Il successo di Oz Perkins prova che l'horror è il genere più libero
Longlegs è uno degli incassi dell'anno senza essere affatto un film "mainstream". E questo ci parla dello stato di salute e della libertà espressiva dell'horror
C'è un nuovo nome caldo nel panorama horror: quello di Osgood Robert Perkins II, meglio noto come "Oz". Non completamente nuovo, per ovvi motivi: come sa bene chi si interessa al genere, Perkins è figlio dell'Anthony Perkins di Psyco (e se non è il battesimo di una vocazione all'horror questo...) oltre che fratello del cantautore Elvis Perkins. Non è del tutto nuovo anche perché Oz (classe '74) in realtà fa cinema almeno dagli anni '90. Prima con piccole parti da attore (La rivincita delle bionde, Secretary, Star Trek) poi collaborando a varie sceneggiature, fino all'esordio come regista/sceneggiatore nel 2015, con The Blackcoat's Daughter (da noi malamente rinominato "February - l'innocenza del male").
Da quel film e dal successivo Sono la bella creatura che vive in questa casa (uscito in streaming su Netflix nel 2016) è stata subito chiara una cosa: Perkins non è quel che si dice un regista da grande pubblico. I suoi film - che definiamo horror per comodità - in verità somigliano più a film d'autore arthouse che giocano con un immaginario orrorifico che non a tipici film di genere.
Nei casi più estremi (i primi due) c'è a malapena una trama intellegibile; in tutti, l'elemento narrativo è meno importante della costruzione di atmosfere, basata sulla dilatazione estrema dei tempi (inquadrature e silenzi lunghi), sull'uso pittorico della fotografia per creare cupissimi chiaroscuri, e su sceneggiature dalla struttura circolare/labirintica. Più che all'horror tradizionale l'effetto fa pensare ai videoclip di qualcuno come Phoebe Bridgers: visioni di spettri diafani, eterei, delicati, più malinconici che spaventosi.
Com'è allora che parliamo di lui come nuova rivelazione dell'horror? La risposta ha il titolo del suo ultimo film Longlegs, che quest'estate ha incassato una cifra record di 100 milioni di dollari (70 nei soli Usa): è il miglior incasso per un horror indipendente degli ultimi dieci anni e il migliore di sempre per il distributore indie Neon (Spencer, Triangle of Sadness, Anatomia di una caduta fra gli altri). Se già con Gretel & Hansel (2020) Perkins aveva mostrato di sapersi "normalizzare" abbastanza da incontrare un pubblico, Longlegs lo ha catapultato direttamente fra i nomi più quotati dell'horror.
La cosa deliziosa per chi temeva che questo successone dipendesse da un film di compromesso e meno radicale degli altri, è che invece Longlegs è un film di Perkins al 100%: parte dal terreno più convenzionale di un thriller alla Il silenzio degli innocenti o Se7en, ma poi va decisamente per la sua strada, con un'anti-narrazione straniante che non ha niente da invidiare a quelle dei suoi film più di nicchia.
Che un film così poco mainstream abbia ottenuto quel successo ci dice due cose: una è la genialità del marketing di Neon, che nei mesi precedenti l'uscita ha montato una campagna promozionale low cost tutta basata su piccole teaser clip, coraggiosissima e controintuitiva nel nascondere fino all'ultimo la presenza nel cast del premio oscar Nicolas Cage.
Ma ci dice anche che l'horror è uno dei pochi (forse l'unico?) genere in cui oggi ci si può permettere di osare, sfidare il pubblico, dare voce a sguardi fuori dagli schemi, senza che questo si trasformi in una condanna dal punto di vista economico. Budget piccoli, fanbase affezionate, forza politica graffiante, un immaginario che già di per sé tende al fantastico e alla rottura dei canoni estetici, sono fra i motivi per cui l'horror riesce imperterrito a incassare (o almeno a generare valore reputazionale) anche quando propone prodotti sfidanti, che non riceverebbero l'ok in nessun altro contesto commerciale.
Non a caso alcuni degli sperimentatori più audaci degli ultimi anni vengono proprio da lì: Robert Eggers, Ari Aster, Julia Ducournau, Jordan Peele, Coralie Fargeat. Tutti autori e autrici che hanno innovato tantissimo sul linguaggio, mescolando riferimenti "alti" che vanno dal surrealismo all'espressionismo, dal body horror di Cronenberg alla satira politica di Romero. Ma che nel farlo sono riusciti/e a conquistarsi l'amore del pubblico, tanto da superare indenni qualche flop, forti del sostegno di studi come la già citata Neon o A24.
Con Longlegs anche Oz Perkins entra a far parte di questo club delle nuove voci dell'horror, una voce che non dovremo aspettare molto per risentire: Neon ha già acquistato i diritti di distribuzione sui prossimi due film del regista, The Keeper e The Monkey (quest'ultimo tratto da un racconto di Stephen King). La speranza è che Perkins possa continuare a non compromettere il suo stile unico, dandoci altri film che (al di là dell'apprezzamento personale) si possano definire "suoi". Per sua fortuna si muove nel genere che queste libertà le permette più di tutti: e anche per questo, oggi più che mai, non si può fare a meno di amare l'horror.