Riccardo Garrone: addio al capo, al nobile e al borghese ipocrita del cinema italiano

In più di 50 anni di carriera di Riccardo Garrone c'è il ritratto perfetto del nostro cinema, espressione dell'italiano di cui i film avevano bisogno

Critico e giornalista cinematografico


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Riccardo Garrone non è mai stato giovane, anche quando lo era davvero e gli facevano interpretare dei ragazzi (come in Padri e figli di Monicelli, in cui a 30 anni faceva un universitario ma sembrava lo stesso un 45enne). È stato un pedone nello scacchiere del cinema italiano, un caratterista come ne esistono molti ma, proprio come molti, è stato determinante. In una filmografia come quella italiana tra gli anni ‘40 e gli ‘80, in cui i caratteristi avevano un peso non diverso da quello dei protagonisti nel dare credibilità e sostanza ai film, Garrone era un autentico gigante.
La sua carriera sarebbe il perfetto biopic per raccontare cosa è stato il cinema italiano nella seconda metà del ‘900, tra commedie, film di genere, cinema d’autore, pubblicità, televisione e doppiaggio. Come un personaggio scritto da uno sceneggiatore, Garrone ha seguito tutte le fasi storiche del nostro cinema.

Formatosi all’accademia d’arte drammatica Silvio D’Amico inizia davvero a lavorare nel cinema negli anni ‘50 come comparsa poi guadagnando sempre più terreno. È una gavetta con una media di 5 film l’anno, quasi sempre commedie di buon successo, con l’eccezione della partecipazione a Il ferroviere di Pietro Germi. Gli anni ‘50 lo vedono in mille sfumature dello stesso ruolo, o il bravo ragazzo il truffatore con la faccia da bravo ragazzo.

Sarà negli anni ‘60 che il ventaglio delle sue possibilità si aprirà a dismisura, già a partire dal 1960 con la sua partecipazione a La dolce vita. In un cinema che racconta l’Italia e gli italiani senza mai indugiare nel buonismo ma rappresentando un paese di truffatori e gente che tira a campare, Garrone con il suo portamento elegante e la sua faccia per bene è l’ipocrita perfetto. Oscilla tra i poveracci con ambizione all’amico del protagonista, fino al fratello maggiore. Ogni volta è memorabile perché ha la caratteristica dei grandi attori: incidere con pochissime battute.

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Riccardo Garrone in Il vigile da 9.46

È accanto a Claudia Cardinale in La ragazza con la valigia nel 1961 ma gradualmente abbandona il personaggio della spalla truffaldina, per vestire quelli che gli rimarranno attaccati per sempre. Sconfinando nei 40 anni Garrone diventa il borghese, il nobile, il funzionario, il capo, il boss, il generale, diventa la figura di potere all’italiana, falsa e cortese. Con un aspetto che suggerisce riverenza è il patriarca per antonomasia, il grande vecchio che blocca tutto, che raccomanda e perpetua il sistema. Sono gli anni della Democrazia Cristiana al potere e uno come Garrone al cinema italiano serve come il pane. Serve ai film drammatici, come nei film di genere, come nelle commedie. Sarà l’indimenticabile tenente in Il vigile di Zampa ma anche membro aggiunto (doppiato in milanese) di L’audace colpo dei soliti ignoti, collega sbruffone del timido Nino Manfredi in I complessi, come anche il viscido proprietario di locale di Due mattacchioni al Moulin Rouge di Franco e Ciccio. Addirittura ha ruoli in capolavori del trash come Arriva Dorellik.

