Lucca 2014: 5 buone ragioni per fare fumetti

Vaughan, Modan, Stewart, O'Malley e Katsura a Lucca hanno raccontato cosa significa per loro fare fumetti...

Carlo Alberto Montori nasce a Bologna all'età di 0 anni. Da allora si nutre di storie: lettore, spettatore, ascoltatore, attore, regista, scrittore.


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Si è tenuto a Lucca Comics l'incontro 5 buone ragioni per fare fumetti, al quale hanno partecipato Brian Vaughan (Runaways, Saga), Rutu Modan (L'Eredità, Unknown/Sconosciuto), Cameron Stewart (Sin Titulo), Bryan Lee O'Malley (Scott Pilgrim, Seconds) e Masakazu Katsura (Video Girl Ai, Zetman). Si sono confrontate le diversità delle esperienze creative e artistiche dei cinque grandi artisti, riuniti per la prima volta attorno a uno stesso tavolo.

Brian K. VaughanQuando avete iniziato a fare fumetti, e come?

Vaughan: Mi sono trovato al posto giusto al momento giusto. Era il 1996 e studiavo all'Università del Cinema di New York, facendo film terribili, esperimenti da studente. L'editor della Marvel arrivò per cercare qualche giovane talento, uno scrittore che potesse lavorare su progetti di secondo piano, magari insegnandogli come si scrivono i fumetti.

Modan: Non sono cresciuta con l'abitudine di leggere fumetti, in Israele non si trovano. A 20 anni, all'accademia d'arte, il mio insegnante belga mi ha introdotto al mondo dei fumetti e mi sono immediatamente innamorata del medium; ho cominciato a scrivere strisce per un quotidiano e finita la scuola ho fondato una casa editrice indipendente, perché non c’erano editori in Israele.

Stewart: Nel 2000-2001 alla San Diego Comic-Con (una versione molto molto meno affollata di Lucca) ho portato con me un portfolio di un mio fumetto; volevo qualche consiglio e invece mi sono ritrovato un biglietto della visita della DC Comics, che mi ha messo subito al lavoro su Scooby-Doo... Poi fortunatamente ho fatto anche Batman.

O’Malley: Leggevo fumetti fin da piccolo, come Tintin e Calvin & Hobbes; ho cominciato a disegnare fumetti molto giovane, quando ero a scuola. Professionalmente, attorno ai 20 anni ho messo qualche fumetto online per convincere un editore a pubblicare qualcosa, la Oni Press mi ha notato e sono riuscito a realizzare questo sogno.

Katsura: Bè, probabilmente fin da bambino. Poi durante le superiori sono stato notato da degli editor.

Avete iniziato in maniera solitaria, o il fumetto faceva parte di riflessioni e discussioni con amici, compagni di scuola, ecc.?

Vaughan: È stato un percorso bilanciato da questo punto di vista, fatto sia da giornate seduto da solo in una stanza, ma anche parlando di progetti con altri artisti, con un editor. A differenza della carriera del cineasta in cui si lavora sempre in team, e contrariamente al disegno da scrittore di libri più solitario, il fumetto è una buona contaminazione tra i due.

Modan: Essere un fumettista è come essere un monaco: stai chiuso nella tua stanza con il tuo lavoro e le tue paure, ma quando io lavoro ai miei progetti nello stesso studio ci sono altri artisti che lavorano ai loro progetti, collaboriamo e ci aiutiamo a migliorare i lavori che pubblichiamo assieme.

Stewart: All’inizio della mia carriera lavoravo per la DC con supereroi, serie Vertigo, per cui collaboravo con altre persone che però vivevano in altre città, perciò mi sembrava di essere solo. A Toronto invece c'è una grande comunità di artisti come me, che avevano iniziato a lavorare al mio livello, c'era anche questa rivalità per dimostrare chi fosse il migliore, uno stimolo per la creatività.

O’ Malley: A 12 anni io e il mio migliore amico disegnavamo fumetti assieme, e lui era molto più bravo; quando abbiamo cominciato la scuola superiore ci siamo separati e ci spedivamo le cose, fino a quando non sono riuscito a superarlo, lui ha poi smesso di fare fumetti. Ora lui canta in un gruppo punk, quindi credo comunque che abbia vinto lui.

Katsura: Anch’io ho iniziato da solo, non avevo ancora coscienza di cosa sarei diventato. Non pensavo di diventare un professionista, ho cominciato sviluppando da solo i miei personaggi fino a quando non è diventato il mio lavoro.

