I migliori film di giugno 2022 in streaming e in sala
La classifica dei migliori film di giugno 2022 usciti al cinema o in streaming: da Black Phone a Evlis e Hustle
Ecco i migliori film di giugno 2022 che abbiamo visto al cinema o in streaming
L’idea è quella di ricapitolare tutte le nostre segnalazioni scremando verso l’alto solo quello che pensiamo non vada perso, non debba sfuggire e meriti una visione. Ci saranno i film più noti e pubblicizzati come anche, con una certa preferenza, quelli che meno noti e dotati di una cassa di risonanza meno forte, che quando lo meritano hanno più bisogno di un riflettore su di sé per farsi notare.
I migliori film di giugno 2022
The Princess
"Il documentarista Ed Perkins apparentemente sceglie la strada più semplice – mettere a nudo i media attraverso il loro stesso linguaggio – eppure se si osserva nel dettaglio The Princess non solo racconta attraverso i punti salienti e più interessanti tutta la fase di vita di Diana principessa (da poco prima del matrimonio fino alla morte a Parigi), ma attraverso il fine lavoro compiuto sulla colonna sonora crea un tono invece molto specifico e intenzionale: quello di una sottesa malinconia, di una tristezza rassegnata che, ogni volta che vediamo il viso di Diana, ci colpisce con quella precisa emozione."
Elvis
"Luhrmann non si appoggia a nessun cliché (incredibile!) e rivede anche il solito rapporto tra burattino e burattinaio, perché questo colonnello è anche lui affascinato da Elvis, lo scruta, ne rimane sempre stupito e attratto. Che potere sincretico c’è nella scena (la più bella, la più memorabile, quella che spiega tutto della nostra passione per quel che vediamo) in cui un pubblico che non sa cosa sia Elvis entra in contatto con lui per la prima volta ed è posseduto da urla e un’eccitazione che non riesce a capire? E che cosa incredibile che quella passione si alterni nel montaggio con il desiderio, altrettanto potente ma diverso, commerciale e avido, del colonnello? Il capitalismo è bramosia, è sesso ma in un’altra veste, e nello showbusiness tutto passa per l’atto stesso del guardare".
Black Phone
"È soprattutto il modo in cui Scott Derrickson infarcisce questo film di dettagli non per forza funzionali alla trama (come nei migliori romanzi) a dargli una personalità contagiosa e unica. Sotto ad una storia di prigionia e superamento delle proprie paure batte il cuore di un coming of age mascherato, dietro il rapitore-killer da battere per evadere c’è in controluce il padre violento a cui reagire (che roba lo sguardo verso di lui nel finale!). Derrickson intende il cinema come un continuo banco di sperimentazione, riesce a farsi strada con personalità quando dirige Doctor Strange e quando invece è alle prese con i progetti Blumhouse (già Sinister ma qui anche di più) lavora in modi poco convenzionali, inventa ritmi diversi dal solito e tutto in un genere, l’horror, che invece sarebbe altamente codificato e nel quale molti si sentono stretti".
The Man from Toronto
"A pensarci bene quello dello scambio di persona è uno dei meccanismi più rodati sia per il genere comico che quello action/thriller: quante cose possono infatti succedere, comiche e/o impensabili, a partire da un equivoco tanto semplice? Le possibilità sono praticamente infinite. Diretto da Patrick Hughes, The Man from Toronto decide invece (perché no?) di riunire entrambi i generi a partire da questo tipo di premessa e, pur con una storia dalla prevedibilità sconcertante, grazie alla divertente recitazione di Kevin Hart e alla fermissima mano registica di Hughes (che infatti è un regista shooter di film d’azione, di quelli che portano il lavoro a casa senza troppi fronzoli) riesce a fare esattamente quello che era nelle sue intenzioni – farci ridere e intrattenere senza farci pensare troppo."
Cha Cha Real Smooth
"Cha Cha Real Smooth parla quindi di vite normali e anche un po’ noiose ma con una lente amplificatrice che, tramite semplici dialoghi o momenti di condivisione e di sofferenza, fa sempre risuonare le scene di sentimenti sinceri e di un’impressione di estrema verità. Il merito è in grandissima parte della capacità di Cooper Raiff di creare un personaggio con cui si crea un’empatia fortissima, stralunato ed eccentrico ma amorevole (è un personaggio totalmente buono e positivo, accomodante, ma che nasconde tanto dolore). Raiff in molte cose ricorda tantissimo Casey Affleck – non solo nell’espressività ma anche nel modo che ha di recitare, di muoversi."
I tuttofare
"La qualità di I tuttofare non è di quelle che possono trovarsi nella trama, è una dolcezza davvero fuori dall’ordinario che emerge con molta calma ma conquista, avvolge e riscalda. È nel petulante e fastidiosissimo Valero come nel muto Moha, nell’irascibile Pep e nella quotidianità di queste persone che sembra mostrarsi a noi con la naturalezza dei film di Ozu: piano ma senza noia. Ogni casa che visitano è un caso a sé e ha piccoli personaggi memorabili, tutto è in forma di commedia ma non si cerca mai la risata. È una leggerezza e una partecipazione che vorrebbero essere quelle dei primi film di Ken Loach, in cui la cosa più importante sono sempre le relazioni tra i lavoratori, solo molto meglio di quei film".
Pleasure
"Intorno a lei quest’industria del porno americano vista da una svedese sembra una high school da teen movie, con le ragazze popolari, le gerarchie sociali, le amiche outsider e una piccola comunità in cui inserirsi, è una bolla in cui l’etica del capitalismo spinto prende direzioni fisiche, comanda che il corpo vada brutalizzato e consumato (e lei è la prima volerlo, a spingere per pratiche BDSM nel momento in cui capisce che così può emergere più in fretta e farsi notare). È questo il senso in cui più guardiamo il film più riconosciamo le contraddizioni statunitensi (e Thyberg bada bene a mostrare la sua svedese come un alieno) una società in cui, al pari dell’industria del porno, alle donne viene chiesto ogni genere di sacrificio mentre sono gestite, riprese e tenuta a bada da uomini, anche quando loro sarebbero le star".
Hustle
"C’è un grande ed evidente motivo per cui Hustle funziona così bene nonostante la sua estrema banalità: che lo vogliate o meno, si chiama Adam Sandler. Un po’ spaccone e un po’ imbroglione ma ben ripulito di ogni demenzialità, Sandler veste infatti in questo linearissimo film sul mondo NBA non solo i panni evocati dal titolo – quelli appunto dell’hustler – ma i suoi abiti attoriali più fedeli, riuscendo ad aggiungere sostanza e profondità laddove né la trama né la spinta moralistica riescono ad arrivare."