Martin Scorsese: la classifica dei film del regista, dal peggiore al migliore

La storia dei film di Martin Scorsese è quella dell'evoluzione di uno stile, di alti e bassi, scoperte di attori e sperimentazione. Sempre

Critico e giornalista cinematografico


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Quasi 60 anni di carriera nel lungometraggio, 26 film in filmografia ma solo 10 nella nostra lista del meglio di Martin Scorsese. Dalla fase iniziale indipendente e a budget minuscoli con Harvey Keitel, a quella del tentativo di imitare il vecchio studio system e della scoperta del rapporto con Robert De Niro, dagli anni ‘80 della disperazione della cocaina all’esaltazione dei ‘90, il ritorno al grande spettacolo d’autore degli anni 2000, gli Oscar e poi anche la fase dei megafilm lunghissimi da piattaforma (quella attuale).

TuttoScorsese tuttoattaccato (escluso il nuovo arrivato, Killers Of The Flower Moon), vagliato per voi e messo in classifica tenendo conto di un film (o quasi) per tipologia affrontata, della maniera in cui i film in questione centrano il loro obiettivo, della capacità che hanno avuto di cambiare il cinema intorno a loro, del potenziale innovativa e poi ovviamente anche del puro e semplice piacere filmico. Che è una scienza irrazionale in cui Scorsese eccelle, quella sottile patina di eccitazione data dall’eros, dalla paura, dalla tensione o dall’umorismo che mette nel riprendere le cose e passa per un’elettricità generale simile a quella che anima la sua parlantina.

10. L’età dell’innocenza (1993)

Poco dopo Quei bravi ragazzi arriva una storia di altri bravi ragazzi ma di alto rango, gruppi di uomini e di donne che si fidano gli uni degli altri e si riconoscono come simili, sempre a New York solo qualche centinaio di anni prima. In mezzo una donna in un mondo che non la vuole, che non la lascia entrare e che nonostante sia ben edotto di tutte le norme di buona educazione dimostra che ci sono più modi per uccidere qualcuno che il solo sparargli.


9. Mean Streets (1973)

Prima di questo film nessuno aveva mai usato la musica non originale, popolare, d’epoca, in questa maniera per raccontare un’altra epoca (nello stesso anno America Graffiti avrebbe reso la pratica un caposaldo del cinema). Nell’attacco del film Scorsese invece fa svegliare Harvey Keitel in mezzo alla notte, lo fa guardare allo specchio e poi sdraiare di nuovo consapevole che, come dice “I peccati non si scontano in chiesa ma per le strade e nelle case, il resto sono stronzate e lo sanno tutti”. Una scena semplice e memorabile, che apre poi a tre stacchi di montaggio che sostituiscono una carrellata a stringere per lanciare i titoli di testa con musiche d’epoca come un lancio di batteria fa partire un brano. Un’ouverture che fa partire in una direzione chiara non solo un film ma una carriera intera.


8. Fuori Orario (1985)

Nell’Odissea Ulisse cerca di tornare a casa ma gli dei glielo impediscono in un modo o nell’altro. In Fuori Orario un eroe che non ha niente dell’eroe, un impiegato comune con sogni da quattro soldi e obiettivi piccini, si perde a New York, di notte, non riesce a tornare a casa e finisce sballottato nei quartieri, nelle case, sulle scale, dentro i negozi o nelle discoteche. Non c’è pretesto più pretesto di questo per esplorare una città che, per Scorsese, è un unico grande serpente tentatore e rivela se stessa di notte. New York qui sembra un posto in cui è impossibile essere santi e non si può che fare come il protagonista, che scende sempre più in basso fino al grado ultimo.


7. L’ultima tentazione di Cristo (1988)

C’è un’idea eccezionale dietro questo film, che non è solo quella della possibile vita alternativa alla crocifissione di Gesù Cristo (quella è più una cosa per teologi) ma quella di raccontare una figura divina come qualcuno che sente dentro di sé un costante combattimento tra il naturale e il trascendentale, tra la carne e lo spirito. Dentro Willem Dafoe si muove una natura animalesca, terrena, sporca e materialista che viene non elevata, ma proprio dilaniata come nelle stigmate, dal divino. Qualcosa che ha a che fare con un martirio più che con l’ascensione. Nessuno aveva mai immaginato così Gesù e quindi l’idea di spiritualità. La chiesa lo bandì fino allo stremo delle sue forze.


6. Toro scatenato (1980)

Ad oggi sappiamo come si posa trasfigurare una vicenda terrena in qualcosa di trascendentale. Lo sappiamo perché Martin Scorsese lo ha fatto con Jack LaMotta, cioè prendendo il bianco e nero di Accattone di Pasolini (in sé una storia cristologica) e affiancandolo con una ricerca formale sofisticata. Si prende una musica a contrasto con la brutalità e la si monta cercando sempre di affiancare la natura bestiale dei personaggi, con le scene in cui invece cercano di essere qualcosa di più. Nato come il resoconto di una personalità violenta in un contesto violento, Toro scatenato diventa il simbolo di un cinema formalmente sperimentale anche quando è pensato per un pubblico ampio.


