Lucca 2014: l'incontro Leo Ortolani VS Silver

Durante l'incontro Leo Ortolani VS Silver tenutosi a Lucca, i due Maestri della Nona Arte hanno parlato delle proprie idee sul fumetto e sulla comicità

Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.


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Dopo l'intervista a Silver che vi abbiamo proposto ieri, vi proponiamo oggi l'incontro del creatore di Lupo Alberto con Leo Ortolani, durante un evento di Lucca Comics moderato da Marco Marcello Lupoi e Alfredo Castelli: "Leo Ortolani vs Silver".

Ortolani: Intanto, per cominciare, volevo dire che i primi fumetti che io abbia mai fatto erano delle copie dell'Omino Bufo. Poco tempo fa li ho ritrovati, volevo portarli per farli vedere ma li sono scordati... comunque tutto è partito da lì.

Lupoi: Lo spunto iniziale è un'opinione che chiedo ad entrambi: fare ridere, come ci siete arrivati, come lo fate, come lo farete, come l’avete fatto.

Silver: È sempre stata la mia preoccupazione principale fin da ragazzino; non volevo fare fumetti, ma volevo far ridere, mi piacevano le situazioni dei film e dei fumetti comici per questa capacità di far scattare la risata. Ancor prima di dedicarmi al fumetto perseguivo l'umorismo, cercavo di far ridere la mia cerchia di amici, non per altruismo ma perché proprio mi piaceva. Uno dei miei miti è stato Jerry Lewis, di cui ho visto tutti i film; era quello che sapevo avrei sempre voluto fare nella vita, il fumetto è venuto dopo come mezzo per esprimere questa mia volontà, non potendo prendermi a torte in faccia davanti a una telecamera.
Faccio sempre l’esempio di Bruno Bozzetto, che veniva da una famiglia lombarda benestante: il padre era un imprenditore, per cui da ragazzino lui poteva disporre della telecamera a pellicola Super 8 e così ha fatto i suoi primi film animati, inchiodando la cinepresa all’asse da stiro di sua madre. Ecco, se fossi nato in una famiglia altrettanto benestante forse anch’io avrei usato quel mezzo tecnologico, ma tutto quello che mi potevo permettere erano alcune matite, la biro e dei quaderni scuola, così mi sono messo al lavoro su quelli.

Ispettore MerloOrtolani: Io invece essendo molto timido cercavo di farmi accettare da quelli che mi volevano picchiare. Ho iniziato rompendo le scatole, facendo le postille, aggiungendo battute a quello che si diceva o che si leggeva, mia nonna mi diceva di smettere ma non sapeva che stavo facendo una selezione di quello che poteva funzionare.
Quando andavamo al cinema con la scuola, io stavo tutto il tempo sulle orecchie dei compagni davanti facendo battute su quello che c’era, nonostante loro mi ripetessero di smetterla. Poi ho scoperto le ragazze, e non sapendo come approcciarle, mi studiavo a casa le battute. Una volta ho messo in piazza questo spettacolo di due battute in croce alla fermata dell’autobus e ha funzionato; è stata una vittoria di Pirro, allora mi sono messo a fare i fumetti, pensavo di usare loro come protagoniste e fare girare le mie storie, convinto di ricevere qualcosa in cambio e invece niente. Facevo già parodie, anche di Guerre Stellari, facendole circolare tra i compagni di scuola.
Ero convinto che avrei fatto sempre fumetti umoristici, poi sono stato assieme a una ragazza di grandissimo impegno sociale, anche troppo, che mi ha fatto vedere che il mondo era fatto anche in un’altra maniera. C'è una storia, La Lunga Notte dell'Ispettore Merlo, che fino a pagina 20 procede come le mie altre storie umoristiche, poi da lì in poi ci metto dentro dell’impegno sociale, complice anche la visione di Casablanca, in maniera ingenua e un po’ patetica, ma da lì in poi nelle parodie ho sempre cercato qualcosa di diverso da inserire. A volte ha prevalso questo aspetto qua, altre invece sono prettamente umoristiche.
Il Grande Magazzi ad esempio vuole solo far ridere, mentre magari ne I Sacrificabili ho messo insieme degli uomini d'azione con Gesù.

Lupoi: Entrambi siete emiliani, una regione che ride di ciò che fa ridere ma anche di ciò che è drammatico. Secondo voi nasce qualcosa da dove abitiamo, per portarvi in questa connessione della mente umana?