229px-Rutu_Modan_20080318_Salon_du_livre_4Qual è stato il momento in cui avete capito che eravate dei professionisti, che il fumetto era entrato stabilmente nella vostra vita?

Vaughan: Quando ho ricevuto un assegno con sopra l’immagine di Spider-Man

Modan: Io invece ho ancora dei dubbi se possa essere la mia professione

Stewart: Nel mio assegno invece c’era Batman

Modan: Ehi, anch’io voglio un assegno con Spiderman o Batman!

Stewart: All’inizio lavoravo in una fumetteria. Quando ho abbandonato questo lavoro per dedicarmi al disegno è stato il momento in cui ero consapevole di essere diventato un professionista.

O'Malley: Stavo lavorando circa 10 anni fa al secondo volume di Scott Pilgrim, lavoravo in un ristorante, e dopo le vacanze natalizie ho lasciato quel lavoro perché era faticoso. Da allora sono una decina di anni che sono un professionista.

Katsura: Tutti hanno dato una risposta molto seria... Io già al tempo scrivevo per Shonen Jump capitoli di 19 pagine e mentre scrivevo pensavo ai lettori che mi leggevano; man mano realizzavo “i lettori vogliono vedere questo, o quest’altro” e in quel momento ho realizzato che volevo essere un professionista.

Qual è stato nella vostra carriera un momento difficile dal punto di vista creativo e come l’avete superato?

Vaughan: Ogni fumetto, ogni numero, da circa 20 anni ad oggi, arrivato verso metà mi fa pensare che devo mollare, che è scritto male e temo di non riuscire più a scrivere.

Modan: È sempre difficile iniziare: non solo iniziare a scrivere una storia, ma anche iniziare a disegnarla, a colorarla, mi sembra sempre di aver dimenticato come si fa. Posso andare avanti solo ricordandomi quanto fosse stata difficile la volta precedente e come poi sia riuscita a creare qualcosa di qualità.

Stewart: Con Sin Titulo. I supereroi non li sentivo miei, lavoravo per loro e i diritti d’autore erano altrui, ma quanto ho iniziato un volume tutto mio, che ho scritto, disegnato, colorato e fatto il lettering da solo, non avevo nessuno a cui avrei potuto dare la colpa se non fosse stato buono, la colpa sarebbe stata solo mia. Ho superato questo momento pensando che se non l’avessi finito mi sarei sentito davvero uno stupido.

O’Malley: Non voglio sembrare cattivo, o egoista, o autoreferenziale. Il problema è stato quando sono diventato molto popolare: quando il film è uscito e il pubblico è cresciuto enormemente, andavo ad eventi come Lucca dove migliaia di persone volevano incontrarmi e ci sono voluti anni per adattarmi, quando avevo un piccolo pubblico mi sembrava fossero tutti amici miei poi mi è sembrato un pubblico infinito.
Sono una persona timida e riservata, per me due persone sono già tante, quindi immaginatevi davanti a migliaia.

Katsura: Il fumetto giapponese è un po’ diverso, perché si pensa e si realizza la storia da soli, dal primo numero fino all’ultimo. Ho sempre un attimo di difficoltà alla fine di un manga: E dopo? Che tipo di storia realizzerò?
Mi sento disoriento, ma ho consigli da tutti, dall’editor o dallo staff; può essere una storia di eroi o sentimentale, ma tutti questi lavori mi hanno aiutato a trovare il mio stile e a migliorare il processo creativo.

Cameron StewartQual è stato invece un momento del vostro processo creativo di enorme soddisfazione, di grande gioia?

Vaughan: Amo la tv e cinema, ma penso che il fumetto sia perfetto per realizzare le scene dei film ad altissimo budget. Quando posso raccontare le mie storie, senza limiti, riesco a sfogare le frustrazioni da studente di cinema fallito.

Modan: Mentre stavo realizzando il punto cruciale della storia nel mio ultimo libro, ho iniziato a disegnare e sapevo perfettamente cosa stavo facendo, non dovevo pianificare; è stato come suonare uno strumento, sentivo il ritmo venire fuori dalla mia mano, è stata come musica, sono stata sopraffatta dalla gioia. È stato come assumere una droga.

Cameron: Con Sin Titulo sono stato assalito da tutti i dubbi e le paure di non essere abbastanza bravo per fare un libro da solo. Poi il volume haavuto successo, ho ricevuto l’Eisner Award, lo Shuster Award, il volume è stato nominato per un Harvey Award, e visto che era qualcosa tutto mio finalmente mi sono sentito un artista e non solo un illustratore.

O’Malley: Il mio lavoro mi fa felice regolarmente, quando vedo qualcuno vestito come i miei personaggi, è qualcosa che mi riempie di gioia.

