Profeti forse non parla di quello che crediamo

Nascosto dietro la trama di una donna rapita dall'ISIS che si confronta con un'altra, c'è in Profeti un film su diversi tipi di prigionia

Critico e giornalista cinematografico


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“Non esiste un solo tipo di prigionia” è la frase di Alessio Cremonini che apre a moltissime altre possibili letture di Profeti. Il film, al cinema dal 26 gennaio, racconta di una giornalista italiana inviata in Siria che viene fatta prigioniera dall’ISIS, rinchiusa prima legata e bendata e poi libera in una casa con un’altra donna, la moglie di un combattente, che la controlla ma anche la sfama e sottilmente cerca di convertirla. Il film sta tutto nella maniera in cui carcerata e carceriera si conoscono e si confrontano o, per essere più precisi, la maniera in cui la prima impara a conoscere la seconda, la sua vita, cultura e religione a cui lei vorrebbe convertirla.

La prima e più evidente lettura è per l’appunto la storia di come funzionino i rapimenti dell’ISIS, della particolarità del rapporto che un califfato estremo nell’applicazione della religione islamica ha con una donna rapita e della strana unione tra cura e violenza mentale con la quale viene tenuta in gabbia. Ma a un livello più profondo questo film nasce dai molti racconti che Cremonini ha raccolto di veri rapiti e rapite dai quali, lui stesso spiega, ha capito che “Il rapimento non è mai solo fisico. Si può rapire un paese intero o una comunità, che è quello che fanno questi profeti o gli estremisti di qualunque natura, anche politica. Nessuno rapisce solo il corpo ma tutti ambiscono ad incunearsi e rapire anche la mente”. È una questione di subalternità e sottomissione tramite i quali un regime o un aguzzino tengono prigioniero un popolo o un singolo.

Questa delle diverse possibili forme di prigionia è un’ossessione di Cremonini che tra i suoi primi lavori conta anche Private, il film di Saverio Costanzo su una famiglia palestinese intrappolata in una casa sotto il comando dell’esercito israeliano. Soggetto strano, per non dire unico per un film italiano, che è diventato un film bellissimo, in cui la famiglia prigioniera stabilisce un rapporto strano con l’esercito e nel quale sono esplorate le conseguenze e le diverse modalità di essere costretti. E poi anche Sulla mia pelle, il film sul caso di Stefano Cucchi che ha diretto e scritto insieme a Lisa Nur Sultan, un caso di cronaca che finisce per indagare una strana forma di prigionia, mentale e fisica, del suo protagonista.

Però era Profeti il film che voleva fare da tempo, quello che incrocia l’attrazione per le storie del Mediorientali, con quella per le storie di prigionia e per lo studio nello specifico della prigionia di un personaggio femminile: “Una donna in quelle situazioni non ha solo paura di morire o della violenza mentale e fisica, ma anche della violenza sessuale. È quello che tutte raccontano essere il loro primo timore. Così tanto da essere spesso sollevate nello scoprire che i rapitori sono estremisti religiosi e non semplici ladroni”.

Nasce così un film che prende ispirazione da fatti veri e racconti veri per cercare di trovare dentro ad essi qualcosa di personale che appartiene alla ricerca dello sceneggiatore e del regista che la mette in scena. C’è infatti ancora un’ultima ossessione dentro Profeti, quella della sottomissione della donna da parte dell’uomo. Anche per questo il film ha due donne come protagoniste, perché quel punto di vista, che inizialmente è quello della giornalista italiana, sempre di più lungo il film diventa quello della donna musulmana: “In fondo Daesh è solo l’ultimo tentativo in ordine temporale da parte del maschio di sottomettere la donna”. 

Uno dei racconti che non è entrato nel film ma che Cremonini ha ricevuto è di una donna che mentre veniva perquisita, e quindi tastata, da un guerrigliero musulmano che l’aveva rapita ha sentito che l’uomo si scusava con lei dicendole che era la seconda donna che toccava nella sua vita: “Ecco io una cosa del genere non la posso mettere nel film perché il pubblico non ci crederebbe. Il bello delle storie vere è che sono spesso totalmente diverse da quello che ci immaginiamo essere la realtà”.

Molto di questa dinamica tra le due è anche giocata sulla conoscenza, cioè sulla maniera in cui il personaggio di Jasmine Trinca gradualmente conosce quello di Isabella Nefar. La dinamica è molto convincente anche perché le due attrici non si sono incontrate prima dell’inizio della lavorazione. Non sappiamo niente della giornalista e non lo dobbiamo sapere perché il punto è sempre il rapimento in sé e non la storia personale di quelle due donne.

Trovate tutte le informazioni su Profeti nella nostra scheda.

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