Monica Vitti: la donna nuova del cinema italiano
Monica Vitti ha imposto un nuovo modello di donna che poi qualsiasi altra attrice italiana ha inseguito. Da sola ha cambiato le donne nel cinema italiano
È una carriera molto più corta di qualsiasi altra attrice che abbia lasciato un segno paragonabile, chiusa quando era arrivata a fatica all’apice. A differenza di molte altre infatti la sua non è una popolarità e un successo che arrivano di colpo, come accadeva nel cinema italiano degli anni ‘50 e ‘60, come accadde a Sophia Loren o Claudia Cardinale, o anche all’altrettanto rivoluzionaria Franca Valeri. Ci sono voluti anni perché il cinema italiano (e quindi poi il pubblico) si accorgesse di Monica Vitti e perché le fosse consentito di interpretare il suo tipo di femminilità.
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E nel 1970 come Monica Vitti non c’era nessun’altra.
Monica Vitti si piazza in una zona nuova, quella delle donne autonome che hanno una propria agenda e propri problemi, questioni che prescindono dal mondo degli uomini e costringono questi a inseguirla. Donne con un proprio mondo e una propria vita di cui semmai gli uomini sono una parte e non l’obiettivo. Nessuno sapeva o voleva dare ai propri personaggi queste sfumature, e pochi attori uomini lo accettavano. Come i film di Bud Spencer e Terence Hill possono nascere solo perché esistono loro due, o le commedie di Totò possono esistere in quella forma proprio perché c’è qualcuno come Totò, allo stesso modo non si poteva nemmeno immaginare un nuovo cinema femminile senza qualcuno che potesse interpretare una donna nuova e farlo in una maniera naturale, credibile a accettata da tutti.
In anni in cui le attrici di commedia o erano spalle o imitavano il modello di Franca Valeri (la comica che accetta la maschera e lo stereotipo per costruire la satira di costume che le interessa portare avanti), Monica Vitti metteva in scena una donna bella (quindi un modello a cui aspirare) che non vuole diventare maschera per far ridere, che interpreta la commedia senza ricorrere all’enfasi delle solite convenzioni sulla femminilità (non è precisina, non è matriarcale, non è isterica, non è umorale) e che, come poi sarà ripetuto dal femminismo che stava arrivando, non vuole scegliere ma pretende di essere tutto. Modello di bellezza e modello di ironia, modello di cinema d’autore e modello di commedia leggera.
Non è solo una donna che non deve scegliere in quale casella finire ma una che senza ricorrere all’espressionismo di Anna Magnani (eccezionale attrice controcorrente, mai modello per altre ma sempre prototipo unico di donne popolari e forti) riesce lo stesso ad essere così protagonista da costringere gli uomini che recitano con lei ad adeguarsi. Li costringe a guardarla e trattarla diversamente perché interpreta le battute senza essere remissiva e senza sfociare nella macchietta. Non puoi interagire con un’attrice come se fosse la solita macchietta se lei è così forte da imporsi diversamente. E Monica Vitti è seria e sexy, ha il tempo comico giusto ed è sexy, è commovente e sexy, è conscia del proprio potere e ha i suoi obiettivi (e sexy). Gli altri attori devono stare al passo per non sfigurare, altrimenti sono loro gli scemi, i registi le vanno dietro e le danno spazio perché fa funzionare tutti i film.
Perché questo potesse nascere era necessario che i tempi davvero cambiassero, non a caso i primi segni arrivano non dal cinema mainstream ma da quello underground. Viene detto sempre con errore che La ragazza con la pistola è il film della svolta di commedia, non è vero, semmai è il più noto e quello che lancia la carriera di commedia, ma già dopo Deserto Rosso, nel 1964, Monica Vitti sterza fortissimo con Il disco volante di Tinto Brass, che all’epoca era un regista anarchico e sperimentale, non ancora erotico. Un film con Alberto Sordi in cui Brass non la incastra nel consueto personaggio ma la lascia libera di interpretarlo con personalità. È lì che Monica Vitti smette di fare le borghesi sofferenti e spiazzate di Antonioni e inizia a mettere a punto il suo modello fatto di contrasti esibiti e non nascosti. Capelli spettinati e abiti in piega, appeal sessuale fortissimo e voce roca non mitigata, anzi enfatizzata, grande tempo comico ma gestualità e mimica al minimo, grandissima coolness all’italiana e sbadataggine da commedia.
Questo tipo di donna autonoma è quello che rende possibile poi l’arrivo di Mariangela Melato e delle altre. Una rivoluzione non diversa da quella di Marlon Brando, che aveva preso la lingua vera americana e aveva dimostrato che non bisognava vergognarsi di come si parla nel paese reale, che anche quel modo di essere poteva animare nutrite la mitologia del cinema. Monica Vitti con la sua sola presenza dice che non bisogna aspirare per forza ad essere un modello idealizzato come Sophia Loren o Gina Lollobrigida, eterea come Claudia Cardinale o ruvida come Anna Magnani ma che esistono altri modi di essere donna altrettanto vincenti e da inseguire. Da quel momento praticamente tutte le nuove attrici italiane vogliono essere Monica Vitti, tutte vogliono recitare quel tipo di femminilità. E solo l’arrivo di queste attrici poi fa sì che possano esistere film come quelli di Lina Wertmuller e via dicendo, il cinema che rivede l’apporto femminile, che racconta il femminile in una nuova maniera e che dialoga con il pubblico in un modo diverso, non più pettinando le sue convinzioni ma lavorando per scardinarle, senza chiedere il permesso e anche senza esasperare il conflitto tramutandolo in una guerra.