I migliori film di giugno 2023 visti al cinema e in streaming

La classifica dei migliori film di giugno 2023 usciti tra cinema e streaming: da Indiana Jones a Fidanzata in affitto fino a Polite Society

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Ecco i migliori film di giugno 2023 che abbiamo visto al cinema o in streaming

Molto di quello che vediamo e raccontiamo con una recensione si perde. Alcune volte sono i film piccoli a non ricevere l’attenzione che meriterebbero, altre volte sono i migliori. Abbiamo così deciso di fare un piccolo riassunto ogni mese del meglio tra ciò che abbiamo visto. Senza distinzioni. Film usciti in sala, usciti in noleggio, usciti su una piattaforma in streaming come anche quelli visti ai festival e che non sono ancora usciti.

L’idea è quella di ricapitolare tutte le nostre segnalazioni scremando verso l’alto solo quello che pensiamo non vada perso, non debba sfuggire e meriti una visione. Ci saranno i film più noti e pubblicizzati come anche, con una certa preferenza, quelli che meno noti e dotati di una cassa di risonanza meno forte, che quando lo meritano hanno più bisogno di un riflettore su di sé per farsi notare. Nel complesso i migliori film di giugno 2023 secondo noi.

Fidanzata in affitto

Sembrava impossibile un film così, una commedia centrata sul sesso (più raccontato, sperato, cercato e sublimato che fatto, ma questo è un classico), che abbia a che fare con l’eccitazione dei corpi, con qualche nudità e che metta in campo elementi eterni come la dialettica tra sentimento e attrazione. Tutta materia che una volta il cinema americano maneggiava con spregiudicatezza, divertimento, esaltazione (spesso anche sessismo) e sul cui terreno adorava esagerare. È più di un decennio che non avviene più e l’impressione è che ci voleva Jennifer Lawrence (non solo una star ma anche una personalità molto attiva sul fronte del femminismo) per benedire una simile operazione e fare da garante.

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Indiana Jones e il quadrante del destino

In definitiva Indiana Jones e il quadrante del destino è un film scritto e diretto da qualcuno che conosce molto bene due cose: come funziona il cinema e cosa sia, in ultima analisi, un film di Indiana Jones. Senza anche solo una di queste componenti non si può resuscitare un saga, lo abbiamo visto con Top Gun: MaverickJames Mangold con Jez Butterworth, John Henry Butterworth e David Koepp ci sono riusciti. E anche se Harrison Ford non si può dire sia al suo meglio il film sa appoggiarsi benissimo a Phoebe Waller-Bridge, che integra il suo umorismo e la sua personalità con quella di Indiana Jones, entra perfettamente nello stile e compensa tutto con un dinamismo e un fascino eccezionali, proprio quando Harrison Ford arranca di più, così che il tono rimanga alto. Lo status di co-protagonista non le viene solo dato dalla sceneggiatura, lo sa prendere e se lo guadagna realmente. Inoltre avere Mads Mikkelsen come cattivo è il lusso definitivo, classico e moderno contemporaneamente, manicheo e odioso come si deve (come il Toht di I predatori dell’arca perduta) ma poi sottilmente umano, animato di desiderio e bramosia veri (come invece era Belloq in quel film). Mikkelsen, lui sì che è fuori dal tempo!

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Polite society

Quello che è sempre stato raccontato con il tono del dramma e qualche volta con quello della commedia, qui prende la piega d’azione. Protagonista della storia è la figlia minore, lei legge tutto quello che la circonda come un film d’azione e noi con lei. Si troverà così in un intrigo con laboratori segreti, grandi villain dalle risate malefiche, prigionia, guardie del corpo e una grande festa in cui tutto può culminare. Quella che poteva facilmente essere una storia nel segno di Sognando Beckham (molti i possibili punti di contatto) diventa in realtà più un film di Edgar Wright (specialmente per il sound design e l’accoppiamento con il montaggio), grazie alla maniera in cui Nida Manzoor maneggia il linguaggio cinematografico. Cioè diventa una storia con una trama di genere che in realtà ne nasconde un’altra, una che ha a che fare con i sentimenti che i personaggi provano gli uni per gli altri e non si confessano, in questo caso il desiderio di avere la sorella con sé e non farsela rubare.

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Spider-man: Across The Spider-Verse

La trilogia animata di Spider-Man (diventerà tale con il prossimo: Beyond The Spider-Verse) ha il fenomenale pregio di sembrare nata dall’animazione e non dalla sceneggiatura. Ovviamente Spider-Man: Across The Spider-Verse è tutto molto legato ai multiversi che i film live action raccontano e anche questo film ha la consueta cura nella scrittura dei migliori Marvel (anche se siamo nel mondo produttivo Marvel/Sony) ma c’è un tale dominio visivo, una tale spregiudicata eccitazione da disegno, animazione e in certi casi art direction senza compromessi, che tutto il senso stesso del film, ad un livello più profondo, si trova più nei tratti che nelle parole. È un design molto diverso rispetto alla piatta omologazione allo stile Pixar di cui soffre tutta l’animazione in computer grafica, è lo stesso del precedente film ma tirato ancora di più, esasperato per il meglio e soprattutto ancora più in grado di condizionare il racconto.

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Flamin' Hot

Flamin’ Hot riesce a trovare questa quadra retorica grazie alla bontà della scrittura e alla scorrevolezza della regia. Il modo in cui il film, infatti delinea chiaramente il personaggio è perfettamente centrato, semplice ma di grande impatto e ruota tutto intorno al rapporto tra appartenenza comunitaria – dei latini, ma in senso vasto anche della classe operaia – e rappresentazione commerciale: il rivedere i propri gusti su uno scaffale, e quindi la propria comunità rappresentata. La scrittura è ottima ed Eva Longoria, visivamente, la segue a gran ritmo, senza fronzoli e con un montaggio accattivante (giusto ogni tanto si diverte con piccole scene “what if”).

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Emily

Per quanto Frances O’Connor perda la mano sui tempi e sul focus narrativo, Emily ha in sé delle scene bellissime, funziona molto per immagini (e nella loro relazione col montaggio sonoro). Il cuore della regia di O’Connor batte per l’evocazione della poesia nelle immagini naturali: la pioggia, il vento, un paesaggio familiare. Elementi che ritornano e che cambiano di segno nel corso del tempo, memorandum concreti dove vita e ispirazione si incontrano alla velocità di uno sguardo.

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Falcon Lake

Avvolta da un mood dolce e nostalgico, l’estate adolescenziale di Falcon Lake attira l’occhio con immagini dal sapore analogico. Quasi sfogliasse un album dei ricordi, l’esordiente Charlotte Le Bon pensa il suo film come una serie di istantanee: singole scene che rimandano a singoli ricordi (una nuotata al tramonto, la luce della luna dentro la camera da letto, un falò nella notte). In questo senso Falcon Lake è un bellissimo elogio all’estetica della malinconia “vintage”, e che Le Bon persegue con tutti gli strumenti possibili della messa in scena: la fotografia, i colori pastello, gli abiti, e ovviamente la trasandatezza stessa dei personaggi, che sgraziati e lunatici si contornano di oggetti, si coprono, si scoprono, si sbirciano continuamente.

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