Park Chan-Wook al Festival di Roma ammette di dover continuare a lavorare in America

Arrivato assieme ad un corto commissionato da Ermenegildo Zegna, Park Chan-wook è stato protagonista di un incontro con il pubblico nel quale ha tracciato il proprio futuro

Critico e giornalista cinematografico


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Sembra un ragioniere Park Chan-wook, arriva con un completo per nulla sofisticato, quasi dozzinale ma indossato in maniera elegante, sfila sul red carpet con una valigetta di cuoio in mano (!!) come se andasse al lavoro e nel rispondere alle domande si aggiusta gli occhiali prendendo una lente tra il pollice e l’indice. Prima che arrivi la traduzione si direbbe che sia un ingegnere che parla di come sistemare al meglio una diga o un manager che discute la ristrutturazione di un’azienda, invece è uno dei registi più interessanti del cinema contemporaneo, arrivato al Festival del film di Roma assieme al suo corto A Rose Reborn, realizzato in Italia per conto di Ermenegildo Zegna. Nel lungo incontro che l’ha visto dialogare sia con i moderatori che con il pubblico si è parlato più che altro della produzione di A Rose Reborn, del suo rapporto con la moda (quasi inesistente) e dei significati del cortometraggio. Poco invece della sua carriera. Park Chan-wook è apparso disposto a dialogare e molto pacato, un regista cosmopolita, capace di abitare diverse cinematografie e di sottomettersi al volere di una committenza come ha dimostrato parlando dell’eleganza dell’uomo e dell’esigenza di mostrarla per diversi minuti, Vi riportiamo i due passaggi più interessanti dell’incontro.

Quando mi è stato commissionato un lavoro per Ermenegildo Zegna avevo pensato di fare un film su rapimenti e storie del genere ma ho dovuto cambiare idea quando sono stato avvertito che non sarebbe stato possibile. Alla fine ho rappresentato una nuova era e un nuovo periodo, un’elite che dal nuovo aspetto.

Io e altri registi coreani come Kim Jae-won e Bong Jon-hoo abbiamo avuto esperienze di lavoro in lingua inglese, io ho imparato molto da Hollywood mi sono trovato a pensare che alcune caratteristiche del sistema americano sono migliori di quello coreano. In Corea lavoriamo troppo alla preproduzione, di contro in America forse si lavora troppo alla postproduzione. Ad ogni modo penso che questa della collaborazione di registi coreani in Americani sia la strada migliore, dobbiamo aprirci ad un cinema anche in inglese, credo che la dovremmo continuare a percorrere.

Photo credit: Luca Marra

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