MacGyver, 35 anni della serie che è diventata un verbo

La serie con Richard Dean Anderson è talmente iconica che “to macgyver” si trova sul dizionario

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TV

Esattamente 35 anni fa su ABC andò in onda il pilot di una nuova serie creata dal quasi-esordiente Lee David Zlotoff, intitolata MacGyver.

Nei primi dieci minuti del primo episodio di questa nuova creatura televisiva si vedeva un tizio, di nome MacGyver per l’appunto, aggirarsi tra le montagne dell’Asia centrale in cerca di un razzo supersegreto americano precipitato in loco e finito nelle mani di un gruppo di miliziani locali, recuperarlo grazie a una serie di intricati trucchetti e fuggire; dopodiché partiva la sigla.

Mullet

MacGyver, le origini

Anche in quel decennio di magnifici eccessi televisivi che sono stati gli anni Ottanta, che tra l’A-Team, Miami Vice e Magnum P.I. non hanno smesso neanche per un attimo di esplodere, MacGyver spiccava e spicca ancora oggi, trentacinque anni e diverse bombe disinnescate dopo. Creata da Zlotoff e prodotta tra gli altri da Henry Winkler, seguiva la vita (rigorosamente verticali, per tutti i 139 episodi che sono andati in onda) di un agente segreto con una doppia laurea in chimica e fisica e le sue pericolosissime e avventurose missioni per conto prima di un dipartimento del governo americano (l’inesistente DXS, Department of External Services), e poi della Phoenix Foundation, una no-profit semi-segreta legata al DXS.

E non faceva molto altro: da sempre lontana da ogni tentazione di orizzontalità o di progressione narrativa, MacGyver era invece una fumettosissima collezione di avventure autoconclusive al cui cuore stava quello che negli anni è stato codificato come “macgyverism”, definito dall’Oxford Dictionary come “la creazione o riparazione di un oggetto in maniera improvvisata o inventiva, utilizzando qualsiasi attrezzo a disposizione in quel momento”. Anche chi non ha mai visto neanche mezza puntata di MacGyver sa di cosa stiamo parlando: è quel modo di affrontare la realtà per cui basta una graffetta, un po’ di nastro adesivo e due carote per costruire un carroarmato, e a insegnarcelo è stato un tizio di nome Angus.

MacGyver Cartello

MacGyver e la nascita del macgyverismo

A ripensarci oggi, Angus MacGyver è un personaggio talmente perfetto da risultare noioso. Ha una doppia laurea, è un esperto di scienze pure e applicate, un attivista per i diritti delle popolazioni native, dei disabili, dei bambini e delle specie animali in pericolo, uno dei primi vegetariani famosi della fiction, un genio dell’improvvisazione che nonostante maneggi spesso esplosivi e sostanze corrosive è anche per la non-violenza e contrario alle armi da fuoco tipo Batman, è poliglotta, pittore, chitarrista, appassionato di hockey, esperto di paracadutismo e free climbing, tombeur des femmes ma immune da ogni traccia di mascolinità tossica, un uomo d’azione capace anche di commuoversi e provare emozioni...

... e, ovviamente, ha un approccio al suo mestiere che prevede una totale assenza di pianificazione e una straordinaria capacità di imbastire una soluzione e trovare una via di fuga anche dalle situazioni più spinose, utilizzando solo il suo ingegno, la sua conoscenza di chimica e fisica, il suo coltellino svizzero e qualsiasi cosa gli passi per le mani in quel momento. Il macgyverismo, ed è questo che distingue il personaggio interpretato da Richard Dean Anderson da altri agenti segreti più o meno pieni di risorse, non è semplicemente invenzione e improvvisazione: è soprattutto capacità di interpretare la realtà circostante con gli occhi della scienza, di guardare con occhi diversi a oggetti di uso quotidiano; è una forma mentis, una filosofia di vita, è il motivo per cui (immaginiamo noi che sia così) dal 1985 in avanti si sono moltiplicate le riparazioni di fortuna nelle case di tutto il mondo. Chiunque seguisse MacGyver voleva essere MacGyver, supereroe senza superpoteri capace di vedere una sostanza sigillante per riparare il radiatore di un veicolo dove il resto del mondo vedeva solo un uovo.

MacGyver Fiammifero

Diffusione del macgyverismo

L’esempio dell’uovo non è casuale: la prima stagione di MacGyver ebbe un successo limitato, ma già dalla seconda lo show cominciò a macinare pubblico e consensi, al punto che i produttori dello show si rivolsero direttamente al fandom chiedendo loro di spedire lettere nelle quali proponevano soluzioni creative a problemi complicati – macgyverate, insomma. Lettere che arrivarono a valanga e diedero vita a uno dei primissimi (e ancora oggi rarissimi) casi di fan fiction collettiva incoraggiata dagli autori del prodotto originale, che passarono migliaia di proposte al vaglio della consulenza scientifica di John Koivula e Jim Green.

Alla fine ne scelsero solo una, che riguarda per l’appunto un uovo e un radiatore che potete godervi nel diciannovesimo episodio della seconda stagione intitolato Bushmaster; ma il semplice fatto che sia successa una cosa del genere, e in un’epoca pre-Internet, è indicativo di quanto MacGyver negli anni Ottanta fosse diventato molto rapidamente un modello di vita più ancora che una serie televisiva, come dimostra peraltro la successiva e preoccupante diffusione dei mullet. Solo un appassionato vi saprebbe raccontare l’intera trama di un episodio a caso di MacGyver; ma anche lo spettatore più casuale sarebbe in grado di dirvi che a un certo punto c’è qualcosa che minaccia di esplodere e c’è un tizio che ripara questo qualcosa usando una gomma da masticare e due figurine Panini.

MacGyver Surf

Prima del salto dello squalo

MacGyver andò testardamente in onda per sette stagioni, senza mai cambiare, evolvere, mutare, ma costruendo pezzo dopo pezzo l’edificio mitologico intorno al suo protagonista, esplorandone il passato e la personalità, fino a quando, proprio quando la serie stava cominciando a mostrare i primi segni di cedimento (come dimostra la presenza nella settima e ultima stagione di ben due diverse sequenze oniriche nelle quali MacGyver entra in contatto con gli spiriti dei suoi antenati), Zlotoff, Winkler, Anderson e il resto del team produttivo dietro alla serie decisero che era arrivato il tempo di staccare la spina. MacGyver se ne andò come era arrivato: al momento giusto, senza polemiche, senza aver mai esagerato o sbagliato davvero qualcosa; nessuna cancellazione, nessun rimpianto, solo una serie che aveva detto tutto quello che voleva dire e che chiuse i battenti prima del temutissimo salto dello squalo (un rischio che Henry Winkler conosceva bene).

Ovviamente negli anni a venire non sono mancati i tentativi di resuscitare il personaggio, prima con due film per la TV (il primo dei quali, Il tesoro perduto di Atlantide, è il vero quarto Indiana Jones), poi con un reboot datato 2016 che stiamo cercando con tutte le nostre forze di dimenticare. Forse non è più il periodo giusto per MacGyver, oggi che basta uno smartphone per avere accesso a tutte le nozioni di fisica e chimica che il buon Angus custodiva nella sua memoria. O forse, più semplicemente, non abbiamo bisogno di nessun reboot: meglio tornare a godersi quei 139 episodi, e domandarsi che cosa farebbe MacGyver se avesse a disposizione trentacinque candeline, una torta e il suo fedele coltellino svizzero.

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