RCCC: DeConnick e Van Meter animano il dibattito sulle minoranze nei fumetti

Kelly Sue DeConnick, Jen Van Meter e altri autori protagonisti di un dibattito su comics e minoranze al Rose City Comic Con

Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.


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Donne e minoranze rappresentate nella narrativa a fumetti americana (ma non solo). Se è certamente vero che le cose sono cambiate molto, che le major hanno uno sguardo differente rispetto al passato nei confronti delle figure femminili e che il dibattito è vivissimo, spesso con punte di polemica notevoli e posizioni in divertente contrasto, quali sono i pregiudizi ancora esistenti e le forme in cui si manifestano?

Nell'epoca in cui Capitan America è nero e ci sono abbastanza Donne Ragno per una squadra di pallavolo, parlano della questione Kelly Sue DeConnick, Ibrahim Moustafa, Jen Van Meter e Gary Phillips dal palco del Rose City Comic Con. Ecco un resoconto delle questioni più interessanti toccate dalle autrici e dagli autori presenti.

Bitch PlanetDeConnick - Sembra assurdo doverlo specificare, ma scrivere personaggi femminili significa... scrivere personaggi e basta. Le donne sono persone, sono diverse tra loro esattamente quanto gli uomini. Non ci dividiamo in quattro grandi categorie da cui pescare, non è così che funziona.

Quando decidiamo di scrivere un certo tipo di personaggio, ci viene chiesto di giustificare ogni scelta, a volte. Dobbiamo giustificare il fatto che sia una femmina. Ma questa non è una fottuta scelta... questo tipo di mentalità ti dice come l'essere umano medio dovrebbe essere bianco, occidentale, eterosessuale. Ogni deviazione da questo schema deve essere giustificato dalla trama.

Van Meter - Personalmente, voglio scrivere del mondo in cui vivo. A volte mi è capitato di inserire dei personaggi appartenenti a minoranze; spesso, ovviamente, delle donne. Se li ho resi con grande convizione, se li ho fatti diventare bandiere delle minoranze, non me ne sono accorta: volevo solo raccontare la mia storia, come dovremmo sempre fare.

Ho iniziato ad accorgermi che quel che facevo non era così comune quando sono approdata al fumetto mediamente mainstream. Improvvisamente, se il mio protagonista era di colore o asiatico o gay, mi veniva chiesto se ce ne fosse proprio bisogno. Il processo creativo, a volte, si riempie di persone convinte che dettagli del genere, se non fondamentali per la trama, siano un fastidio per i lettori.

Phillips - Per decenni la presenza delle minoranze nella narrativa, e in parte anche oggi, ha coinciso con la rappresentazioni dei loro problemi, con personaggi in difficoltà, quasi sempre delle vittime o degli antagonisti. C'è sempre stato un misto di politicamente corretto e ipocrisia, su questi personaggi.

Personalmente, non sento il peso di dover trattare con i guanti alcuni di essi perché appartenenti a minoranze. Significa perpetrare il pregiudizio. Da autore, vuoi semplicemente usare ogni tipo di caratteristica e di attributo, buono o cattivo, su ogni tipo di essere umano. Ma, quando entri in un'ottica commerciale di massa, non sempre hai questa libertà.

DeConnick e Van Meter hanno poi parlato dell'esperienza di scrivere personaggi di colore da autrici bianche e dell'equilibrio, spesso percepito come complicato, che va trovato nel descrivere personalità che non appartengano al proprio vissuto diretto.

DeConnick - Era questa la mia paura con Bitch Planet, perché mi trovavo a raccontare le storie di un cast quasi completamente afroamericano. Non volevo però rubare l'esperienza diretta di nessuno, né mancare di rispetto a un mondo che non è il mio. Non volevo parlare della vita delle donne nere, non me ne sento in diritto. Ma sono una scrittrice e scrivo personaggi. E Cam, la mia protagonista, l'ho creata io. Quindi ho certamente la pretesa di conoscerla.

Non voglio scoraggiare le persone che vogliono raccontare esperienze non direttamente connesse alla loro biografia. Si tratta di una parte fondamentale del nostro lavoro: se creiamo solo personaggi che ci somigliano, ci trasformiamo in una specie di piccola biblioteca del narcisismo. Dobbiamo usare la nostra empatia.

Van Meter - Sono d'accordo. Quando mi chiesero di scrivere le storie di Black Lightning, un uomo di colore nel ruolo di eroe, mi sentivo di conoscerlo nonostante fosse incredibilmente distante da me. Ovviamente è stato più complesso essere l'autrice di un simile protagonista, ma dal punto di vista del processo creativo è stata anche la miglior esperienza della mia carriera.

Fonte: Comic Book Resources

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