Murdoch e Ap a pagamento

Mentre il magnate australiano annuncia la sua intenzione di far pagare tutte le sue informazioni online, prosegue lo strano percorso dell'Associated Press contro chi prende le sue notizie...

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Fonte: Varie

Veramente i siti di informazione saranno a pagamento? Certo, considerando che lo dice Rupert Murdoch, l'ipotesi dobbiamo considerarla con attenzione. C'era un tempo, come fa notare Techdirt, in cui il magnate la pensava molto diversamente. Infatti, solo due anni fa, parlando del Wall Street Journal, indicava che la direzione da prendere era proporlo in maniera completamente gratuita.

Evidentemente, ha cambiato idea, cosa assolutamente legittima. In effetti, qualche giorno fa, in una conferenza di presentazione dei risultati finanziari del suo gruppo editoriale, Murdoch ha annunciato che, entro un anno, tutti i siti legati al suo gruppo diventeranno a pagamento. Le ragioni sono giustissime e risiedono nel fatto che "la rivoluzione digitale ha proposto nuovi ed economici metodi di distribuzione, ma non ha reso i contenuti gratuiti". La soluzione, far pagare questi contenuti online, non è detto però che sia vincente.

Intanto, se era così semplice, non si capisce perché non sia stato fatto già dieci anni fa. Soprattutto, citare come modello il Wall Street Journal lascia perplessi. E' evidente che un broker che guadagna 100.000 dollari può trovare conveniente pagare un abbonamento per fare meglio il suo lavoro. Che una casalinga disoccupata possa avere lo stesso interesse a pagare per il Sun online è invece tutto da dimostrare.

"Il giornalismo di qualità non è a basso prezzo e un'industria che regala i suoi contenuti sta semplicemente cannibalizzando la sua abilità di produrre dei buoni reportage", ha continuato Murdoch. Tuttavia, in realtà da sempre i quotidiani hanno "regalato i propri contenuti", seppur parzialmente. E' ovvio infatti che un euro a copia è un prezzo reso possibile soltanto dalla pubblicità e che quindi non riflette i veri costi di un giornale. Finché le aziende pubblicitarie hanno continuato a spendere, il problema non si è posto. Ora invece sì e quindi si è scoperto che bisogna trovare un'altra strada. Di sicuro, chiedere i nomi degli utenti di Kindle ad Amazon sembra una pessima idea.

L'altro grosso problema di questo piano è ovviamente quello di controllare i propri contenuti. Molto facile a dirsi, ma poco a farsi. Avere il copyright su un film o un brano musicale è sostanzialmente semplice, ma una notizia? Chi e come può dimostrare di essere proprietario di una notizia? E anche se il criterio dovesse essere "chi arriva primo", come vietare agli altri, che diffonderanno ancora gratuitamente il loro lavoro, di raccontare le stesse storie con i loro reporter? Insomma, sarebbe come dire che, visto che il Corriere della Sera è arrivato per primo sulle tangenti pugliesi che stanno facendo tremare a destra e sinistra, allora Repubblica non ne può parlare. Per cortesia...

E a proposito di piani per 'bloccare' le proprie notizie, la Associated Press sta continuando a suscitare ilarità con il proprio progetto. L'ultima puntata della telenovela ha visto la Associated Press annunciare il blocco e controllo dei propri contenuti con il Creative Commons Rights Expression Language, un software che però ha altri scopi e che a detta dei suoi stessi creatori non funzionerà efficacemente per gli obiettivi che ha la AP. Senza contare l'ironia della situazione: bloccare il proprio materiale utilizzando Creative Commons...

Cosa ne pensate? Ditecelo nei commenti qui sotto o in questo thread del forum!

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