McG è il male
McG è in un periodo d’oro della sua carriera nel quale gli fanno fare di tutto: fermiamolo prima che sia tardi
Soprattutto da Netflix, della quale è diventato una sorta di alfiere, o musa, o cavallo di razza, scegliete voi la definizione che preferite: dopo il successo di La babysitter (che è merito di Samara Weaving, ma questo non ditelo a McG se no si offende), esempio di originale Netflix che si è meritato un sequel, e nonostante Rim of the World sia passato inosservato sostanzialmente ovunque, è di questi giorni la notizia che si occuperà anche, insieme all’altra star di casa Netflix Joey King, dell’adattamento filmico di Uglies, romanzo young adult distopico scritto da Scott Westerfeld. È una pessima notizia, perché significa che ci toccherà subire un altro film diretto da McG, uno che ha abbandonato più progetti di quanti ne abbia portati a termine Christopher Lee e che ha il non invidiabile primato di avere azzeccato non più di un film e mezzo in vent’anni di carriera.
McG l’MC
E pensare che la carriera di McG era cominciata così bene: era compagno di liceo di Mark McGrath, insieme al quale fondò una band della quale sarebbe anche dovuto essere il cantante. Le cose andarono un po’ diversamente a causa della sproporzione tra i due in termini di presenza scenica, e McG decise di lasciare il palco a McGrath e lavorare per la band, che a quel punto si era deciso di chiamare Sugar Ray, come produttore, promotore e fotografo di scena. Ve li ricordate gli Sugar Ray?
Il successo della band fece circolare il nome di McG che, come era successo ad altri autori dal momento della nascita di MTV in avanti, cominciò a ricevere chiamate per dirigere video su video: il Nostro è responsabile tra l’altro di quello di Pretty Fly degli Offspring, di All Star degli Smash Mouth e di Blind dei Korn.
Se solo si fosse limitato a quel genere di lavoro!
McCharlie’s Angels
Invece no, perché, anche a causa di quest’idea sbagliatissima che se uno è bravo a dirigere un video musicale sicuramente saprà anche dirigere un film, Drew Barrymore gli offrì la regia di Charlie’s Angels, e gli diede come bonus anche un cast ricchissimo, di quel genere di ricchezza che di solito si vede solo per i film di Wes Anderson o di Tarantino: oltre a Barrymore, Cameron Diaz e Lucy Liu, le Angels del titolo, c’erano Sam Rockwell, Tim Curry, Crispin Glover, Luke Wilson e ovviamente Bill Murray, cooptato addirittura per il ruolo di Bosley, uno dei pilastri del franchise.
Il risultato incassò circa 250 milioni di dollari nel mondo, come ampiamente prevedibile per un film del 2000 con Cameron Diaz, pur non piacendo particolarmente né al fandom della serie né a chi delle Charlie’s Angels non sapeva nulla. Caciarone e colorato, persino un po’ troppo stupido, dimostrava fin da subito quello che si sarebbe rivelato il più grosso difetto del McG regista, cioè la sua incapacità di distinguere tra il set di un video musicale e quello di un film; era un film di montaggi frenetici e pieni di trucchetti strutturali tipo transizioni pazze, crossfade e split screen, intervallati a primi piani o inquadrature suggestive di gente famosa. McG ha sempre trattato attori e attrici come fossero frontman di una band, e non si è mai staccato da quella cifra stilistica: la sua incapacità di evolvere e di sviluppare uno stile meno irritante di quello con cui quasi riuscì a rovinare Charlie’s Angels è da sempre il più grosso ostacolo alla sua carriera.