5. The Wolf Of Wall Street (2013)

Instant classic. Jordan Belfort è l’ultimo di una lunghissima serie di uomini che alla fine di una parabola infernale, piena di depravazione e corruzione finiscono in un purgatorio, una zona nella quale non è chiaro se siano dannati o salvati. Hanno fatto di tutto ma hanno (in un certo senso) anche espiato, e alla fine vivono nel peggiore degli stati per quelli come loro. Alla fine di un delirio in cui il film stesso sembra sotto Quaalude scaduto, in cui il miglior DiCaprio dà fondo alla sua capacità di unire charme e devastazione personale (a un certo punto Belfort sembra lui stesso non in controllo del suo corpo in cui, come per Gesù, si agita qualcosa che non controlla), una platea non diversa da quella della sala guarda Jordan Belfort e noi non sappiamo se questa persona vada salvata oppure no.


4. Taxi Driver (1976)

È il film simbolo di un’era intera, un reduce che non si integra nella società e diventa una scheggia impazzita, viene usato per raccontare quella città stessa, che sembra un’estensione della sua testa tarata dalla sindrome da stress post traumatico. Non capisce niente Travis Bickle, odia tutti, odia lo sporco, odia la città e odia i politici ma non capisce di non essere diverso da quello che non tollera. Negli anni dell’antieroismo americano la carneficina finale fece impressione, oggi rimane un’esplosione di violenza filmata con rara capacità di rendere l’idea di cosa ci sia di spaventoso e aberrante nella morte. 


3. Al di là della vita (1999)

L’ultima collaborazione tra Scorsese e Schrader è un film malatissimo e allucinato, in cui un paramedico gira per New York cercando di salvare vite senza successo. Stavolta New York, filmata poco prima di cambiare per sempre ed essere ripulita dalle strade, è un inferno e nessuno filma l’inferno come Scorsese. Per lui è sempre una questione di montaggio, di come si possa riprendere anche l’azione più semplice, di come si possa illuminare o mettere in scena anche un salvataggio (cosa è il momento in cui le scintille di una motosega che dovrebbe liberare una persona sofferente sembrano fiamme infernali??) suggerendo altro. Nicolas Cage, una volta tanto, è perfetto così com’è, gli viene chiesto di essere il più Cage che può e questo lavora in perfetta armonia con un film in cui la ricerca di purezza, redenzione e qualcosa di superiore al travaglio quotidiano sembra impossibile. Anche solo tre saponi colorati, sono un miraggio.


2. Life Lessons da New York Stories

Alla proposta di partecipare al film collettivo New York Stories con un suo cortometraggio Scorsese risponde con una delle sue produzioni migliori, la storia breve di un pittore, un artista tipicamente newyorchese, che fatica a conciliare la sua idea caotica di lavoro e vita, con il sentimento, l’amore e gli altri. È complicato da spiegare e semplice da guardare (come il cinema migliore), e ancora di più è un cortometraggio che parla con il montaggio di Thelma Schoonmaker, tutto strappi, sovrimpressioni sonore (con A Whiter Shade Of Pale), associazioni che alla logica preferiscono l’intuizione e una eccezionale concretezza nell’affiancare desideri e aspirazioni a pulsioni e ambizioni, ciò che di meglio sì agita negli esseri umani con quello che di peggio li guida. Come fossero la stessa cosa. Alla fine abbiamo capito perfettamente il crinale preciso in cui l’amore sì tiene in equilibrio con il lavoro dentro quell’essere umano. E ci sembra il nostro. This is cinema.


1. Quei bravi ragazzi (1990)

È il film che ha salvato Martin Scorsese da se stesso e ha aperto tutto un nuovo capitolo per lui. Tornando alle sue origini dopo anni di peregrinazione cinematografica riscopre la famiglia, il quartiere e le persone con cui è cresciuto, filmando la storia di un gangster così da vicino che solo qualcuno che ci è cresciuto accanto poteva farlo. In più Quei bravi ragazzi è anche una delle punte più alte della sperimentazione di Scorsese, qui viene fondato uno stile e una camerawork moderni a cui tutti da quel momento si ispireranno, o almeno cercheranno di imitare. Inquadrature dei dettagli (la pistola sporca di sangue nella mani con unghie lunghe di Lorraine Bracco), sound design maniacale (l’elicottero che sembra perseguiutarli), recitazione spinta al massimo (non solo il famoso pezzo di Joe Pesci e del clown ma anche la commistione tra attori professionisti e la madre di Scorsese a tavola, che recitano tutti allo stesso livello), utilizzo della musica, esplosioni di violenza inattese e forse il miglior voice over di sempre.

L'ultima fatica del regista, Killers of the Flower Moon, è nelle sale italiane dal 19 ottobre.

Trovate tutte le informazioni sul film nella scheda!

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