del più grande scrittore horror in circolazione”, e tutto grazie a un singolo film.

Una Mama per tutte le stagioni

Sette anni dopo (oggi, per la precisione) Mama arriva su Netflix, un’ottima occasione per rivisitare quello che al tempo fu salutato come un ottimo horror grondante atmosfera e cultura cinefila nonostante qualche difetto da esordiente da limare. All’interno del genere sono successe tante cose da allora: Mama, che uscì nel gennaio del 2013, fu uno dei primi horror a venire buttati sul mercato “fuori stagione” – quindi non in piena estate o ad Halloween, come capita di solito ai film dell’orrore – per evitare di ingolfare un mercato ipersaturo (in origine il film sarebbe dovuto uscire nell’autunno del 2012, quando si sarebbe però sovrapposto a Paranormal Activity 4.

Oggi è normale aspettarsi qualche uscita horror tutti i mesi, ma sette anni fa far uscire un film del terrore a gennaio era considerato un mezzo suicidio: il successo di Mama è uno dei motivi per cui, per fare un esempio recente, Insidious – L’ultima chiave è stato fatto uscire a gennaio 2018, incassando più degli altri film del franchise. Lo stravolgimento dei calendari classici e la scelta di distribuire le uscite horror lungo tutto l’anno non è forse conseguenza diretta e unica del successo del film di Muschietti, che però ha avuto l’indiscutibile merito (insieme all’esplosione delle piattaforme di streaming e delle loro uscite a-stagionali) di contribuire al cambio di paradigma a colpi di jump scare.

Ma... ma?

Al di là dei discorsi meta-cinematografici e distributivi, però, la domanda rimane: com’è Mama sette anni dopo, quando le storie di fantasmi e bambine inquietanti vanno un po’ meno di moda e l’horror mainstream si è spostato altrove (l’anno scorso La Llorona, spin-off di The Conjuring, ha incassato meno degli altri cinque film della saga)? Se avete visto e apprezzato l’IT di Muschietti la risposta dovreste già saperla: Mama è un gran pezzo di cinema horror, girato con eleganza e un occhio alle citazioni colte (non solo The Ring e L’esorcista ma persino Hitchcock), il cui classicismo estremo è contemporaneamente il suo principale pregio e il suo grande difetto.

La storia, più intricata di quello di cui il film avrebbe bisogno, è la storia di un tizio (Nikolaj Coster-Waldau) che perde la brocca a causa della crisi economica, uccide la moglie, rapisce le figlie, le porta in una capanna nel bosco, si ammazza e le lascia lì, al freddo e al gelo. Cinque anni dopo il fratello gemello (sempre Nikolaj Coster-Waldau, ovviamente) , che non ha mai smesso di cercarlo, ritrova la capanna e le bambine, e se le mette in casa per provare a restituire loro una vita normale, con l’aiuto di un esperto di un istituto di cura per casi di infanzia problematica (nel caso delle piccole Victoria e Lily, l’understatement del secolo). Insieme a lui c’è la fidanzata Annabel, una clamorosa Jessica Chastain in versione punk con caschetto nero, tatuaggi e basso distorto sempre sotto braccio. Sullo sfondo, la figura di Mama, che, dice l’esperto, è una fantasia creata dalle piccole per fungere da madre surrogata durante il loro isolamento montano, e che, dicono le prime avvisaglie horror del film, è in realtà una figura molto reale, molto spaventosa e con gli arti allungati di Javier Botet.

Magioni inquietanti e bimbe spettrali

Mama è talmente interessato a costruire un setup classicissimo che ci presenta i due protagonisti adulti mentre bevono birrette nel loro appartamento incasinato e, nel giro di pochi minuti, li sradica dalla loro tana e li sbatte in una più plausibile e inquietante Grossa Villa Isolata™, gentilmente fornita dall’istituto di cura che sta seguendo Victoria e Lily. I due si trovano così a gestire due bambine selvagge in un contesto a loro sconosciuto e soprattutto pieno di corridoi bui, specchi, scale, armadi che non bisogna aprire e tutti gli altri elementi che servono a un regista horror per costruire i suoi jump scare e lasciare i suoi protagonisti in uno stato di costante agitazione e disorientamento.

Il trucchetto funziona per un paio di motivi molto semplici. Il primo è che Jessica Chastain e Megan Charpentier sono abbastanza in parte da tenere il film in piedi scena dopo scena, salto sulla poltrona dopo salto sulla poltrona, anche quando ripetono per la terza o quarta volta una sequenza molto simile a quelle venute prima (stiamo dicendo che uno dei difetti di Mama è di essere parecchio ripetitivo soprattutto nella sua parte centrale). Il secondo è che Muschietti ha un controllo totale della scena, una profonda conoscenza del genere e abbastanza faccia tosta da non lasciarsi sfuggire l’occasione per punteggiare il film di flashback seppiati, soggettive inquietanti, figure nascoste all’angolo dell’inquadratura e una grande abbondanza di filtri blu, immancabili in un film di bambine inquietanti. In altre parole Mama è un film di regia e di attrici (e quindi molto spesso di primi piani, inquadrature strette, campi-controcampi, sguardi intensi), senza una briciola di originalità ma impeccabile nell’esecuzione.

Mama I just killed a kid

Dove Mama zoppica un po’ è nella scrittura: il film è fin troppo scritto e affollato, con le funzioni che solitamente sono attribuite ai protagonisti (scoprire la verità sul fantasma, provare a risolvere la situazione) che vengono distribuite tra Chastain, Koster-Waldau, il dottore della clinica (Daniel Kash) e pure l’immancabile “parente antipatica”. Ci si perde quindi un po’ tra i mille rivoli del mistero, che coinvolge un manicomio, una donna fuggita dallo stesso, una morte tragica e una vendetta mai consumata; e prima di arrivare a tirare le fila Muschietti perde tempo, gira intorno alle rivelazioni, ogni tanto si ripete anche per assicurarsi che il pubblico abbia capito. Insomma i classici problemi di chi parte da un cortometraggio e lo trasforma in lungo: paradossalmente, con dieci minuti di girato in meno Mama sarebbe stato dieci volte più efficace.

Quando tra qualche anno si farà la lista dei migliori horror degli anni ’10, Mama con ogni probabilità non raggiungerà neanche la top 5, ma vi assicuriamo che da qualche parte il suo nome comparirà. Non perché sia perfetto, ma perché è la dimostrazione che non è necessario esserlo per convincere la gente ad andare in sala: ogni tanto anche un horror non rivoluzionario ma ben confezionato e spaventoso il giusto fa bene al genere e al mercato. Oppure, riformulando: magari Mama fosse lo standard a cui riferirsi quando si gira un horror senza troppe pretese, magari ogni anno uscissero uno/due film del livello di Mama.

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