Marvel: Christopher Priest su come le elezioni abbiano ispirato la trama di U.S.Agent

Christopher Priest ha legato tematicamente le vicende di U.S.Agent agli argomenti che tengono banco in questi giorni negli Stati Uniti

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Spoiler Alert
Una delle leggi non scritte del fumetto supereroistico è che tutti hanno un gemello malvagio: l’immagine speculare e contrapposta dell’eroe che contrasta punto per punto tutti i suoi poteri e le sue qualità, ma li interpreta e li utilizza in modo contrario. Forse nel caso di Capitan America parlare di gemello malvagio è eccessivo, ma anche il buon Steve Rogers ha un suo riflesso “distorto” con cui fare i conti: John Walker, meglio noto come U.S.Agent, il patriota pragmatico e imperfetto che si contrappone all’idealismo e al sogno di perfezione di Cap.

U.S.Agent torna sulla scena in questi giorni con una nuova miniserie in cinque parti intitolata American Zealot e realizzata dal team creativo composto da Christopher Priest e Georges Jeanty. E forse non è un caso che faccia la sua ricomparsa in un periodo in cui nel mondo reale gli Stati Uniti si scoprono più imperfetti che mai, con il loro sistema democratico messo a dura prova e il conflitto ideologico che sembra avere la precedenza sul confronto pacifico.

Priest racconta che nel mettere insieme questo nuovo capitolo della storia di John Walker ha voluto tenere d’occhio l’America di questi tempi e di avere legato tematicamente le vicende di U.S.Agent agli argomenti che tengono banco nei giorni delle elezioni. Ecco come:

U.S.Agent #2, copertina di Marco Checchetto

Priest - La chiave di lettura principale di John Walker è il fatto che non sia Steve Rogers. U.S.Agent si veste come Capitan America, ma in realtà non è Capitan America. L’essenza del personaggio sta nel definire meglio chi è Captain America, o più precisamente, chi o cosa Cap non sia. Walker è impaziente, irascibile, critico, cinico; uno specchio drasticamente imperfetto dell'impeccabile guerriero che Cap rappresenta. Ma in questi difetti si nasconde la sua umanità, una sorta di desiderio alla Bruce Willis di insinuarsi nelle situazioni più pericolose semplicemente perché è la cosa giusta da fare. John Walker è un ragazzo che ce la mette tutta. Lui è l’uomo medio, americano al cento percento. Vale la pena fare il tifo per lui.

Avendo accettato un appalto del governo, John viene pagato molto di più per fare molto meno lavoro. In realtà sbriga lavori di bassa lega (protezione armata, vigilanza ecc...) e guadagna un sacco di soldi. Quindi fa più o meno quello che ha sempre fatto, ma in modo meno affascinante o emozionante. È come essere licenziati dalle forze di polizia per poi diventare una guardia di sicurezza privata che sorveglia il parco macchine della polizia. I veri poliziotti ti guardano e ridacchiano quando escono per la notte.

Mi è venuta l'idea quando mi sono reso conto che una percentuale sempre più ampia di cosiddetti "agenti governativi" sono, in realtà degli appaltatori... impiegati temporanei armati di mitragliatrici. Vivendo in una città militare del Colorado, ho conosciuto molti appaltatori governativi, anche se la maggior parte dei miei amici si occupava di burocrazia negli uffici delle installazioni militari e faceva cose di cui non si poteva parlare a cena.

U.S.Agent #1, variant cover di Toni Infante

Per come ls vedo io, Walker preferirebbe di gran lunga rimanere "ufficiale", anche se deve svolgere una versione annacquata del suo vero lavoro. Ho solo cinque numeri, il che è frustrante, perché il personaggio aveva davvero bisogno di un restyling ed era necessario mettere a punto questa nuova infrastruttura e definire gli antefatti retroscena. Ho pensato che per definire quale fosse il lavoro vero e proprio di John, sarebbe potuta essere una buona idea togliergli quel lavoro e darlo a qualcun altro. Così la nostra storia può incentrarsi su quel lavoro e sul motivo per cui ha valore sia per John Walker che per l'America.

Ho anche voluto affrontare il tema del nervosismo globale. Mentre siamo qui che parliamo, alla fine di ottobre, gli abitanti di tutto il Paese stanno di nuovo accumulando carta igienica. Hanno anche comprato tutte le munizioni nei negozi di armi. È un evento abbastanza senza precedenti il fatto che la maggioranza degli americani attenda con ansia il giorno delle elezioni nel timore di possibili disordini civili. Un’ansia del che a mio parere è stata completamente fabbricata dall'uso capriccioso e pernicioso dei social media al servizio di qualche fine politico.

Una volta c’erano le elezioni. Qualcuno avrebbe vinto, gli altri sarebbero rimasti in panchina per quattro anni, punto e basta. Avrebbero comunque costruito le strade e finanziato le scuole, e il governo avrebbe funzionato comunque. Ora invece viviamo in un periodo oscuro e sinistro in cui le visioni contrastanti sul patriottismo sono espresse da un linguaggio offensivo e dalla minaccia della violenza.

È da qui che viene il titolo della mia storia. Siamo tutti zeloti americani. Ci sono molte visioni dell'America in competizione, e ogni collegio elettorale che fa gli straordinari per imporre la sua visione al resto del paese. Ma invece di competere con le nostre idee nell’ambito dell'opinione pubblica americana, siamo diventati apertamente ostili l'uno all'altro. E così viene a mancare il cuore del vero valore dell'America: un coro di voci, volti, culture, valori e idee differenti tra loro.

La trama di American Zealot è molto lineare: ci sono tre personaggi principali che rappresentano tre Americhe nettamente diverse, e ognuno lotta per imporre la propria visione nel complesso. La sfida per uno scrittore è presentare queste opinioni in modo equo e, idealmente, senza pregiudizi, se possibile. Il nostro obiettivo è di promuovere la discussione e insegnare a essere d'accordo sul fatto di non essere d'accordo.

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Fonte: Newsarama

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