I migliori film usciti in Italia nel 2023

Come testimoniano i migliori film usciti, il 2023 è stato l'anno di chi ha voluto rischiare e non quello di chi ha giocato sul sicuro

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È stato l'anno dei film controversi. Grazie a Dio. L'anno dei film che fanno arrabbiare, che dividono, che non sono quello che ci aspettiamo. L'anno in cui chi ha cercato di andare sul sicuro (i cinecomic) è andato male più di quanto non accada di solito e in cui chi ha tentato qualcosa di inusuale invece ha raccolto se non altro discussione, polemica e riflettori. In certi casi (si vedano Barbie e C'è ancora domani) anche molti soldi. Non vale la pena trarne una considerazione reale o una previsione, ma almeno il 2023 è stato un anno in cui chi è andato in sala a vedere qualcosa di rischioso è stato ricompensato.

E ancora ne dobbiamo vedere di film fatti nel 2023. Anche per questo, come sempre, abbiamo fatto una top 10 a parte per i titoli non usciti in Italia.

Ecco quindi una dopo l’altra le classifiche dei migliori film usciti in Italia quest'anno secondo i due principali critici che scrivono di cinema su Badtaste.

I migliori film usciti in Italia nel 2023 secondo Bianca Ferrari

10. Una sterminata domenica

Quello di Alain Parroni è uno dei migliori esordi del cinema italiano recente, sicuramente tra i più sorprendenti per la sua compattezza poetica, tra i più violenti per la forza sicura e dirompente delle sue immagini. Una sterminata domenica è erede del cinema dei fratelli D’Innocenzo, ne riprende le grandi opposizioni (centralità/marginalità, religione/paganesimo), la voglia di amare il brutto, lo scomodo. Parroni prende però con sicurezza la sua strada personale, e giocando con i linguaggi e i dispositivi (gli smartphone, la pellicola, la memoria digitale e/o analogica) riflette sulla tensione di vita e di morte degli adolescenti di oggi, il loro modo di stare al mondo, la loro voglia di essere e non di subire. Un autore da tenere d'occhio nei prossimi anni.

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9. Leila e i suoi fratelli

Le leggi del patriarcato hanno radici talmente profonde nella società iraniana che la lotta di Leila, nel suo piccolo, diventa qualcosa fuori dal comune. Umiliata e offesa dai suoi stessi genitori, a cui fa da badante, Leila coinvolge i suoi quattro fratelli verso un possibile riscatto economico con l'obiettivo di ottenere libertà e dignità. Saeed Roustayi crea per Leila e i suoi fratelli un conflitto per niente scontato, quello tra amore famigliare (tra mille sfumature e ambiguità) e la rabbia di chi ha sempre subito da suoi stessi cari una vita di privazioni e umiliazioni. Nessuno dei personaggi è completamente innocente: e così Leila e i suoi fratelli diventa uno specchio coinvolgente, lucido e chiaro di come la cultura, la storia e il maschilismo influiscano a tutti i livelli sulla vita delle persone. Senza alcuna retorica, ma lavorando di fino sulla trama, i personaggi e la regia.

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8. Io Capitano

A quanto pare ci voleva proprio il coraggio di Matteo Garrone per riuscire a portare finalmente sullo schermo un film così attuale e importante come Io Capitano: il racconto puntuale, dall’inizio alla fine, della rotta dei migranti del Mediterraneo, dall’Africa all’Italia. Io Capitano poteva essere tante cose, poteva accontentarsi di essere un film-testimonianza, una denuncia catastrofista, un j’accuse arrabbiato. E invece Garrone ancora una volta sceglie una strada per niente semplice, rischia tutto e fa in prima battuta di Io Capitano il racconto di formazione di un adolescente dall’età dell’ingenuità a quella delle responsabilità, una fiaba dark dove il contesto straordinario è qui quello, per l’appunto, di una più che reale rotta di sopravvivenza. Il fronte del Mediterraneo.

