Lucca 2018: Masters of Horror 2, l'indimenticabile incontro tra Junji Ito, Dave McKean e Ruggero Deodato
Una masterclass con alcuni dei migliori talenti della paura tra illustrazione, fumetto e cinema horror
Masters of Horror, è un incontro che nasce in occasione del bicentenario della pubblicazione di Frankenstein, l’idea è mettere insieme degli artisti del mondo della paura per farli confrontare sulle tematiche dell’horror, del fantastico e dell’ignoto.
Vi riportiamo qui gli estratti migliori di quel che si è detto. A partire dalla descrizione che Junji Ito ha fatto del progetto e dall’illustrazione che ha creato appositamente.
JUNJI ITO: “Qualche giorno fa ci siamo riuniti noi 4 artisti perchè avevamo pensato ad uno scambio di idee da cui poi scaturisse delle opere. Per concepire questo rendez-vous ci siamo rifatti a quello che Mary Shelley e altri autori fecero quando lei concepì Frankenstein. Assieme al poeta Byron, a suo marito e al poeta Polidori si chiusero in una villa, colti da una tempesta durante un soggiorno in montagna. E per passare il tempo in maniera fruttuosa si scambiarono idee sull’horror, così da produrre opere letterarie a partire da quello. Ho pensato allora di scegliere proprio frankenstein come tema. Inoltre sono anche un grande fan di Lovecraft e uno dei racconti che più mi è rimasto impresso è stato La maschera di Innsmouth. Ho così unito le interazioni tra personaggi umani e gli abitatori degli abissi a forme di pesce alla creatura che il dr. Frankenstein assembla. Ad Innsmouth infatti vivono persone con un aspetto metà pesce e metà umano, e ho ripensato a come la creatura di Frankenstein sia concepita nell’opera originale, in modo che i pezzi da cui è formata non siano solo umani ma anche di creature marine”.
Dave McKean si è imposto in tutto l’incontro come quello con le idee più chiare, la sua spiegazione della relazione tra onirico, reale e fantastico, e perché gli interessi è stata incredibile:
E poi ancora sull’attualità di un racconto come Frankenstein:
DM: “Evidentemente è una storia potente, sulla terribile paura della morte. Se oggi possiamo creare la vita in un certo senso possiamo sconfiggere la morte. E il fatto di avere a che fare con la scienza accresce la sua potenza (Frankenstein è infatti una delle prime storie in assoluto ad avere a che fare con la scienza come forza spaventosa e creativa), inoltre è scritta da una donna in un tempo in cui avere un figlio era pericoloso, creare la vita era una cosa pericolosa. Il cocktail è fortissimo e credo per questo continui ad essere rilevante oggi. Inoltre c’è quella sensazione di poter essere dei, e oggi siamo ad un punto in cui come umani stiamo accedendo ad abilità da dei, principalmente la possibilità di vivere al di là dei nostri corpi e creare la vita…”
Ruggero Deodato è stato ovviamente tirato in ballo per il suo lavoro seminale su Cannibal Holocaust che ha inquadrato parlando di cosa era l’orrore nel periodo in cui è stato realizzato:
RUGGERO DEODATO: “Amavo molto i film di Mondo Cane, la trilogia che comprende anche Africa Addio e Addio Zio Tom, mi piacevano quelle immagini crude ma eleganti. Ma ero contro il fatto che questi documentaristi facessero cose terribili, come filmare le fucilazioni vere però scegliendo loro le location, magari su una collina con il sole che tramonta. Ecco io volevo andare contro questa loro caratteristica, anche se li amavo. Quindi feci un film contro di essi ma sgangherato, non volevo essere elegante, doveva avere la verità nella falsità. La cosa strana è che i film di Jacopetti erano veri mentre il mio è falso, eppure il mio ha resistito 30 anni e quelli di Jacopetti sono andati dimenticati. Volevo salvare i ragazzi dai telegiornali dell’epoca che parlavano di morte e terrorismo, mi chiedevo perché loro potessero fare tutto e a me invece mi tagliavano o mi censuravano.
Poi il film è nato da sé perché l’appetito vien mangiando, ogni volta che mandavo dei pezzi di girato al MiFed di Milano [un mercato del cinema in cui si vendevano film negli altri paesi ndr] si vendeva benissimo, allora continuavo. Il mio produttore mi diceva proprio: “Ammazza chi ti pare!”. Nella finzione ovviamente, ma sono passati tutti come omicidi veri. Addirittura in tribunale fui accusato di aver ucciso esseri umani e dovetti portare gli attori vivi e vegeti in aula”.