Katsura: In generale non sono mai soddisfatto di quello che faccio, credo sia normale per un artista. È stato un bel momento vedermi per la prima volta su Shonen Jump, ma anche quando raggiungo parti interessanti della storia.

Conoscete autori italiani?

Vaughan: Massimo Carnevale, con cui ho lavorato, penso sia un genio.

Modan: Manuele Fior, Lorenzo Mattotti

Stewart: Sergio Toppi, e poi ho un originale di Micheluzzi… per caso Stan Lee è italiano?

O’ Malley: No, non conosco

Katsura: Io sono un mangaka ma in realtà non leggo fumetti, non conosco autori in generale, nemmeno fumettisti giapponesi.

Bryan Lee O'MalleyCosa vi piace del fumetto rispetto ad altri linguaggi, cosa vi interessa così tanto nel fare questo mestiere?

Vaughan: Nel cinema e nella tv ci sono un sacco di compromessi, mentre nel fumetto puoi lavorare facendone pochissimi con il massimo livello di soddisfazione.

Modan: Mi piace la possibilità di scrivere e disegnare assieme, ma c’è ancora molto da inventare sul medium. È bello che l'autore non abbia il controllo del tempo, quanto tempo il lettore deve dedicare a una vignetta, o quando muoversi da una vignetta alla successiva, è il lettore che decide come sfruttare questa forma d’arte, ancora in pieno sviluppo.

Stewart: Mi piace che puoi disegnare due momenti di un movimento e far credere al lettore di aver visto l’intero movimento. Quando mi rendo conto che metto su carta solo alcuni pezzi del puzzle e riesco a far vedere le cose che voglio far vedere, allora sono soddisfatto.

O’Malley: Non credo di poter fare qualcos’altro così bene. A scuola volevo fare lo scrittore, mi piacevano autori di fantasy o fantascienza, ma nel frattempo disegnavo personaggi degli anime. Poi ho unito queste due attività (avere idee e fare disegni) per cui è ciò che ha più senso per me.

Katsura: In particolare il manga giapponese è bello, mi affascina, si può disegnare una piccola stanza così come una battaglia nello spazio, tutto rientra nelle pagine del fumetto.
Che poi succede anche nel cinema, vabbè.

Cosa pensate uno dell’altro?

Vaughan: Stare in questo posto (una chiesa) e sentire le risposte degli altri mi ha ricordato che il fumetto è la mia religione e sono molto soddisfatto di quello che faccio.

Modan: Conosco alcuni artisti, non tutti, ma riguardo a questa discussione con altri artisti, sul processo di creazione dei fumetti, parlare di far fumetti, ogni risposta potrebbe essere la mia.

Stewart: Sono sempre sorpreso di essere invitato a questo genere di discussioni, conosco tutti tranne Modan (ma ti prometto che leggerò le tue opere!), ma sono un fan di tutti gli altri, perciò sono onorato di partecipare a questo tipo di eventi.

O’Malley: Quando ho visto la lista degli artisti con cui avrei partecipato, ho detto “COSA?!?”. Katsura è tipo un mito per me, un idolo, lo adoro.

Katsura: Ascoltando le parole di tutti, penso siano dei professionisti, è fantastico essere qui con loro. Realizzo manga da 30 anni, ci sono momenti bui, altri in cui vorrei smettere, poi sento loro e mi viene voglia di avere il loro spirito.

Masakazu KatsuraQual è la vostra più grande fonte d’ispirazione (un film, un libro, una persona)?

Vaughan: Qualunque cosa mi confonda o di cui abbia paura nel mondo reale, è qualcosa di cui mi piace scrivere. È un po’ una psicoterapia economica.

Modan: Tutto può essere un’ispirazione: la mia preferita è ascoltare gli sconosciuti per la strada quando loro non se ne accorgono.

Stewart: Adoro i fumetti, mi piace disegnarli, ma non so perché sono sempre ispirato dai film; ogni volta che affronto una scena penso a film che ho visto, di cui voglio ricreare l’esperienza... non so perché è così.

O’ Malley: Penso che la musica sia la prima cosa che mi viene in mente. Faccio una playlist per ogni volume che faccio, e mi prende così tanto realizzare questa colonna sonora, questo mix, che definisce il ritmo della mia vita, è qualcosa di energetico.

Katsura: I film o i drama televisivi giapponesi, ma anche una chiacchierata tra amici, tutto può essere un’ispirazione per un manga. Quando si ha voglia di raccontare si può trovare ispirazione praticamente dovunque.

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