I migliori film di dicembre 2023 visti al cinema e in streaming
Tutti i migliori film che abbiamo visto al cinema e in streaming lungo il mese di dicembre 2023 da Adagio a Godzilla Minus One
Ecco i migliori film di dicembre 2023 che abbiamo visto al cinema o in streaming
L’idea è quella di ricapitolare tutte le nostre segnalazioni scremando verso l’alto solo quello che pensiamo non vada perso, non debba sfuggire e meriti una visione. Ci saranno i film più noti e pubblicizzati come anche, con una certa preferenza, quelli che meno noti e dotati di una cassa di risonanza meno forte, che quando lo meritano hanno più bisogno di un riflettore su di sé per farsi notare. Nel complesso i migliori film di dicembre 2023 secondo noi.
Tutti a parte mio marito
Se c’è una cosa che il cinema francese sa fare bene è parlare di sentimenti e sessualità. Che si tratti di una questione culturale o di un’abitudine di mercato (dato un pubblico pronto a recepire tali tematiche), un film all’apparenza semplice come Tutti a parte mio marito di Caroline Vignalsembra quasi impossibile per il cinema italiano: sboccato, divertito, intelligente e dotato di un pizzico di misurata follia nella messa in scena. Il tutto sigillato dall’esuberante personalità attoriale di Laure Calamy, ad abbattere le barriere tra il cinema d’autore e quello di più largo consumo.
The Eternal Memory
“La memoria è proibita, ma questo libro è testardo”. È parte della dedica che il giornalista cileno Augusto Góngora ha scritto alla compagna Paulina Urrutia sul suo libro “Chile, la memoria proibita”, e che in una scena di The Eternal Memory Paulina legge a Góngora seduto in poltrona, malato di Alzheimer e ormai incapace di riconoscersi allo specchio. Partendo da questa precisa intenzione di contrasto drammatico e incentrato sull’idea di memoria come urgenza storica (l’impegno di Góngora a denunciare tramite le immagini e poi le parole gli anni della dittatura) e fatto personale, il documentario di Maite Alberdi legge questo concetto con la chiave dell’emotività, spingendo sulla commozione non tanto per la malattia di Góngora quanto per lo struggente amore che lega i due nonostante le infinite difficoltà.
Il mondo dietro di te
Gli Stati Uniti non hanno mai elaborato l’11 settembre. È un trauma che continua ad essere rievocato dal cinema americano ciclicamente, che si tratti del disaster movie d’invasione più commerciale, del thriller d’autore più psicologico o della fantascienza più spinta. Sono tutte reazioni alla paranoia, un sentimento che Hollywood elabora da sempre (pensiamo al maccartismo) e di cui Il mondo dietro di te è un figlio diretto. Di derivazione romanzesca (il libro omonimo di Rumaan Alam) come Rumore Bianco di De Lillo e conseguentemente il film di Noah Baumbach, Il mondo dietro di te di Sam Esmail risponde con il filosofismo più cerebrale, raccontando di un blocco delle tele-comunicazioni e di una guerra invisibile per gettare luce sull’evidente impotenza dell’individuo moderno di fronte al collasso di una società di cui è ormai inseparabile.
Grazie. E scusa.
Per quanto le dinamiche e la storia che racconta Grazie. E scusa. siano estremamente drammatiche, quello di Lisa Aschan è un film che affronta il dolore e difficili rapporti famigliari con una leggerezza a tratti commovente, grazie alla scelta di certe situazioni e alla scrittura di dialoghi che nella loro semplicità raccontano con efficacia lo strano rapporto tra queste due sorelle. Per trovare la sua voce Lisa Aschan sceglie di usare un appena accennato tono comico-grottesco. A partire dall’espressione perennemente apatica di Sara – quasi priva di parola tanto trattiene quello che ha dentro -, Grazie. E scusa. non abbraccia infatti mai pienamente gli estremi di un cinema evidentemente sopra le righe (e questo è un peccato, date le potenzialità), ma trova comunque piccole suggestioni che riescono a rendere interessante una storia che sulla carta risulterebbe piuttosto banale.
Il maestro giardiniere
Ancora una volta è un classico di Paul Schrader il cuore del suo ultimo film, lui che la seconda occasione raccontata mille volte al cinema non la guarda mai nel momento in cui arriva, cioè non gli interessa quel processo di stimolazione dell’ardore americano, lo spirito di rivalsa che alimenta la forza necessaria a rialzarsi (cosa che invece, per esempio, esalta Stallone), a Schrader interessa ciò che viene dopo. I suoi personaggi li cogliamo quando sono già in un limbo, quando sono dentro la loro seconda occasione ma non riescono a compierla. Il lieto fine che la parabola americana promette sembra sempre un miraggio per loro.
Foglie al vento
Alla fine non ce ne sarà per nessuno quando, in uno dei momenti di cinema vero migliori dell’anno, con una semplicità davvero disarmante Foglie al vento associa una scena di alcol buttato nello scarico per sempre a tre stacchi di montaggio su delle foglie al vento, un cielo terso e un lago calmo in una bella giornata con in sottofondo la sesta sinfonia di Tchaikovsky (la patetica) che alleggerisce questa brevissima contemplazione della natura. Un momento che passa in un attimo ma è chiaro che è appena successo qualcosa e tutto è cambiato: qualcuno sì è aperto alla vita e il mondo (forse per la prima volta in Kaurismaki!) sembra un posto in cui valga la pena amare. Anche i primi piani diventano quasi gioiosi (quasi eh!) e può accadere che uno dei suoi personaggi solitamente immobili addirittura percorra le scale in fretta per correre dall’amata. Trattato così, posizionato così e filmato così, ciò che altrove sarebbe un clichè trito in questo mondo, con questo sguardo e questo montaggio è un momento di vero amore
Godzilla Minus One
In Godzilla Minus One il kaiju, almeno nel suo passaggio da mostro mitologico a gigante-calpesta-palazzi, non è solo un prodotto dei test delle bombe atomiche, questa volta Godzilla è l’atomica. La distruzione che porta in città è messa in scena come la devastazione di una bomba: le onde d’urto, le macerie e le radiazioni. Tutto è uguale all’esito di una atomica e di questo il film parla: della disperazione delle persone. Ed è efficacissimo. Ribalta la funzione dei personaggi, da archetipi narrativi funzionali alla costruzione del simulacro di una società intera che si oppone alla minaccia, a centro di una storia reale. In questo senso il mostro è sia incubo collettivo di un popolo (l’atomica) che simulacro dei demoni personali del protagonista, il soldato pieno di senso di colpa perché non è voluto morire per una causa persa che deve affrontare quel mostro per sentire di meritare una nuova vita con una bambina piccola.
Adagio
Come nei grandi polizieschi moderni anche in Adagio il vero protagonista è il senso del tempo che è ormai passato per tutti. Quattro personaggi chiave sono quattro modelli di paternità diversi in un mondo scenografato con personalità invidiabile da Paki Meduri tra realismo e fumetto underground. Sono generazioni marce che continuano a vivere secondo i loro codici, anche se è cambiato tutto. Che poi è il segreto del romanticismo poliziesco. Le uniche regole da seguire sono i codici che hanno formato e rovinato i rapporti tra tre relitti di un’altra era (Favino, Servillo e un eccezionale Mastandrea, tra i migliori momenti della sua carriera anche se compare per poco) e più moderni che regolano la vita del quarto (un Adriano Giannini titanico, il vero protagonista che regge tutto il film e lo aiuta ad avere il ritmo che ha).