Luna Park: la creatrice Isabella Aguilar e il cast presentano la nuova serie Netflix ambientata negli anni '60
La creatrice e i protagonisti di Luna Park hanno presentato la nuova serie Netflix parlando di musica, anni '60 e punti di contatto tra passato e presente
In primo piano nella storia c'è la vicenda di Nora, una giovane giostraia, e di Rosa, una ragazza della Roma bene che, grazie ad un incontro voluto dal destino, scopriranno di essere sorelle. In un susseguirsi di intrighi e misteri da svelare, cercheranno di fare luce sul perché, ancora in fasce, sono state separate e destinate a vivere due vite completamente agli antipodi, estranee del forte legame che invece le univa.
Sullo sfondo di una delle città più belle del mondo, Roma, con le sue luci, lo sfarzo, i divertimenti dei mitici anni della Dolce Vita e la magia del Luna Park, la serie porta due famiglie a guardarsi indietro per fare chiarezza sul proprio futuro. Nel Luna Park si alternano e si intrecciano i destini di diverse generazioni, in un percorso fatto di intrighi e segreti durante il quale troverà posto anche la scoperta del primo amore.
Ecco cosa hanno raccontato Isabella Aguilar, Simona Tabasco, Lia Grieco, Alessio Lapice, Guglielmo Poggi e Edoardo Coen ai giornalisti che hanno partecipato all'incontro virtuali.
Isabella Aguilar: Ci sono diverse grandi fonti musicali nella serie. Una è quella delle canzoni dell'epoca con cover di brani di Gino Paoli, cantante live, e non solo. E poi c'è la vera e propria non original soundtrack che ci ha permesso di fare delle scelte più coraggiose e per cui abbiamo pensato a una colonna sonora fuori dal tempo, con brani che semplicemente amavamo e avessero comunque un fil rouge sia nei testi sia emotivo, ed è per lo più soft rock, rock tradizionale e derivazioni fino all'oggi. Per questo abbiamo canzoni di Florence and Machine, David Bowie, Bon Iver, i Muse... Abbiamo giocato sul fatto che essendo una serie "pop", pur avendo un impianto filologico per quanto riguarda i costumi, le scenografie, la storia - non c'è nulla di fasullo dal punto di vista storico - per le musiche abbiamo voluto, di comune accordo con la produzione e Netflix, osare qualcosa in più per creare un collegamento con l'oggi, in modo un po' più libero e forte.
Il ruolo di Nora è molto diverso rispetto agli altri personaggi femminili. In che modo, Simona, stai vivendo questa "responsabilità" di proporre figure in cui le spettatrici possono riconoscersi e che offrono un'immagine diversa della donna rispetto a quella proposta in passato?
Simona Tabasco: I personaggi femminili di questa serie sono tutti un po' diversi dalle donne che conosciamo, a partire da Rosa o dalla nonna di Nora e queste due mamme, cercano la verità e di andare a fondo delle cose. Mi fa molto piacere che la situazione della rappresentazione femminile stia cambiando, spero che si evolvi sempre di più.
Come vi siete avvicinate ai personaggi di Nora e Rosa, che vivono in un periodo storico diverso dal vostro, e in cosa pensate che i giovani possano immedesimarsi guardando la serie?
Lia Grieco: Ammetto che è stato molto interessante cercare di costruire questo personaggio perché abbiamo dovuto informarci dal punto di vista stilistico e storico, oltre a pensare proprio al personaggio. Io e Simona abbiamo visto molti film degli anni '60 per capire lo stile dell'epoca, l'atteggiamento, tutta una serie di cose... Sicuramente è stato difficile perché molte cose non ci appartengono più sia dal punto di vista culturale sia dal punto di vista comportamentale, ma i personaggi sono stati scritti molto in modo autodeterminato, ci si può riconoscere molto bene, credo che le giovani riusciranno a trovare dei punti di connessione con loro e con questa emancipazione femminile, e in generale di tutti i personaggi.
Simona Tabasco: Di Nora ho pensato che tanto fosse già scritto e quando l'ho letta mi è sembrata una ragazza libera che non doveva seguire nessuno schema, essendo cresciuta in una famiglia di giostrai dove non c'era alcuna regola da seguire. Penso che il look generale della serie possa coinvolgere i ragazzi contemporanei, anche grazie alle musiche, la scenografia e tutti gli altri elementi.