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7. Foglie al vento

Quelli di Aki Kaurismäki sono mondi che si reggono su una contraddizione di base: quella tra una manifestazione apatica, macchinosa, formalista (dalle luci tagliate di netto alla recitazione imbambolata) e un cuore di panna tutto sentimenti, animato da un commovente ottimismo naïf. Foglie al vento è ancora questo, una storia di due personaggi disillusi, tristi, rassegnati ad abitare la bruttezza dal mondo in senso ampio (è l'attualità, la radio parla delle guerra in Ucraina, ma sembra di stare negli anni Cinquanta) e quella del mondo del lavoro, ma che nell'incontrarsi trovano un senso - pienamente romantico - alle loro vite. Navigando con ironia il cinema stesso, tra l'esilarante presa in giro dello zombie movie di Jarmusch che "ricorda un film di Godard", l'amore di Kaurismäki per le immagini si chiude a cerchio, perfettamente, con il cinema di Chaplin. Il vagabondo preso a pugni dalla vita per eccellenza.

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6. Trenque Lauquen

Trenque Lauquen è la prova che il grande cinema non ha bisogno di grandi mezzi. Laura Citarella lungo più di 4 ore costruisce un mondo straordinario dentro all'ordinario apparentemente più noioso, facendoci credere qualsiasi cosa, creando piste che sembrano scollegate e che invece si ricongiungono nel modo più incredibile: nello spirito (dei luoghi, soprattutto) e nei sospiri di personaggi innamorati del mistero della vita. Come a leggere un libro di Murakami, o a vedere un film di Lynch. Non parliamo di stile, ma di visione. Trenque Lauquen potrebbe continuare all'infinito, coprire tutti i generi, ma elegge il mistery alla sua ragione ultima: la forma come contenuto, e viceversa. Capire cosa sta succedendo è ciò che ossessiona i personaggi, ma ne sono talmente presi che ogni mistero si apre al successivo. Un film potenzialmente infinito, generativo, immaginifico. Che meraviglia.


5. Il male non esiste

Il male non esiste, ci dice Ryūsuke Hamaguchi a caratteri cubitali, tramite il titolo del film. Si tratta di una sottile ironia, poiché in questo placido quadro di vita montana le classiche opposizioni morali sono solo apparenti (i capitalisti della città a rappresentare i cattivi invasori, un tranquillo montanaro la parte giustamente lesa) mentre il male invece esiste a tinte fosche, e lo si può cogliere solo se si ha il coraggio di guardare nella direzione giusta, andando oltre il proprio pregiudizio positivo. Hamaguchi racconta con un’eleganza e una sintesi sconcertanti l’abisso che divide contesti sociali differenti, parlandoci di un’incomunicabilità che è molto più profonda e angosciante della mera diversità delle abitudini o della provenienza. Come se Hamaguchi fosse arrivato al nocciolo estremo del suo discorso e del suo cinema, qui molto più magro che in Drive my car, il film si contrae durante la visione per poi espandersi nel significato continuamente, dopo i titoli di coda. Che classe.

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4. Under the Silver Lake

È del 2018 ma è arrivato in Italia solo nel 2023. Under the Silver Lake di David Robert Mitchell è la versione contemporanea e consumata de Il lungo addio (1973) di Robert Altman, o meglio: la sua riproposizione distorta e - lasciatecelo dire - pienamente postmoderna. Perché niente in Under the Silver Lake ha davvero senso se non per la sua mera presenza, vuota, derivativa, che può essere riempita in qualsiasi modo lo si voglia. E così, ciò che scopre un detective improvvisato, stupido e goffo (Andrew Garfield nel suo ruolo migliore) di un complotto della cultura di consumo (tra canzoni ascoltate a ritroso, scatole di cereali e giochi a premi) non importa davvero: ciò che conta è l'atto, il viaggio, il tempo che passiamo a fare questo gioco. Un gioco dove lo spettatore, che consuma il film, fa la stessa fine del detective.