Silver: Ah, boh, non ho mai analizzato questo aspetto, se in Emilia si ride più del resto del mondo; sicuramente si ride di più, con la pancia piena di tortellini e ascoltando il liscio.
Sono lombardo da 35 anni e il senso dell’umorismo che riconosco in quel dialetto (lo stesso di Jannaci, Fo e tanti cabarettisti) non credo abbia nulla di meno. Poi sono stato spesso a Napoli, quanto umorismo e ironia ho attinto dai film di Totò e di altri personaggi partenopeo!
Tutte quante le regioni hanno il loro senso dell’umorismo, non penso che l’emiliano in quanto tale sia più ironico degli altri.

Castelli: Forse la presenza di Bonvi, una presenza che ci manca molto e attorno alla quale si sono formate molte persone, ha sicuramente avuto un’influenza.

Ortolani: Io sono nato a Pisa, conosco l’umorismo più venale dei toscani. Il nostro è più sottile, forse perché viene stemperato dalla nebbia e ha accenni di malinconia; c'è una sorta di umorismo che ritrovo anche in città, a me piace molto, che ti avvolge un po’ come la nebbia. Ho questa immagine della pianura padana, in cui puoi spaziare, oppure avendo la nebbia rifletti molto, devi immaginare, è come un foglio bianco.

Castelli: Esiste anche un umorismo bonario, in Toscana è più trash.

Ortolani: Bonvi mi telefonò alle 7 di mattina per dirmi che voleva pubblicare le strisce dell’Ultima Burba, con un’energia travolgente da cui era difficile restare fuori.

Nick CarterSilver: Bonvi sicuramente ha rappresentato un polo importantissimo per quello che è stato il fumetto in Emilia e in Italia, chi ha avuto la fortuna di conoscerlo e di essergli amico lo sa benissimo. Man mano che il tempo passa chiunque ci ha collaborato lo rovina in modo molto intimo e anche diverso, molto personale. Per quanto mi riguarda sono passati quasi 20 anni e mi manca sempre di più, sarebbe un vecchietto di 73/74 anni,sarebbe molto divertente stare qui al tavolo vicino a lui, di fesserie che abbiamo fatto, come abbiamo scherzato.
Parliamo di un grande autore, che ha frequentato anche Lucca nei primi tempi, era un giovane di 27 anni; sono venuto a Lucca con lui quando avevo 17 anni e mi piaceva brillare di questa luce riflessa, lui mi presentava come “È Silver” e nessuno sapeva chi fossi, ma mi sentivo una star.
È stato un catalizzatore perché attorno al suo studio, prima a Modena poi a Bologna, sono passati tanti autori che poi hanno pubblicato i propri lavori.

Castelli: Ricordo che ci sono questo 4-5 sceneggiature ultimate di Bonvi mai realizzate, una delle quali sarebbe perfetta da affidare ad Ortolani.
Queste storie, non so bene a chi siano in mano i diritti, ma è uno dei miei sogni, magari ne riparleremo l’anno venturo.

Lupoi: A differenza di Bonvi, voi avete in comune personaggi antropomorfi, come l’universo Disney, e in maniera simile a esso trattate storie umoristiche che contengono anche temi politici e sociali.

Ortolani: Ho iniziato disegnando Topolino e Pluto, tutti cominciano dalla Disney; da piccolo però leggevo anche il Corriere dei Ragazzi, il Corriere dei Piccoli, Lupo Alberto...
Se uno ha la passione per i fumetti non può nasconderla, è come l'herpes, quindi cominciai a disegnare nonostante non fossi capace; avevo 8-9 anni e trovavo gli umani troppo complessi, così decisi di disegnare scimmie perché erano l'animale più vicino all'uomo, e da lì è rimasto il mio riconoscibile muso di scimmia.

Silver: Anch’io parto dalla Disney e si finisce sempre lì, con animali antropomorfi. Anche perché non è che io sia Piero della Francesca, faccio dei pupazzini che sono il minimo sindacale per rappresentare quello che scrivo; per me l’elemento principale è la sceneggiatura, tutto ciò che c’è attorno al ballon è qualcosa di accessorio. Mi piace che i miei personaggi abbiano l’espressione giusta per quello che stanno dicendo, che poi ci siano effetti di prospettiva o altro è qualcosa di secondario.
Perché animali? Perché non si fa che ricalcare e perché per semplicità si creano personaggi molto diversi tra oro;, se disegnassi Tex credo che non sarei in grado di far riconoscere Tex da Kit Carson, la differenza tra un lupo e una gallina invece si distingue quasi subito, per l’occhio più esperto e allenato.

