I migliori film di febbraio e marzo 2024 visti al cinema e in streaming

Tutti i migliori film che abbiamo visto al cinema e in streaming lungo i mesi di febbraio e marzo 2024 da Dune: parte due ad Antipop

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Ecco i migliori film di febbraio e marzo 2024 che abbiamo visto al cinema o in streaming

Molto di quello che vediamo e raccontiamo con una recensione si perde. Alcune volte sono i film piccoli a non ricevere l’attenzione che meriterebbero, altre volte sono i migliori. Abbiamo così deciso di fare un piccolo riassunto ogni mese del meglio tra ciò che abbiamo visto. Senza distinzioni. Film usciti in sala, usciti in noleggio, usciti su una piattaforma in streaming come anche quelli visti ai festival e che non sono ancora usciti.

L’idea è quella di ricapitolare tutte le nostre segnalazioni scremando verso l’alto solo quello che pensiamo non vada perso, non debba sfuggire e meriti una visione. Ci saranno i film più noti e pubblicizzati come anche, con una certa preferenza, quelli che meno noti e dotati di una cassa di risonanza meno forte, che quando lo meritano hanno più bisogno di un riflettore su di sé per farsi notare. Nel complesso i migliori film di febbraio e marzo 2024 secondo noi.

How to Have Sex

Che fenomenali vibrazioni da prime vacanze in autonomia! Fin dalla primissima scena How To Have Sex è capace di acchiappare lo spettatore con la sua elettricità: macchina a mano, montaggio brutale, alto contrasto ma soprattutto un’organizzazione delle attrici nelle scene e una recitazione di grande presa. Tre ragazze arrivano a Creta per una vacanza dopo la scuola, una delle loro primissime, si intuisce, cariche di aspettative ed eccitazione per un divertimento che sembra obbligatorio che debba arrivare a tutti i costi. Una di loro in particolare è ancora vergine ed è intenzionata a non esserlo più al ritorno.

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Past Lives

Molto più che un ottimo esordio: Past Lives di Celine Song è un instant cult del cinema romantico. Un dramma profondamente toccante, avvolto dalla nostalgia di sentimenti universali e insieme da quella, precisa, di un certo passato cinematografico: quella di In the mood for love di Wong Kar-wai, di Se mi lasci ti cancello di Michel Gondry.

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Dune: Parte Due

Ad oggi nessuno come Denis Villeneuve è in grado di usare la macchina degli studios americani. Nemmeno Christopher Nolan. Non è una questione di potere (non solo almeno) ma di capacità di muoversi all’interno di una società grande e importante come Warner e riuscire a ottenere quello che si vuole, anche quando quello che si vuole è difficile da ottenere e non viene dato a nessun altro. Se una cosa dimostra Dune – Parte 2, è come questo regista sappia manovrare una macchina complicata e gigante come quella di una produzione di uno degli studios hollywoodiani (che porta con sé obblighi, problemi, ingerenze, ordini, rischi e pressioni che spesso schiacciano gli artisti), tirando fuori da essa quello che in pochi riescono a tirare fuori: un film dal costo grandissimo che sia anche un’operazione di grandi ambizioni artistiche, dotata del grado solito di sicurezza di poter conquistare un pubblico vasto ma anche rischiosa e audace.

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Antipop

C’è uno tono in Antipop così confidenziale, così ravvicinato e così nudo, da superare già nei primi minuti la barriera dell’autoagiografia (in fondo è pur sempre un documentario con Cosmo su Cosmo) e creare un’atmosfera intima molto più adatta alle case che alle sale cinematografiche. Merito della grande quantità di materiale video amatoriale proveniente dalla vita di Cosmo, dalla fase in cui era giovane adulto fino a oggi, ma merito anche della maniera in cui Jacopo Farina lo assembla e usa la voce fuori campo dello stesso Cosmo. Tutto insieme crea uno storytelling dalla scorrevolezza realmente stupefacente, più vicino alla confessione che al documentario con teste parlanti (che pure non mancano), più simile all’intervista confidenziale che alla grande celebrazione (che pure tra le righe passa).

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Memory

Sono bravissimi Jessica Chastain e Peter Sarsgaard a recitare il crescente sentimento tra due persone mature, non proprio usuali. Lei crede nel concetto di sponsor, cioè la persona che aiuta un’altra a uscire da una difficoltà (visto che le ha consentito di uscire dall’alcolismo) e per questo si occupa di quest’uomo in difficoltà; i problemi di memoria di lui invece lo mettono nei guai spesso e fanno sì che necessiti di attenzione. Eppure hanno una dolcezza nel relazionarsi che fa del film un veicolo tenerissimo per idee intelligenti.

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La sala professori

La sala professori potrebbe essere uno dei film più feroci non solo sul sistema scolastico, ma su tutta un’idea di civiltà che si siano visti di recente al cinema. La pesantezza del suo impianto allegorico, che può dare l’impressione di un film troppo a tesi e spiegato, è riscattata dalla coerenza del discorso politico e dall’energia della narrazione, sorretta da una sceneggiatura di ferro e dalla prova stellare di Leonie Benesch. Se ironicamente un certo tono didascalico è ciò che appesantisce tanti film sulla scuola e l’insegnamento, quella di İlker Çatak si pone come una specie di anti-pedagogia; la storia di un fallimento così assoluto e deflagrante del moderno concetto occidentale di formazione e trasmissione di valori, da giustificare di essere raccontato come un film-inchiesta paranoico degli anni ‘70, a tratti addirittura come un horror.

