Martin Scorsese sul New York Times: "Ho detto che i film Marvel non sono cinema. Fatemi spiegare"

Martin Scorsese torna sui suoi commenti sui film Marvel in un articolo sul New York Times, e allarga il discorso all'industria cinematografica

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Le parole di Martin Scorsese sui cinecomic, e in particolare i film Marvel, come "parchi di divertimento" hanno scatenato un putiferio quando sono state pubblicate da Empire un mese fa, tanto che il regista qualche tempo dopo su Entertainment Weekly ha precisato che "non è cinema, è un'altra forma d'arte".

Ora Scorsese torna sull'argomento dalle pagine del New York Times, con un pezzo intitolato "Ho detto che i film Marvel non sono cinema. Fatemi spiegare", ampliando e contestualizzando maggiormente il discorso e facendo ovviamente riferimento all'industria cinematografica attuale, dominata dai franchise di Hollywood:

Mi è stata fatta una domanda sui film Marvel. Ho risposto. Ho detto che ho provato a vederne alcuni e che non sono fatti per me, che mi sembrano più simili a parchi divertimento che ai film che conosco e amo da tutta la vita, e che alla fine non ritengo siano cinema. La gente sembra impazzita sull'ultima parte della mia risposta, considerandola un insulto, o la prova del mio odio per la Marvel. Se qualcuno vuole proporre le mie parole così, non posso farci nulla.

Molti film appartenenti a franchise cinematografici vengono realizzati da persone di notevole talento e maestria. E si vede sullo schermo. Il fatto che i film in sé non mi interessino è una questione di gusti personali e di carattere. Se fossi più giovane, se fossi cresciuto in questi anni, probabilmente queste pellicole mi avrebbero entusiasmato e forse ne avrei anche voluta fare una. Ma sono cresciuto quando sono cresciuto, e ho sviluppato un senso dei film - di dov'erano e dove potevano essere - lontano dai film Marvel quanto la Terra è lontana da Alpha Centauri.

Per me, per i registi che amo e rispetto, per gli amici che hanno iniziato a fare film nello stesso periodo in cui ho iniziato io, il cinema è una rivelazione - estetica, emotiva e spirituale. È incentrato sui personaggi - la complessità delle persone, la loro natura contraddittoria e a volte paradossale, il modo in cui possono farsi del male o amarzi a vicenda e improvvisamente devono affrontare se stessi. Si tratta di affrontare l'inaspettato sullo schermo e nella vita che drammatizza e interpreta, ampliando il senso di ciò che è possibile fare a livello artistico. Ed era quella la chiave per noi: era una forma d'arte.

[...] Penso si possa dire che Hitchcock era un franchise. O che era il nostro franchise. Tutti i film di Hitchcock erano un evento. Ritrovarsi in un vecchio cinema affollatissimo a vedere La Finestra sul Cortile era un'esperienza incredibile: un evento creato dalla chimica tra il pubblico e il film stesso, ed era elettrizzante. E se vogliamo, anche alcuni film di Hitchcock erano dei parchi didivertimento. Penso a L'Altro Uomo, in cui il climax si svolge su una giostra in un parco di divertimento, e Psycho, che vidi a mezzanotte del giorno d'uscita, un'esperienza che non dimenticherò mai. Le persone andavano al cinema per farsi sorprendere e non venivano deluse. Sessanta, settant'anni dopo guardiamo ancora quei film e ne rimaniamo affascinati. Ma li guardiamo per via dei colpi di scena? Non penso. Ci sono scene spettacolari in Intrigo Internazionale, ma non sarebbero che un succedersi di composizioni eleganti e dinamiche senza le dolorose emozioni al centro della storia o l'assoluto senso di smarrimento del personaggio di Cary Grant.

[...] Alcuni dicono che i film di Hitchcock erano una cosa a parte, e forse è vero - lo stesso regista se lo chiedeva. Ma i franchise di oggi sono un'altra cosa ancora. Molti degli elementi che definiscono il cinema come lo conosco sono presenti nei film della Marvel. Ciò che manca è la rivelazione, il mistero, o il genuino senso del pericolo. Nulla è veramente a rischio. Questi film vengono fatti per soddisfare un insieme specifico di esigenze, e sono progettati per essere variazioni su un numero finito di temi. Vengono definiti sequel ma sono remake nello spirito, e tutto in essi viene approvato ufficialmente perché non si può fare altrimenti. È la natura dei franchise moderni: si fanno ricerche di mercato, si testano con il pubblico, vengono esaminati, modificati, ricontrollati e rimodificati finché non sono pronti per essere consumati.

[...] Vi chiederete quale sia il mio problema. Perché non posso semplicemente lasciar stare i film di supereroi e i franchise? La ragione è semplice. In molti posti nel nostro paese e in giro per il mondo, i franchise sono la scelta principale quando volete andare a vedere qualcosa sul grande schermo. È un momento molto difficile per le sale cinematografiche, e ci sono sempre meno cinema indipendenti. Sono cambiati i paradigmi, lo streaming è diventato il principale distributore di contenuti. Eppure, non conosco un singolo regista che non voglia progettare film per il grande schermo, che vengano proiettati davanti a un pubblico nella sala cinematografica. Me incluso, nonostante abbia appena completato un film per Netflix. È stato l'unico modo per fare The Irishman come volevo, e sarò sempre grato per questo. Abbiamo una finestra cinematografica, il che è grandioso. Se voglio che il mio film rimanga per più tempo al cinema? Cerco. Ma non importa con chi fai il tuo film, rimane il fatto che gli schermi nella maggior parte dei multiplex sono affollati da franchise.

[...] Negli ultimi 20 anni, lo sappiamo tutti, l'industria cinematografica è cambiata completamente. Ma il cambiamento più grande è avvenuto di nascosto, nel buio della notte: la graduale, ma costante, eliminazione del rischio. Molti film oggi sono prodotti perfetti confezionati per il consumo immediato. Molti di loro vengono realizzati da team di persone di grandissimo talento. Ma allo stesso tempo, gli manca qualcosa di essenziale per il cinema: la visione unificante di un artista.

[...] La situazione, purtroppo, è che ora abbiamo due campi separati: c'è l'intrattenimento audiovisivo globale, e c'è il cinema. Capita ancora che si sovrappongano, ma sta diventando sempre più raro.

[...] Per chiunque sogni di fare film o stia iniziando a farli, la situazione al momento è brutale e inospitale nei confronti dell'arte. E l'atto di scrivere semplicemente queste parole mi riempie di una terribile tristezza.

Potete leggere l'intero pezzo sul New York Times. Vi ricordiamo che The Irishman è disponibile da ieri, per tre giorni, in un numero selezionato di cinema italiani (trovate la lista qui, alcuni lo programmeranno per un periodo più lungo) per poi arrivare dal 27 novembre su Netflix.

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