3. Decision to leave

Forse solo Park Chan-wook poteva elevare una semplicissima trama da poliziesco in una danza ipnotica di violenza, ironia e insieme di folle e disperata fascinazione per una specifica caratteristica umana che da sempre anima il suo cinema: la debolezza di chi ha osato amare. E ora ne deve pagare le conseguenze. In Decision to leave si tratta del detective Jang Hae-jun, il quale partendo da un omicidio cerca di riavvolgere il filo di un'indagine che, tirato sempre di più, non fa altro che intrappolarlo in sé stesso dal momento in cui si innamora della donna sbagliata. Il passato, anch'esso fondamentale nella poetica di Park Chan-wook, si allinea così con il presente dei personaggi secondo mille direzioni e prospettive, fatte di immagini che già parlerebbero da sé ma che Decision to leave rimescola e riempie di senso seconda una progressione del tempo che non può essere lineare, ma segue la logica dei sentimenti. Un film di una complessità registica estrema e che Park Chan-wook fa sembrare fluido come l'acqua.

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2. As Bestas

I migliori villain cinematografici del 2023 sono a mani basse i fratelli di As Bestas. Due contadini di un paese sperduto della Galizia che, da quando si ritrovano come vicino di casa un francese con idee green, placido e testardo, trasformano la loro frustrazione in una rabbia sempre più violenta, cieca, terrorizzante. Rodrigo Sorogoyen parte da quel sentimento animalesco e bestiale e lo porta alle sue estreme conseguenze con una durezza che non lascia sconti, mettendoti di fronte al male più infimo di cui è capace l'essere umano - con tutte le drammatiche conseguenze del caso. Scritto e recitato magnificamente, As Bestas dà infine il colpo di grazia con il migliore dialogo dell'anno - quello tra la madre e la figlia, di una lucidità e una drammaticità da pelle d'oca.

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1. Tár

Con In the Bedroom e Little Children Todd Field aveva già indagato con spirito riflessivamente polemico – e poetico – sulla tensione di morte (da intendere anche in senso lato, come morte delle certezze dell’Io) che aleggia nelle tranquille comunità periferiche. Ora quel senso di ambiguità morale, per cui il male non esiste mai come un assoluto, si espande con una forza ancora più dura al mondo intero. Tár è un film potente e complesso proprio per la sua capacità di produrre discorsi acuti sulla contemporaneità più scottante, e lo fa a partire dal controverso personaggio della direttrice d'orchestra Lydia Tár (Cate Blanchett). Todd Filed esplora qui le implicazioni del potere in un senso più ampio, usando una dinamica coercitiva specifica (quella sessuale) per parlare di autorevolezza e autorità, due concetti che bussano alla porta nel momento in cui un’accusa sembra già una prova di colpevolezza, mettendo a dura prova la moralità di chi guarda. Field divide l’osservazione dalla presa di posizione compiendo un atto cinematografico raffinato, ma ha anche il coraggio di rendere questa ambiguità la sua stessa risposta: cioè che in Lydia Tár convivono entrambi gli estremi. Capace di meschinità e bassezze ma anche di un ingegno creativo e di una visione artistica impressionanti. La realtà è questa, facciamocene una ragione. L’arte è un’altra cosa.

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I migliori film usciti in Italia nel 2023 secondo Gabriele Niola

10. Trenque Lauquen

Era passato in Orizzonti a Venezia due anni fa ma è arrivato in sala quest'anno. È un film di 4 ore, o una miniserie in 4 puntate da un'ora l'una, oppure è un film in due parti di due ore. Non importa più. È un longform. È di Laura Citarella ma più che altro del collettivo El Pampero Cine (in cui c'è anche Mariano Llinas, quello di La Flor), il loro obiettivo è rifondare il racconto audiovisivo, e ci riescano o meno di sicuro ci stanno provando seriamente unendo stile da cinema d'autore e intrecci e trame commerciali una sull'altra. Trenque Lauquen è Twin Peaks ma diretto da Hong Sang-soo, una storia di misteri in una piccola comunità, di una donna che ci si appassiona, li lascia, si appassiona ad altri ancora, poi ne crea uno essa stessa. Tutto raccontato a capitoli, flashback e con racconti di persone che raccontano. Ci si perde davvero dentro Trenque Lauquen (il film, non la località) correndo appresso ai generi, si pesca dal B movie con mostri, dall'hard boiled, dal melò... E a un certo punto l'unica cosa che conta è il povero Chicho che si è davvero innamorato di Laura (quanto è rappresentato bene il processo di essere ossessionati dalla persona amata!) e una maniera diversa di intendere i soliti ruoli che non nasce dalla conoscenza dei personaggi (chi sono davvero non lo capiamo mai né ci viene spiegato) ma dai racconti che fanno, da quelli che inseguono e da ciò a cui si appassionano. Come detto: ci provano davvero a rifondare il racconto audiovisivo.