Considerando il finale della stagione, si sta già lavorando alla seconda?
Isabella Aguilar: Ovviamente sì, finirla così sarebbe strano ma ovviamente dipende dal gradimento del pubblico. Sulla carta esiste la seconda stagione e cerchiamo di farla, la storia è idealmente pensata per tre stagioni, la storia continua quindi speriamo di poter proseguire.
Per il tema della crescita, dell'amicizia al femminile, e della famiglia, qualcuno potrebbe pensare al successo ottenuto dai romanzi e dalla serie L'amica geniale. Si tratta di un'opera che ha in qualche modo influenzato la sceneggiatura?
Isabella Aguilar: Onestamente non era uno dei riferimenti a cui ho pensato, per quanto sia una saga di romanzi e una serie che amo molto. Non faceva parte dei miei punti di riferimento. Ho pensato più a Frozen che a L'amica geniale per quanto riguarda il rapporto tra le due sorelle.
La serie è ambientata negli anni '60, quale aspetto di quegli anni avete amato e vi ha colpito di più e quale invece siete felici che sia diverso nella realtà contemporanea?
Alessio Lapice: Ho visto molti film di quegli anni e mi sono immerso totalmente nella realtà dei cinema dell'epoca e la cosa che mi ha colpito di più, ed è stato molto bello e interessante riportare sul set, è stata la loro vitalità, l'energia, il loro modo di essere famelici, una grandissima energia. Paradassolmente, a mio parere, credo che rispetto al nostro mondo del 2021, in cui sembra siamo così aperti ed evoluti, quelli fossero davvero senza filtri e seguissero ogni impulso e senza pensare troppo, senza avere un infinito background nel cervello, un macchinare che adesso facciamo continuamente. Lavorare su quell'energia, su quell'essere liberi e vivere profondamente tutto, è stata la cosa più bella, e nel rapporto tra i nostri personaggi credo si capisca proprio questo.
Edoardo Coen: Quello che mi piace di più di quegli anni è al tempo stesso la cosa che sono contento sia passata: ovvero la facciata, questi grandi formalismi, la forma. Da un lato è molto affascinante perché negli anni '60 la media borghesia aveva questa eleganza, questo modo di vestirsi, di conciarsi, si faceva molta attenzione a ogni tipo di dettaglio, come ho capito anche dai racconti dei miei genitori e dei miei nonni. Al tempo stesso sono grato che tutto questo non ci sia più perché poi si sono liberati perché era una po' una menzogna di quegli anni, del dopoguerra e del boom economico, è andato tutto consumandosi ed era inevitabile. Ho ad esempio ascoltato delle registrazioni fatte con il Geloso dei miei nonni, fatte anche dai miei genitori che erano piccoli, e avevano proprio un modo di parlare molto teatrale. Mio nonno sembrava Gassmann, nonostante fosse un avvocato. Questa cosa affascina perché ora è raro uscire per strada e trovare persone eleganti, belle da vedere, ma al tempo stesso sono contento che sia stato tutto superato perché forse ora c'è molta più onestà, la gente si fa meno problemi nel relazionarsi con gli altri.
Gugliemo Poggi: Una cosa che personalmente mi sono anche trovato a fare per il ruolo è trovare una mediazione tra il nostro linguaggio e quello che si era anche visto in televisione perché il mio personaggio entra in quel mondo. C'erano degli esempi eccezionali come Mario Riva, Corrado... Ho dovuto trovare un linguaggio e credo che per tutti noi sia stata una una difficoltà inventare un linguaggio e mediare tra il personaggio che ti viene dato e qualcosa che invece rientra nei canoni. Quello che mi ha colpito - e ne abbiamo parlato tra noi - in questa ricerca e nella responsabilità, considerando che molta gente che può vederla è viva, quindi devi stare attento perché non puoi inventarti proprio tutto e fare qualcosa che non c'era, è questa voglia - nella famiglia Gabrielli e in generale - di buttarsi alle spalle non solo la guerra, ma un'idea di silenzio ectoplasmico, di fantasmi, elemento che porta a questa vitalità, a questa tendenza a pestare con i piedi con il twist mentre si balla, alle luci, al cinematografo, al suono specifico... Da questo punto di vista a me non sembra un aspetto del tutto distante da noi. Chiaramente ci sono delle differenze abissali, ma è anche vero che questa voglia di consumare la vita, questa vitalità, di sentire musica, di inondare il mondo di qualcosa che copra il silenzio terribile di appena quindici anni prima non è così distante nell'imbarazzo provato dalle persone nello scoprire chi è la moglie, chi sono i figli perché costretti dentro una casa da una pandemia. Io credo che in questo senso, pure nella totale differenza, io mi sia totalmente vicino a quel periodo. Durante le riprese ho avuto davvero la percezione che anche noi avessimo la stessa voglia di stare fuori, di stare nel camerino degli altri a parlare, a vederci, di fare cose. Credo che sia un'epoca davvero vicina a noi.
