I migliori film di ottobre 2022 visti in streaming e al cinema

La classifica dei migliori film di ottobre 2022 usciti al cinema o in streaming: da Le buone stelle a Brado fino a Astolfo e Wendell & Wild

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Ecco i migliori film di ottobre 2022 che abbiamo visto al cinema o in streaming

Molto di quello che vediamo e raccontiamo con una recensione si perde. Alcune volte sono i film piccoli a non ricevere l’attenzione che meriterebbero, altre volte sono i migliori. Abbiamo così deciso di fare un piccolo riassunto ogni mese del meglio tra ciò che abbiamo visto. Senza distinzioni. Film usciti in sala, usciti in noleggio, usciti su una piattaforma in streaming come anche quelli visti ai festival e che non sono ancora usciti.

L’idea è quella di ricapitolare tutte le nostre segnalazioni scremando verso l’alto solo quello che pensiamo non vada perso, non debba sfuggire e meriti una visione. Ci saranno i film più noti e pubblicizzati come anche, con una certa preferenza, quelli che meno noti e dotati di una cassa di risonanza meno forte, che quando lo meritano hanno più bisogno di un riflettore su di sé per farsi notare.

Old People

Alcune trovate narrative faranno un po’ storcere il naso (la pietra millenaria come simbolo del rispetto dovuto agli anziani) eppure in questa ingenuità un po’ kitsch Andy Fetscher alla fine colpisce con un gusto cinefilo proprio nel segno del buon vecchio film horror da cassetta. Questa ingenuità poi si trasforma in una voglia tremenda di creare azione, violenza, insomma momenti terribili e ripugnanti dove il continuo tendere alla carne più giovane per deturparla o contaminarla (sbavano, vomitano) è la linea rossa che congiunge la metafora al visivo. L’horror arriva quindi in Old People ai suoi massimi picchi di chiarezza e terrore proprio quando il contatto generazionale si fa contaminazione.

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Everything Everywhere All at Once

La componente di pura messa in scena è decisamente mozzafiato: Kwan e Scheindert riescono a buttarci dentro ad una surrealtà che sa essere credibile ed incredibile allo stesso tempo, ovvero con dei meccanismi pazzoidi ma sempre piuttosto chiari (capiamo bene come funziona il mondo senza che ci servano chissà quali spiegoni) e con un gusto registico che appare sempre divertito, votato all’ironia e alla godibile leggibilità delle scene pur non rinunciando ad un’estetica a volte più costruita (per esempio quando citano In The Mood For Love).

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The Trapped 13

Ci sono voluti ben quattro adattamenti audiovisivi per tirare fuori quello che meglio raccontasse il famoso fatto di cronaca che nel 2018 scosse la Thailandia e il mondo intero: quello che vide una squadra di calcio di dodici ragazzini e il loro allenatore intrappolati in una grotta allagata per più di due settimane. Dopo la versione Thai, il documentario inglese e il film di Ron Howard, è infatti The Trapped 13 della documentarista e fotoreporter Pailin Wedel ad essere non solo la versione più coinvolgente ed emozionante della vicenda, ma anche la più intelligente ed originale.

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Gli orsi non esistono

Jafar Panahi non sconfina. Non ci vuole andare in un altro stato, non vuole scappare dall’Iran che lo perseguita dal 2010, arrestandolo ripetutamente, impedendogli di dare interviste a media nazionali e stranieri e proibendogli di fare film (che affermazione di potere del cinema!). E tutto perché è un cineasta disobbediente che non smette di disobbedire. Ma se c’è una cosa che caratterizza Jafar Panahi è quella di non fare quello che gli viene detto di fare e infatti dal 2010 ad oggi ha girato 5 film in clandestinità, dal carcere, nascondendo la videocamera in macchina o andando sui monti, lontano da tutti, a girare e facendo uscire gli hard disk contenenti i suoi film dal paese di nascosto. 

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Le buone stelle

Quelli di Le buone stelle sono personaggi centrati sull’errore, che nell’essere tutti insieme fallimentari riempiono a vicenda i rispettivi vuoti. In tutta la prima parte, Kore-eda guarda in loro – molto più che il dramma – l’aspetto particolarmente tragicomico del loro stare insieme, il loro essere caoticamente riuniti in un van scassato. Sono individui che fregano e che a loro volta sono fregati, bugiardi che vengono di riempiti di bugie. Eppure insieme funzionano con una naturalezza sconvolgente. È come se Kore-eda mettesse da parte il suo tipico tono posato e il suo tocco delicato per trovare in questa situazione e nell’incredibile personalità recitativa di Song Kang-ho (intrinsecamente comico ma con una capacità unica di trovare verità sentimentale nei momenti di sofferenza) una spinta comica inedita, un modo nuovo per osservare le stesse dinamiche narrative che abitano la sua filmografia.

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Astolfo

Gianni Di Gregorio ha girato un film unico. Di referenti e modelli ovviamente ne ha, come tutti, ma sono talmente triturati da un tono e un andamento personalissimo da diventare irriconoscibili e sciogliersi dentro un’atmosfera di eccezionale empatia. E tutto questo a dispetto di una trama di quelle che si possono trovare ovunque, anche nelle peggiori fiction televisive. Storia di un uomo che vive in affitto, viene sfrattato, torna al paese da dove ha origine la sua nobile famiglia decaduta e riapre un vecchio palazzo cadente di proprietà per avere almeno un tetto. Dentro trova un uomo che ci si era installato abusivamente, e lo tollera, a loro si uniscono un altro anziano del paese ex cuoco e poi un ragazzo venuto a riparare la cucina. Tutti vengono attratti nell’orbita di questa casa di uomini soli, fuori dagli schemi che si stringono e trovano calore. Poi ci saranno nuovi amori senili e beghe comunali con i vicini (dei preti). Tutti pretesti che contano poco e niente. Quello che Astolfo mette in scena è il contrasto tra la permanenza dello spirito e l’ordinaria decadenza di una vita e del corpo che lo contiene.

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Brado

Brado è un film senza dubbio nostro, con tutta la nostra concentrazione sulle relazioni ma non ha paura di rubare al cinema indipendente americano strutture e qualche soluzione di scrittura, uno che sa prendere quello che gli serve dove gli serve senza abusare ad esempio del tono western ma usandolo per come è in grado di mettere sullo schermo le asperità degli uomini e il loro modo di relazionarsi per percorsi strani e obliqui. E quando deve fare tensione Brado la fa benissimo, usando il sonoro, cioè sia una grande colonna sonora e solo i rumori. Quando deve avvicinarsi alle persone è altrettanto perfetto (cosa che davvero stupisce per tutto il film, fino ad un finale difficilissimo e riuscito) perché non sceglie i toni forti ma opta per un minimalismo espressivo potentissimo, fatto di microespressioni, gesti che è facile perdersi se non si sta attenti e singole parole dette una volta sola senza alcuna enfasi.

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Wendell & Wild

Se probabilmente Selick non supererà mai la perfezione di Coraline e di quel tunnel-cordone ombelicale che consentiva alla protagonista di entrare in contatto con “l’altra madre” e scoprire qualcosa in più su di sé mentre il film stesso scopriva la terza dimensione allungandosi e restringendosi dentro al tunnel, Wendell & Wild si attesta certamente come la sua opera più libera e creativa. C’è tutta la concentrazione di Peele sulla politica e la sua capacità di raccontare idee e ideali non per parole ma per intrecci, unita a  quella capacità che abbiamo imparato a riconoscere in Selick di credere nel potere del cinema al punto da lasciare che le parti più importanti della storia stiano nelle immagini.

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