9. Foglie al vento

Il film più romantico, tenero e ottimista dal regista più scontroso, burbero e pessimista. Con il suo stile che mette insieme gli opposti (a partire da una messa in scena essenziale che in realtà è basata su una fotografia ricca di colori saturi), Kaurismaki fa incontrare ancora una volta dei marginali finlandesi che non sembrano nemmeno vivere nel nostro tempo, ma più in una terra immaginaria simile agli anni '50, e sogna di un amore con i ritmi dei suoi film, mal dichiarato, maldestro nella manifestazione, difficilissimo negli incastri ma che quando arriva assume la forma di due/tre stacchi di montaggio su laghi, paesaggi e cieli tersi che dicono tutto. Il cinema come arma per migliorare la realtà.

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8. Killers of the Flower Moon

C'è un significato politico forte dietro questo film, la volontà di continuare il discorso di Gangs Of New York e L'età dell'innocenza, la controstoria degli Stati Uniti come di un paese da sempre retto su regole tribali. Ma al di là di quello c'è uno Scorsese per certi versi rinnovato, che rifiuta il suo solito passo indemoniato ma anche la catarsi di Silence, e approda a uno stile da grande romanzo, con una calma che non vuol dire mai noia, con una capacità di lavorare sulla narrazione chiara che non vuol dire mai banalità. Come i più grandi registi anche Martin Scorsese non è preda dello stile che gli ha dato il successo, la sua capacità di dire una cosa per suggerirne altre può prendere qualsiasi forma.

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7. Spider-man: Across the Spider-verse

Tra diversi decenni studieremo l'impatto di Lord e Miller sul cinema mainstream, come abbiano fatto di film in film, di studio di produzione in studio di produzione, a contrabbandare cinema d'autore europeo che riflette su concetti di copyright, di storytelling e di industria del cinema, all'interno dei film più commerciali possibili. Spider-man: Across The Spider-verse riesce nell'impresa impossibile di migliorare Spider-man: Un nuovo universo, crea nuovi personaggi che con pochissimo tempo sullo schermo si rivelano cruciali (Spider-punk), un nuovo mondo fatto di regole sue come il cinema fatica a creare e sostanzialmente dimostra che non importa se si lavori su una proprietà intellettuale o no, il cinema originale non dipende dall'uso di situazioni o personaggi non originali.

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6. As Bestas

Come si può fare ancora oggi un cinema di corpi, uno cioè che fonda la gran parte del suo fascino e della sua capacità di veicolare un senso, sulla maniera in cui vengono ripresi i fisici dei suoi protagonisti, su come è scelta e studiata la loro concordanza o opposizione? Sorogoyen non fa altro, è appassionato di come le persone appaiono e usa la loro pesantezza o leggerezza nella storia. Qui c'è un corpo pesante e onesto che si scontra con uno scheletrico e bastardo, il primo di città, il secondo incattivito da una vita di povertà e lavoro contadino. Nell'inizio al rallentatore in cui diversi uomini domano un cavallo senza strumenti, solo con i loro corpi, c'è tutto.