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Land of Bad

Siamo abbastanza sicuri che se ci mettessimo a elencare gli attori più intensi e di maggior spessore oggi in attività, difficilmente uscirebbe il nome di Liam Hemsworth. Uno dei grandi meriti di Land of Bad è di aver capito perfettamente il senso cinematografico di questo attore, cucendogli addosso una parte che non solo è finora il ruolo della vita, ma lo rende un elemento indispensabile per il tipo di approccio al genere action-combat cercato dai creatori. Con quel viso da bambinone troppo cresciuto, Hemsworth è perfetto per calarci in una classica situazione da pesce fuor d’acqua, quando un protagonista sprovveduto e impacciato, avatar dello spettatore, si trova trascinato in una situazione al di sopra delle sue capacità.

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Orion e il buio

“Ragazzo, o sei estremamente disturbato o estremamente creativo” si dice a un certo punto in Orion e il buio. È praticamente la firma di Charlie Kaufman, in un film che malgrado il cambio di target porta tutti i segni del suo cinema. Non è la prima volta che Kaufman si cimenta nell’animazione. Ma Anomalisa (2015) era qualcosa di completamente diverso, un’operazione arthouse per soli adulti che tornava alle marionette kabuki di Essere John Malkovich (1999). Con Orion si parla invece di DreamWorks, e di una favola di formazione (dall’omonimo libro per l’infanzia di Emma Yarlett) pensata per un pubblico decisamente più generalista. La sfida vinta da Kaufman sta nel riuscire a non sacrificare nè il suo stile nè il divertimento, trovando un approccio pop ai suoi temi la cui energia nutre, anzichè soffocarlo, lo spessore filosofico.

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Un altro ferragosto

Un altro ferragosto non finge di aver dimenticato il primo film, anzi, inizia con una versione techno delle battute di quel film e continuamente ripropone estratti fugaci come ricordi di ognuno. Sono i corpi giovani di allora che metaforicamente guardano i corpi vecchi di oggi, i sogni e i problemi di allora rievocati per vedere come siano andati a sbattere oggi (ma è anche lo stile registico di Virzì di ieri contrapposto a quello completamente diverso di oggi). E questa che poteva facilmente essere la riproposizione di un tipo di cinema che (come sempre) appartiene al proprio tempo, invece diventa la dimostrazione di come scrittura di Francesco Bruni (che ha sceneggiato il film con Paolo e Carlo Virzì) e la regia dello stesso Virzì siano nel tempo cambiate, migliorate ed evolute. Sullo stesso canovaccio, con gli stessi interpreti e gli stessi personaggi lavorano in modi nuovi e addirittura alcuni dei nuovi innesti (Christian De Sica e Emanuela Fanelli) sono i personaggi migliori.

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Race For Glory - Audi vs. Lancia

Già dalla trama si capisce che Race For Glory ha capito cosa conti davvero in un film come questo: il nerdismo. Nerdismo per le auto e per la meccanica ovviamente. Tutto il film è realizzato e scritto con la maniacalità giusta per i pezzi di ricambio, per le componenti, per i costumi, i marchi, le tute e le gomme sporche. Sono infatti proprio le questioni meccaniche, e non quelle di guida o di piloti, che danno un senso alla storia e indirizzano il racconto o influenzano gli snodi. Pornografia delle corse, delle mani sporche di olio, delle scocche che si rompono e delle derapate. Tutto per raccontare qualcosa di eminentemente sportivo, la sfida tra due uomini (il team manager Lancia e quello di Audi), cosa significhi vincere e contemporaneamente anche il rapporto con un pilota che rappresenta il contrario, il desiderio di non vincere a tutti i costi.

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Los Colonos

Che esordio quello di Felipe Gálvez Haberle. Il cileno classe ‘83, con alle spalle solo due cortometraggi e pochi lavori da sceneggiatore e montatore, gira con la maestria di un veterano un affascinante ibrido di cinema di genere e cinema d’autore. Formalmente stupendo, austero e rigoroso (con una fotografia dipinta ad olio dell’italiano Simone D’ArcangeloLos Colonos è un western latinoamericano che usa il genere e il suo immaginario come osservatorio privilegiato per un discorso politico al vetriolo sull’eradicazione dei popoli nativi. La lezione del western revisionista americano – Liberty Valance di Ford su tutti – e italiano (Leone Morricone continuamente evocati) è piegata alle esigenze di un affresco storico a tinte nerissime sulla nascita del Cile moderno. Lo sguardo in macchina che chiude il film resterà fra i momenti più devastanti e memorabili di questo 2024 cinematografico.

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Ricky Stanicky - l'amico immaginario

Ricky Stanicky è soprattutto due cose. Il definitivo ritorno di Peter Farrelly alla commedia demenziale dopo la deviazione verso quella sentimentale e oscar bait di Green Book (2018). E un magnifico veicolo per il talento di John Cena, attore dotato che finora si è dovuto accontentare del terzo posto in un ideale podio degli ex-wrestler di Hollywood, mangiando la polvere di The Rock Dave BautistaRicky Stanicky (come in precedenza The Suicide Squad) ne mette in luce carisma e duttilità, rivelandone le doti comiche e tematizzando la sua ricerca di credibilità artistica col ruolo di un attore fallito che si scopre un talento incredibile: “sono più di questo: sono un grande attore” dice Cena per bocca del suo personaggio. E può darsi che abbia proprio ragione.

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