Marvel, Goran Parlov parla del suo lavoro per Punisher: The Platoon
Goran Parlov parla della sua tecnica di disegno e di Punisher: The Platoon, la nuova storia di Garth Ennis
Alpinista, insegnante di Lettere, appassionato di quasi ogni forma di narrazione. Legge e mangia di tutto. Bravissimo a fare il risotto. Fa il pesto col mortaio, ora.
Amo il fatto che Frank sia sostanzialmente un robot, Terminator. Nei primi numeri, l'ho proprio immaginato come Terminator. Contano i fatti, per lui. Zero emozioni. O almeno è quel che dà a vedere. Funziona con il codice binario: uno e zero, nero e bianco, colpevole e innocente, puro e semplice. Adoro il suo volto impassibile, freddo, con quegli occhi che però bruciano e lo sguardo che ti terrorizza. Anche questo rubato a Terminator, al modo in cui Scharzenegger ti guardava con quell'occhio luminoso e rosso. Nella mia versione, Frank agisce come lui, pensa come lui, cammina come lui. Frank è il Terminator che c'è in me.
Rido spesso, quando leggo le sceneggiature di Garth e questa è una gran cosa. Se fanno ridere me, penso sempre che sarà lo stesso per tanta altra gente. Di solito, non leggo mai subito le sceneggiature interamente, ma a pezzi, un po' per volta mentre disegno, per lasciare che mi sorprendano durante il lavoro. Così le emozioni mi colpiscono sul momento e le fisso sulla pagina all'istante, in maniera molto immediata. Se leggo tutta la sceneggiatura, poi mi resta solo il ricordo di quel che mi ha comunicato, non la sensazione viva. A volte, Garth mi diverte, a volte mi disgusta, a volte mi dà emozioni completamente diverse, ma le uso sempre in maniera istantanea per disegnare.
L'espressività dei miei personaggi viene per gran parte dalla mia immaginazione e dalla mia matita. Il resto è frutto della mia osservazione del mondo, della TV, delle riviste e dei fumetti. Mai solo di fumetti, perché è importante non limitarsi a quelli. Non ho mai avuto l'abitudine di usare foto o uno specchio come riferimento. Utilizzo chiaramente molte immagini come documentazione, ma non le copio mai, perché raramente trovo quel che mi serve in uno scatto. Sembra una maledizione, ma anche gli oggetti mi trovo sempre a realizzarli, per qualche ragione, da una prospettiva diversa da ogni fotografia che trovo. Oppure ho già l'immagine esatta di quel che devo realizzare nella mente e non voglio cambiarla solo per poter copiare.Non uso nemmeno modelli in carne e ossa. Sarebbe strano averli nel mio studio e non riuscirei a concentrarmi sul lavoro. Zero modelli di armi o cose così. L'unico modellino che ho è la Dodge Charger di Hazzard. E una Ford Capri che era l'auto di mio padre e ancora sta nel mio garage. Oh, e un modellino del razzo di Tin Tin. Anzi due. In Starlight ne ho disegnata una versione un po' modificata, così come ho usato la Dodge in un numero di Terminator. Amo quella macchina. Il mio sogno sarebbe una storia di Punisher con un sacco di automobili, tipo The Punisher incontra Mad Max 2, uno dei miei film preferiti.
Ho visto Steve in un film, ne ho fatto un paio di schizzi e poi ho lasciato che il personaggio si evolvesse da lì, da solo, attraverso le pagine. Chi se ne importa se non è più Steve? Un altro dei personaggi è stato ispirato da uno dei miei vecchi capi di una casa editrice, e diversi miei amici potrebbero riconoscersi nei volti della storia. Non so mai quando e da dove l'ispirazione possa colpirmi.
Le mie influenze più importanti? Alex Toth, Moebius, Alfonso Font, Bernet, Frank Thorne, Frank Robbins, Ernesto Garcia Seijas, John Romita Sr., John Prentice, Jim Holdaway, John M. Burns, Romero, Angelo Stano, Sergio Tacconi, Duncan Fegredo... e milioni di altri. Ma questi sono in cima a tutti. Comunque mi scopro spesso ad imparare qualcosa anche da artisti che considero scarsi. Persino nel peggior disegnatore del mondo puoi trovare qualcosa di utile.
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Fonte: Marvel