Ortolani: Essendo autori di fumetti comici, credo sia molto più semplice concentrarci sull’espressività dei nostri pupazzetti; fare occhi sgranati o espressioni simili per me sarebbe difficilissimo, se fossi un disegnatore che lavora su un fumetto realistico, tipo Bonelli, non saprei riprodurre .e capacità anatomiche del volto umano.
Potrei usare una comicità come i Monty Phyton, molto inglese, dove il volto resta impassibile.

Lupoi: Visto che funzionano molto i team-up, avete mai pensato di far incontrare i vostri personaggi?

Ortolani: Non so se avrebbe senso portare Rat-Man in campagna, lui è un tipo di città, già se non funziona il microonde va fuori di testa.

Silver ManaraSilver: Mi hanno sempre chiesto perché non faccio incontrare Cattivik e Lupo Alberto... per me sono mondi distinti, universi impermeabili. Non posso analizzare in poco tempo l'universo narrativo di Rat-Man, ma mi sembra una forzatura. È bello incontrarsi, ma il fatto di compenetrarsi è un’altra cosa, è difficile; lo si può fare per il piacere dei lettori, dei fan che diranno “oh, guarda hanno fatto una storia a 4 mani”. Ho chiesto un’intervento di Milo Manara in una storia di Lupo Alberto ed Enrico che vanno in un’isola deserta: è venuta fuori una cosa per estimatori, ma poi che il tutto si amalgamasse bene... bè, non credo proprio.
Se voi poi veramente insistete si potrebbe fare qualcosa.

Ortolani: Potrebbe essere un topolino di campagna che diventa un supereroe.

Castelli: Spesso i team-up sono forzature, è qualcosa a cui non siamo abituati, un'operazione molto americana, dove i personaggi si conoscono tutti tra loro. Però il lettore medio italiano... quando ho fatto incontrare Martin Mystère e Dylan Dog i lettori delle due serie si sono scandalizzati, come avevo osato snaturarli?

Silver: Se posso dire… stucchevole.

Ortolani: C’è un altro elemento: la visione dello sceneggiatore. Bisogna vedere se le storie che vuole scrivere Guido sono le stesse storie che voglio scrivere io, in America lo sceneggiatore dei cross-over spesso ha lavorato ad entrambi i personaggi.

Castelli: Oppure in Giappone ci sono esempi come Tezuka e Matsumoto che hanno creato un loro universo personale in cui i personaggi di fumetti differenti convivono nello stesso mondo.

Ortolani: Io ho provato a farlo con Rat-Man e Venerdì 12 e non è che sia stata una storia riuscitissima, è stato come mescolare acqua e olio; alla fine mi sono limitato a far fare a Rat-Man la cornice di una storia di Venerdì 12.

Silver: È come far fare a due cantanti un duetto, ma ognuno canta la sua canzone; verrebbe fuori una cacofonia che non è né l'uno né l’altro.
Poi ci sarebbe da spartirsi le royalities, no, no, no..

Lupoi: Se pensiamo ai vostri eroi Lupo Alberto e Rat-Man, sono antitetici ma hanno qualcosa in comune: sono pasticcioni, arrivano dove vogliono arrivare nonostante tutto…

Silver: Intanto sono due sfigati, perché quei personaggi suscitano la simpatia di tutti e qui si torna sempre a Paperino; via via tutte le sfumature che uno attribuisce alla sfida, è un archetipo comune a molti personaggi. Se fossero belli e vincenti non credo avrebbero superato il secondo numero, non sarebbero credibili nella loro vittoria.

Ortolani: Saremmo alla Bonelli se fossero vincenti.