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5. Io capitano

Il film su cui accapigliarsi dell'anno, quello che ha ritirato fuori la battaglia su come è opportuno filmare certe storie, cosa è morale ed etico fare e cosa no. Garrone prende la decisione più imprevedibile, filma il viaggio dei migranti come un road movie, sceglie due ragazzini che vivono in un villaggio ripreso come un luogo piacevole, due esaltati all'idea di andare in Italia a fare i soldi perché lo hanno visto sui social media, e li mette in un viaggio che a tratti ha musiche da commedia in altri sembra un pezzo di una favola. È il gesto filmico dell'anno: riprendersi una storia dall'attualità e dalla cronaca, non negare gli orrori (anzi!), e riportarla nel reame della finzione, usare la forza del falso in una trama presa dalla realtà per andare oltre quella realtà, e raccontare l'animo tenero di due adolescenti che in fondo sono ancora bambini, illusi, ingenui e pieni di una speranza che solo gli spettatori sanno che sarà distrutta dopo la fine del film. Eccezionale.

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4. Inu-Oh

Finalmente è arrivato. Ci sono voluti anni ma è arrivato in Italia il film d'animazione giapponese più sorprendente visto ultimamente. È stata presentato a Venezia nel 2021 e nel 2023 è uscita per qualche giorno in sala, questa assurda storia animata a budget molto contenuto ma piena di idee di due rivoluzionari del teatro No che sono raccontati come fossero rockstar. Nel 600 giapponese due mutanti cambiano corpo, suonano strumenti d'epoca con sonorità elettriche, fanno concerti pazzeschi, infiammano i fan e soprattutto creano problemi all'autorità, che vorrebbe che le persone non pensassero.

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3. The Quiet Girl

Di film così ne escono uno ogni 10 anni. Film che riescono a trasformare la quiete in qualcosa di devastante, che ambiscono a raccontare la meraviglia della conquista della normalità. Tecnicamente sarebbe un melodramma, la storia di una bambina cresciuta in una famiglia povera che ha conosciuto solo ruvidità e modi bruschi, accolta per una estate in una famiglia borghese (quella della zia) che ha una sete pazzesca di amore per dei figli che non ha mai avuto e che la porta a riempire la bambina di amore. E lei come un animale inizialmente non capisce, poi per la prima volta si sente amata. Raccontare questo, con alcune delle scene più toccanti viste negli ultimi anni che riguardino dei bambini, è veramente una conquista rara.

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2. Leila e i suoi fratelli

Il cinema iraniano è tra i più vivi di questo decennio e Saeed Roustayi con questo suo terzo film dimostra che capacità abbia raggiunto quell'industria di un regime dittatoriale, di creare film con livelli produttivi eccezionali, una scrittura magistrale e interpreti di livello eccellente (il padre della famiglia protagonista è fenomenale) che poi costano al regista l'incarcerazione. Come sia possibile questo è un mistero, di fatto a differenza di quel che accade in molti altri paesi del mondo, in Iran il cinema è ad oggi la professione intellettuale scelta dalle persone che hanno da dire, le più attive e le più ricettive. Leila e i suoi fratelli mescola uno svolgimento da cinema indipendente americano, con personaggi da commedia all'italiana e intrecci da Asghar Farhadi.

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1. Decision to Leave

Senza il montaggio che contraddistingue questo film la sua storia sarebbe quella di un detective che innamora della donna sbagliata. Con il montaggio che evidentemente Park Chan-wook aveva in testa già nella fase di sceneggiatura, visto come tutto è pensato, organizzato e scritto per intrecciarsi e passare da scena a scena, diventa un viaggio nella disperazione di un uomo di mezza età, triste quando è con una donna che lo ama, eccitato, felice e innamorato quando è con una che sembra sempre non poter raggiungere. Non c'è niente di semplice in questo film, niente che non contenga il suo opposto, una contraddizione evidente o un desiderio contrastante, niente che non sia dominato dalla complessità dell'animo umano. Eppure, il miracolo filmico, è la chiarezza con cui capiamo le diverse spinte dentro al protagonista, quella con cui ne comprendiamo i vincoli eppure i desideri brucianti. Stupidi, autolesionisti e sciocchi, eppure così condivisibili.

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