Netflix potrebbe avere un asso nella manica proprio nell'aumento di prezzi

Netflix alza le sue tariffe di uno o due dollari al mese per fare cassa, ma l'effetto potrebbe non essere un contraccolpo

Critico e giornalista cinematografico


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Questo mese in America, presto nel resto del mondo.

Netflix ha aumentato la sue tariffe di uno e due dollari al mese (a seconda del tipo di abbonamento), poco in assoluto ma molto considerato che questa cifra oscilla tra il 12% e il 15% del totale dell’abbonamento. Eppure una mossa che in generale è sempre considerata cattiva per gli affari e che (a parole) gli sta costando un’ondata di critiche potrebbe anche essere una delle chiavi fondamentali per sopravvivere. Specie se fatta adesso.

Come noto tempo un anno e il mercato comincerà a popolarsi di competitor molto più seri di Amazon Prime o (in America) HBO e simili. A partire dal 2019 arriveranno servizi on demand non solo potenti e dalle tasche profonde come Disney+ ma anche altri con offerte e un catalogo molto ampio.
NBCUniversal, imdb, YouTube, Apple, Warner e molti altri hanno in mente un servizio di streaming, quasi tutti questi sono a pagamento, alcuni vorranno la propria library in esclusiva, cioè leveranno le proprie serie e i propri film da Netflix (è il caso di Disney, il più clamoroso visto che include Pixar, Lucasfilm e Marvel).

La causa del rialzo dei prezzi è chiara: Netflix non ha altre fonti di reddito se non gli abbonamenti, non è uno studio che porta i film al cinema, non è un negozio online, non è una società che produce tecnologia, solo dagli abbonamenti (e ovviamente dagli investimenti che però sono frutto dell’andamento degli abbonamenti) possono prendere i loro fondi, quindi un aumento significa più capitali da investire. Con solo i 58 milioni di clienti americani si parla di un aumento di introiti di 80 e passa milioni di dollari in più al mese. Poi ci sono i restanti 70 milioni circa di abbonati nel resto del mondo che presto riceveranno l’aumento.

Se però la causa è chiara l’effetto invece è più complesso da capire. Di certo ci sarà qualche disiscrizione ma così facendo Netflix si assicura di rialzare i prezzi prima dell’arrivo della concorrenza, cioè si premura di avere un introito che non dovrà ritoccare (si spera) per un bel po’ di tempo dopo l’arrivo dei rivali. In questo senso prima lo fa più la memoria del rialzo sarà lontana al momento del lancio della concorrenza.

Dall’altra parte più Netflix alza i prezzi in una fase in cui vince facilmente il paragone con la concorrenza (perché all’inizio le piattaforme non potranno vantare profondità e qualità di Netflix) più satura i portafogli degli utenti. Pensandola all’inverso se Netflix paradossalmente dimezzasse i suoi abbonamenti ogni suo utente si troverebbe con del denaro in più che prima spendeva in streaming e che ora potrebbe in teoria destinare ad un altro abbonamento. Più invece aumenta il suo abbonamento meno soldi in più da spendere in altri abbonamenti ha ogni suo iscritto.

In parole povere l’aumento del prezzo di Netflix serra i ranghi e in un certo senso spinge una parte dei consumatori a fare una scelta netta, a non volersi permettere molti abbonamenti ma pochi, se non uno solo, e questo in un momento in cui Netflix ha il servizio senza dubbio migliore.

Come già spiegato molte volte infatti il problema di Netflix è il tempo, il fatto cioè che i suoi rivali hanno le tasche così profonde da poter resistere molto tempo in perdita e da poter investire molto senza bisogno di guadagni immediati. Loro invece hanno solo questa fonte di reddito e quindi devono schiacciare i rivali subito, prima che diventino grandi e possano iniziare a competere davvero ad armi pari.

Due euro in più non sono molti, considerato che in tanti condividono l’abbonamento a Netflix e quindi dovrebbero dividersi anche questo aumento di abbonamento, ma sono un piccolo passo per disincentivare i propri utenti a testare la concorrenza.

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