Lia Grieco: Sono perfettamente d'accordo con i miei colleghi e una delle cose che più evidenti, di cui sento forse la mancanza oggi che ho ho apprezzato di quell'epoca vivendola in modo ricostruita, è questa sensazione che c'è sempre qualcosa che deve succedere, perché tutto si deve creare, un fermento continuo e costante. Sembra quasi una sensazione di onnipotenza di questi personaggi perché sono nell'epoca più "scoppiettante" della storia moderna, è assolutamente qualcosa per cui si riesce a provare la nostalgia anche se non si è vissuti in quel periodo. Ricostruire questo tipo di clima e ambientazione è stato molto emozionante. Quello di cui non sento la mancanza, potrei dire una banalità anche se non lo è mai, è sicuramente la posizione delle donna in quegli anni che non era sicuramente facile. Isabella ha scritto dei personaggi molto autodeterminati ma non era affatto così. Se guardiamo i film degli anni '60 si viene riportati in una realtà molto coerente con quello che accadeva all'epoca. In queste opere che sono comunque dei capolavori, come in Poveri ma belli di Dino Risi, ci sono questi schiaffi che volano, queste cose così forti che oggi ci fa strano vedere e accettare che fosse una cosa normale di cui non si poneva nemmeno il problema.
Simona Tabasco: C'è anche una scena nel film La Notte di Antonioni dove questa donna viene presa a schiaffi per cinque minuti e questo aspetto decisamente non ci manca. A me piacciono gli anni '60, anche per come li abbiamo messi in scena, perché penso oggi ci manchi in qualche modo il potere di vivere davvero la nostra vita, è come se fossimo divisi tra il vivere davvero la realtà e questa specie di vita che abbiamo tramite i dispositivi elettronici, è qualcosa che non amo di oggi. Avrei voluto vivere negli anni '60 per tutto quello che c'era.
GUARDA: il trailer della serie
Come è nata la voglia di parlare della Roma di passato e quali analogie ci sono rispetto ai tuoi precedenti lavori?
Isabella Aguilar: L'esigenza è nata perché Netflix ha detto che non aveva tante serie 'feel good' e mi sono chiesta cosa volesse dire, ho pensato a un mondo che ami come spettatore, dove vuoi tornare, restare. Molte serie non hanno questa caratteristica, altre sono quasi una forma di cultura per lo spettatore, magari costruttiva, ma non puoi vivere nel mondo di Breaking Bad, puoi farlo in quello di Stranger Things. Mi sono chiesta quale fosse per me un mondo dove stare bene ho pensato al nostro degli anni '60. Ed è un mondo che fino a questo momento è stato raccontato poco, in parte perché il cinema di quel periodo è stato così potente, si raccontava così bene, la narrativa del dopoguerra in Italia era magnifica, poi c'è stata una sorte di inibizione nel raccontare troppo quell'epoca. Negli anni successivi ci sono state più serie, film, sugli anni '70, '80, anche '90... Li abbiamo raccontati così bene gli anni '60 all'epoca e ho quindi trovato questo angolo divertente, divertito, citazionista, giocoso con cui raccontarli. Mi sono quindi fatta coraggio e, siccome erano gli anni che adoravo e con cui ero cresciuta attraverso il cinema e la narrativa, ci ho messo dentro tutto quello che a me faceva stare bene, compreso il luna park che era un angolo un po' particolare, meno ovvio rispetto a Cinecittà e Via Veneto, che comunque ci sono nella serie. Il luna park è un mondo che adoro, mi fa stare bene, mi ricorda tutta una serie di reference poetiche, da Stephen King a tutto ciò che emana una gioia e ricorda la perdita dell'innocenza. Mi sembrava un mondo che avesse la giusta dose di luci e ombre per rappresentare gli anni '60 