Però è vero che avevi dato indicazione di sparire e non farsi vedere in giro agli attori?
RD: “Sì, era la mia pazzia dell’epoca. Non c’era internet, quindi dissi agli attori di sparire e di non fare altro (ma erano allievi dell’actor studio, era un’utopia la mia) firmarono anche un contratto. Tuttavia ci fu un passaparola taciturno incredibile. Il risultato però è che quando poi è uscito quel filmetto, The Blair Witch Project, che ha avuto successo per via di internet, in molti si sono ricordati del mio film”.
Subito dopo ha preso la parola Miguel Angel Martin, illustratore di Cannibal Holocaust 2, tratto dal trattamento per il sequel mai realizzato.
MIGUEL ANGEL MARTIN: “Non posso raccontare la storia ma Ruggero credo abbia avuto l’intelligenza e l’umorismo di prendere in giro il primo film. Questo evidentemente alla fine della storia paga, è una fine bellissima, una grandissima idea. Vi prego di leggere il trattamento perché non credo sarà mai girato. Io da subito non volevo fare un libro che sembrasse il National Geographic, con paesaggi e animali, ma uno di violenza e sesso. Quindi tutte le illustrazioni sono finalizzate a questa. Sono 30-40 sequenze e così ho fatto 3-4 disegni per sequenza”.
Junji Ito ha poi preso di petto l’orrore e la paura nella sua produzione:
JI: “Sono passati 20 anni dal mio debutto. Nei primi 10 ho realizzato storie autoconclusive, tuttavia la rivista su cui le pubblicavo è stata chiusa. Successivamente mi venne proposto di serializzare le mie opere su un’altra a cadenza settimanale. L’editore dell’epoca non prediligeva delle storie autoconclusive ma voleva opere lunghe con continuità. Io non ero molto pratico nel disegnare storie lunghe e come primo consiglio mi fu detto di scegliere in modo chiaro il tema su cui incentrarle. Mi venne in mente di prendere una città particolare in cui avvengono eventi strani bizzarri e inspiegabili. Per dare un tono strano e particolare alla città avrei potuto creare un’unica casa lunghissima che si attorcigliava su se stessa come una grande muraglia. Successivamente però capii che meglio di una muraglia dritta poteva rendere una casa che si attorciglia su se stessa, a spirale. È così che ho deciso di inserire il motivo della spirale in modo ricorrente in tutto Uzumaki. Nelle storie disegnate fino a quel tempo il tema della spirale non era mai stato ricorrente e avevo un po’ paura a cimentarmici, per questo ho pensato ad una città maledetta dalle spirali”.
Infine Deodato ha raccontato un progetto su cui vorrebbe lavorare:
RD: “Per caso ho letto un libro di Melville e ho pensato che fosse un peccato non averlo letto subito dopo Cannibal Holocaust.
È la storia di una nave baleniera che sbarca su un’isola, i marinai sono subito impiccati ma due di loro scappano, si rifugiano su una roccia e poi quando la barca riparte, iniziano a girare per l’isola. Scoprono così che ci sono due tribù, una cannibale e una no, finiranno in una delle due ma non sanno quale sia. Una partenza da thriller pazzesco. Alla fine scoprono di essere in quella cannibale. Ed è stata scritta nel 1846! Ha un fascino pazzesco. Che poi era una storia vissuta da Melville. [il libro in questione è Taipi ndr]
La cosa strana della paura dei cannibali è che resiste. Il difetto dell’horror solitamente è che se non è un capolavoro lo si dimentica in fretta, invece quando c’è il mistero reale allora regge. Tanto è vero che il libro di Melville lo leggono ancora”.
A chiudere è stato McKean con una riflessione sul ruolo dell’artista, oggi.
DM: “Io credo che l’arte abbia tanti obiettivi ma uno è il più importante: consentirci di vedere il mondo attraverso gli occhi di qualcun altro. Questo è vero ora più di sempre in questo mondo frammentato con così tanta informazione e così poca conoscenza, così tanti dati e nessuna mancanza di “cose” ma pochi modi di comprenderle. Ecco questo è il compito dell’artista, dare un senso al mondo. Credo che l’arte riguardi spesso l’arte stessa, come il dipinto astratto. E allo stesso modo molto storytelling è solo raccontare un’altra versione della stessa storia. Ecco credo sia tempo di guardare il mondo reale e cercare di dargli un senso o interpretarlo. Perché i politici non lo fanno. Sta cercando di farlo la scienza semmai. Allora le due colonne su cui sarebbe opportuno contare sono gli scienziati e gli artisti”.