Castelli: Parliamo di queste imitazioni che Leo ha fatto, rifacimenti non solo di storie ma anche di copertine, il fumetto in 3d... contaminazioni tra mezzi. Anch’io ho questo grandissimo amore, però sono limitato da serie che non offrono queste possibilità, anche se una volta l'ho fatto con Martin Mystère in Saturno contro la Terra

The Walking RatOrtolani: Mi interessano molto perché essendo un lettore amo queste cose e cerco di rappresentarle, forse anche perché un rifacimento come Bloch va in pensione, rifacimento di Spiderman no More, trasmette l'idea che c’è una storia del fumetto, ci sono altre opere nel passato, se faccio questa copertina è perché amavo questo fumetto anni fa, una sorta di trasmissione di affetti, di eredità.
Io devo dire la verità, come storia personale sono stato molto fortunato: mio padre leggeva fumetti e avevo due libroni a fumetti, il Topolino del dopoguerra, il Corriere dei Ragazzi, il Corriere dei Piccoli, il Giornalino...  ho avuto la fortuna di vivere col gotha dei fumetti a disposizione. Poi ho scoperto i supereroi, e i manga, quindi c’è questa costante scoperta, a me piacerebbe fare tanti tipi di stili diversi.
Adesso facendo Walking Rat vorrei riproporre questo stile di Charlie Adlard, riportare qualcosa di suo sempre facendo una rilettura mia; non so se avrò il tempo, visto che sono 50 pagine e devo farle entro il 20 novembre. Quindi l’omaggio c’è sempre, ho tantissime cose belle sotto mano; non vi limitate a leggere solo una casa editrice, un solo stile, apritevi, avete la possibilità di imbattervi in un sacco di mondi diversi.

Castelli: Esatto, ci sono cose del passato che possono essere utili per fare cose del presente.

Domanda del pubblico: Credo ci siano vignette immortali, per le quali rido ancora leggendole. Però la comicità negli anni cambia, questa consapevolezza come influenza il vostro lavoro e com’è cercare di star dietro ai tempi che cambiano e al modo di far ridere?

Ortolani: Io sul fatto dell'umorismo che cambia ho qualche dubbio, per me Stanlio e Ollio, Totò sono ancora attualissimi. Forse ci sono diversi tipi di umorismo, io preferisco quello all’inglese e della sit-com… Ma anche nei film dei Vanzina trovo la battuta che faridere, una sola, però c’è. Ma credo dipenda dai gusti.

Silver: Sono assolutamente d’accordo. Io ho avuto dei modelli, il linguaggio e il modo di far ridere sono sempre stati diversi, però anche uguali nel tempo, la cifra era sempre quella: dal Roadhouse di quando ero ragazzino, fino ai libri di Woody Allen, a Paolo Villaggio. Mi sono letto anche le 2000 pagine del Don Chisciotte che è stato scritto nel ‘600 e fa veramente ridere, un umorismo che si potrebbe definire moderno. Sono d’accordo con Leo che l’umorismo in realtà è sempre uguale a se stesso, non cambia mai in funzione della moda.

Domanda del Pubblico: Ortolani, le interessa di più fare delle storie solamente comiche, tipo le parodie, o delle storie più serie

Ortolani: Dipende da cosa voglio raccontare. Questa saga finale di Rat-man richiede toni più seri, come qualunque finale di saga, dal Signore degli Anelli al Bone di Jeff Sith, un po’ perché il finale si fa più cupo e ci sono i nemici, gli scontri decisivi. A meno che non mi prenda una pausa come The Walking Rat, nel quale però poi ho comunque inserito delle riflessioni mie.

Domanda del Pubblico: Qual è il fumetto umoristico che vi fa ridere maggiormente?

Silver: Confesso di non essere più da tempo lettore di fumetti, non per superbia, ma è che tutto quello che sono riuscito a fare mio da apprendere dal fumetto umoristico l’ho appreso anni fa. Quello che vedo oggi, a parte Rat-Man e l’Omino Bufo, mi sembra solo una ripetizione di ciò che so già. Ma succede anche con quello che faccio io, sono 40 anni che faccio la stessa gag, come i cabarettisti consumati... sono il Ric e Gian del mondo del fumetto.
Mi viene in mente The Far Side, che però non leggo da molti anni, una delle cose più d’avanguardia e innovative fatte negli ultimi anni; per il resto c’è ben poco da ridere, ma non è una critica, magari sono io che sto diventando un vecchio brontolone.

Ortolani: A volte mi trovo a ridere anche con Slam Dunk, sono così bravi a costruire la situazione, lui dovrebbe fare lo Slam Dunk e impiegano pagine a preparare questa scena e poi lui lo sbaglia. Ma anche guardando il gruppo TNT, con personaggi e situazioni talmente paradossali che mi sembrava quand’ero coi miei amici a scuola... Le occasioni da ridere ci sono, anche con autori come Giacomo Bevilacqua con Panda, che è molto poetico ma ci sono ottime battute.

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