che erano apparentemente così belli, vitali, pieni di voglia di vivere, ma al tempo stesso covavano anche il germe di disagio, c'era una bolla che presto sarebbe scoppiata, c'era tantissimo spionaggio, pressione sociale, il tentativo di emergere dalla povertà, grande confusione e la nascita di un fortissimo squilibrio tra classi sociali. Tutto questo, secondo me, poteva essere raccontato tenendo conto dell'oggi. Tantissime dinamiche somigliano a quello che raccontiamo in Luna Park, tanti profili sociali hanno dei punti in comune come nei comunisti della serie che c'è un qualcosa dei radical chic di oggi, negli ex fascisti c'è una certa destra popolare e populista di oggi, e nei giostrai c'è un desiderio aspirazionale, la voglia di togliersi da questi conflitti, di essere anarchici e vivi, ma anche il rischio di chiudere il dialogo con l'esterno per mantenere questa anarchia. Tutto questo insieme, dagli studi sugli anni '60, sul meta anni '60 con il cinema e la letteratura, e con i parallelismi con oggi è nato questo progetto.
Dopo le esperienze nella serialità più generalista, Alessio e Simona, cosa pensate che la serie abbia per piacere al pubblico abituato ai prodotti delle piattaforme di streaming?
Alessio Lapice: Credo che Luna Park sia una serie che è un po' una ventata d'aria fresca, ha uno stile suo molto forte che fa vivere quegli anni, li fa toccare tramite la sua energia, attraverso la vitalità dei suoi personaggi. Viviamo in un mondo dove è giusto ed è assolutmanete lecito battersi per tutto quello che non funziona, ma credo anche si debba coltivare quello che ci fa sognare, quello che è bello. Penso che questa serie, quando qualcuno sarà seduto sul divano a guardarla, farà sognare un mondo che non ha conosciuto, per i ragazzi, o sarà un mondo che suscita nostalgia per chi l'ha vissuto. Si tratta di una serie che tratta sicuramente dei temi importanti dell'epoca tuttora presenti, ma attraverso. uno sguardo sincero, vivo e fresco. Come i genitori di questi personaggi venivano da una guerra e c'era questa grande energia, voglia di vivere, volevano stare bene, toccarsi, guardarsi negli occhi, anche noi siamo in un momento in cui siamo reduci da un periodo molto difficile. Si tratta della situazione migliore per apprezzare la serie perché ci sono state delle conseguenze economiche e sul tessuto sociale, molti ragazzi sono dovuti crescere in casa, non hanno potuto frequentare la scuola, sono venuti a mancare un po' i rapporti. All'epoca c'era tantissima voglia di vivere e riprenderci quello che era stato tolto e sedersi, guardare la tv e sognare insieme ai personaggi credo sia la cosa migliore per pensare a cose belle, anzi bellissime, perché ne abbiamo bisogno, più delle altre epoche. Sul set sentivamo di essere fortunati perché la gente in quel momento era in casa, a fare il meglio che poteva, e noi invece eravamo sul set che è il posto che rappresenta per noi la cosa più bella, stando all'aperto, facendo quello che amavamo.
Simona Tabasco: La serie credo abbia anche una specie di fumo, di patina, che contribuisce a farla sembrare una fiaba, cosa che probabilmente abbiamo voluto raccontare. Lo facciamo attraverso gli occhi di due ragazze appena ventenni, di ragazzi molto giovani negli anni '60, quindi in qualche modo che possono sembrare un po' ingenui se si mettono a confronto tra i quindicenni, ventenni di oggi. Le cose sono molto cambiate.
Il mio personaggio credo piaccia per il fatto che sia libera, è una ragazza imprendibile e non si capisce mai chi è realmente, è un suo lato positivo. Ti incuriosisce, e poi la serie è coinvolgente.