McG, collezionista di progetti morti
L’altro grosso ostacolo è la sua incapacità di portare a termine un lavoro, o quantomeno di convincere chi dovrebbe pagarlo a continuare a finanziarlo. McG ha diretto 9 film in vent’anni di carriera cinematografica, ma se volete sapere a quanti ha cominciato a lavorare solo per abbandonare a metà strada dovete aggiungere almeno uno 0. Il caso più clamoroso è probabilmente quello di Superman, un progetto al quale McG venne accostato per la prima volta nel 2002. Come prima cosa Joseph contattò JJ Abrams per fargli scrivere uno script, che venne proposto alla produzione a luglio; ora di settembre McG era già fuori dai giochi, avendo mollato il progetto per dedicarsi a Charlie’s Angels – Più che mai, uno dei peggiori sequel che la storia ricordi, capace di prendere le poche cose buone del primo film e gettarle dalla finestra in favore di uno script tutto incentrato sull’idiozia e su Cameron Diaz in bikini.
Pensate che la storia di Superman sia finita così?
Oh no, anzi: nel 2003 Warner Bros. ri-assunse McG per il film, e il nostro cominciò a spendere e spandere in storyboard, ricerca delle location e concept art – prima di mollare tutto di nuovo pochi mesi dopo perché le riprese si sarebbero dovute svolgere a Sydney e McG ha paura di volare. Il film finì poi in mano a Bryan Singer e uscì come Superman Returns, a dimostrazione che non tutto è bene quel che finisce senza McG; il quale nel frattempo stava andando avanti a collezionare progetti mollati a metà, da un remake di La rivincita dei nerd a quello per la TV della serie inglese Spaced (pensate che cos’abbiamo scampato), passando per un film Disney basato su 20.000 leghe sotto i mari.
McG ha fatto anche cose buone?
All’interno di questa carriera fatta di pessime idee mai portate a fruizione e idee altrettanto pessime che purtroppo hanno visto la luce del sole, il povero McG è riuscito anche ad azzeccare un paio di opere. We Are Marshall prima di tutte, più per merito di Matthew McConaughey e di una sceneggiatura da perfetto film sportivo con tutti i beat al posto giusto e il corretto mix di lacrime e risate; e Una spia non basta, bocciato dovunque ma che è in realtà un esempio perfetto dell’unico tipo di storia che McG è in grado di girare senza fare una figuraccia: ultra-kitsch, esagerata, senza alcuna pretesa se non quella di infilare una dopo l’altra una serie di inquadrature fighissime e senza alcun reale peso sulla storia. Un esercizio di (pessimo) stile con un cast di gente che fa sempre incassi al botteghino: è questa la cifra stilistica di McG e il massimo che si può permettere, e se non ci credete provate a riguardarvi 3 Days to Kill, poi tornate qua a pentirvi.
C’è un altro grosso, enorme, gigantesco problema nella carriera di McG: le cose che faceva vent’anni fa, quando era alimentato dall’entusiasmo dei trent’anni, sono le stesse che fa oggi, quando è appesantito dall’esperienza e dovrebbe forse smetterla di girare e montare film come se avesse appena scoperto l’esistenza di Internet. Il McG di oggi è l’equivalente registico del meme di Steve Buscemi in 30 Rock, un cinquantenne con il buon gusto di un sedicenne, un senso estetico e un immaginario di riferimento rimasti fermi alla fine degli anni Novanta e la totale incapacità di restare al passo con i tempi. Non c’è esempio peggiore di questo dei due capitoli di La babysitter, strapieni di momenti meta-, rotture della quarta parete, citazioni di vecchie opere pop e persino quelle scrittone fluorescenti in WordArt usate per commentare ogni scena e che hanno smesso di andare bene circa dieci anni fa con l’uscita di Scott Pilgrim.
Eppure McG, quest’uomo che sogna di essere un Edgar Wright ai tempi di TikTok ma è nella migliore delle ipotesi una versione da discount e senza talento del Michael Bay più pop, continua a lavorare, e a quanto pare non ce lo toglieremo di torno tanto presto visto che sta facendo la fortuna di Netflix.
Come se il 2020 non fosse stato già abbastanza crudele con la nostra specie...