Seguendo sulla propria pelle l’andamento del cinema italiano Garrone, come tutti i grandi caratteristi, si adatta a quello che c’è da fare e con la medesima grazia accompagna lo spaghetti western di Se vuoi vivere spara o Una lunga fila di croci, ma è anche accanto a Dustin Hoffman nel suo periodo italiano in Un dollaro per 7 vigliacchi. Sempre affabile proprietario, gestore o politico.
In tutti questi film, anche i più americaneggianti, Garrone è l’Italia. Sia che reciti accanto ad Alberto Sordi, sia che stia con Dustin Hoffman o con Johnny Dorelli o ancora con Ugo Tognazzi in Il fischio al naso, Garrone mette in scena sempre quell’atteggiamento che il cinema italiano sapeva ritrarre così bene che consisteva nelle mille sfumature del perbenismo nostrano.

Emblema perfetto di una cinematografia più che sana all’arrivo dei ‘70 e delle prime forme sguaiate di liberazione sessuale, Garrone non è schizzinoso e interpreta moltissimi film scollacciati dai titoli imperdibili spesso in rima. Da Decameron proibitissimo (Boccaccio mio statte zitto), in cui ovviamente è conte, a La bella Antonia, prima monaca poi dimonia, fino a Decameroticus e l’immancabile Giovannona Coscialunga con Pippo Franco ed Edwige Fenech. Tra comici, cosce e polizieschi è anche in una pietra miliare come Il cinico l’infame e il violento di Umberto Lenzi con Tomas Milian e Maurizio Merli.

Non è un caso quindi che all’inizio degli anni ‘80 due cineasti attaccatissimi all’eredità del cinema italiano come i fratelli Vanzina di fatto lo riscoprano, rimettendo il suo classico personaggio al centro della satira sociale con il padre di famiglia di Vacanze di Natale in cui ha gran parte delle battute più dure (“E anche sto Natale se lo semo levato dai coglioni” o “Levateje er vino!” detto alla moglie che piange). Saranno loro ad utilizzarlo al meglio e con più costanza da qui fino alla fine della sua carriera (nel cultissimo Amarsi un po’ è addirittura principe), forse perché a questo punto uno come Garrone, diventato buono per ruoli da nonno, interessa poco al cinema italiano. Partecipa a fiction, commedie e tanti film, non smette mai di lavorare ma senza la pregnanza che aveva conosciuto. Il suo personaggio storico, quello che non può fare a meno di interpretare, non è più qualcosa che piace ai cineasti, ormai diretti altrove, su film e storie che se proprio devono farsi forza di caratteristi preferiscono prenderli altrove, non tra gli attori ma tra le persone comuni o al massimo tra i comici televisivi. Quella fase a cui Garrone è appartenuto, quella del cinema fatto negli studios e dei grandi caratteristi, è terminata.

[caption id="attachment_164506" align="aligncenter" width="600"]Con Gianmaria Volontè in La ragazza con la valigia Con Gianmaria Volontè in La ragazza con la valigia[/caption]

Ci sarà ancora tempo per un ultimo clamoroso ruolo che riesce a sintetizzare una carriera intera. Sostituirà il grande Giuseppe Anatrelli, dopo la sua morte, nel ruolo del geometra Calboni in Fantozzi subisce ancora (dopo quel film il personaggio non comparirà più). Il caso gli ha dato l’opportunità di prendere ciò che meglio aveva rappresentato negli anni d’oro del cinema italiano e tradurlo nella modernità, l’ultimo grande scampolo di critica sociale del cinema italiano.

Da quel momento forse il lavoro più interessante di Riccardo Garrone è stato quello nel doppiaggio, sorprendentemente specializzato in animazione. È stato Watson nella serie animata Il fiuto di Sherlock Holmes (coproduzione tra RAI e Hayao Miyazaki) e ancora più recentemente la voce dell’orsetto Lotso in Toy Story 3.
Nonostante tutto questo però, nonostante una carriera incredibile in tutto il cinema italiano che conta e in quello di grande incasso, nelle pagine più basse come in quelle più alte, come spesso capita sarà ricordato più che altro per il ruolo di S.Pietro nella serie di pubblicità Lavazza, prima di essere sostituito da Tullio Solenghi.

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