L'Alba del Pianeta delle Scimmie: l'intervista a David Oyelowo

L'attore britannico parla del suo personaggio, Steve Jacobs, la guida del laboratorio Gen-Sys dove viene creata la scimmia Cesare...

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In questo nuovo contributo dell'Alba del Pianeta delle Scimmie che ci è stato inoltrato dalla divisione italiana di 20Th Century Fox, a parlare è l'attore inglese David Oyelowo, che nel film interpreta il coordinatore della Gen-Sys dove Will Rodman, lo scienziato interpretato da James Franco, sta cercando una cura per il morbo di Alzheimer.

La sperimentazione porta però alla creazione, non voluta, di uno scimpanzé estremamente intelligente, Cesare. Diplomatosi al Lamda - London Academy of Music and Dramatic Art, David Oyelowo ha iniziato la sua carriera nel 1999 con una stagione nella Royal Shakespeare Company, nel “Volpone” di Ben Johnson, nell’ “Antonio e Cleopatra” di Shakespeare e poi come protagonista nell'adattamento di “Oroonoko” ad opera di Thomas Southerne.

Per il regista Lee Daniels è stato Martin Luther King in “Selma”, una rivisitazione delle manifestazioni per l’uguaglianza che hanno cambiato la storia americana. Ecco le sue considerazioni sull'Alba del Pianeta delle Scimmie e sul personaggio:

 

Questo sembrerebbe un film “Pianeta delle scimmie” molto diverso rispetto agli altri - qual è stato l'approccio?
Hai ragione, questo è esattamente ciò che abbiamo deciso di fare. L’espressione "reboot" è abusata, ma stavolta penso che si tratti di un vero “reboot” nel senso di ripensamento. E lo è grazie all’utilizzo della tecnologia che abbiamo ora e, in generale, grazie al mondo in cui oggi viviamo. Negli anni '60, quando tutto è iniziato, la fantascienza – usando la tecnologia allora disponibile - ha voluto rappresentare una storia in cui delle scimmie raggiungevano un tipo di intelligenza potenzialmente pericolosa per l'umanità, e ci si è dovuti rivolgere al regno della fantasia. Ora, con il progresso tecnologico, è possibile fare molto di più.
Ciò che è più interessante, nella storia che stiamo raccontando, è il realismo. Questo perché sono cambiate molte cose nella scienza e nella tecnologia dagli anni ’60, e ne abbiamo visto gli effetti, da un lato fantastici, dall’altro devastanti. Questo film è una sorta di ammonimento, un racconto meno di fantasia e più plausibile, credo sia la cosa che maggiormente lo contraddistingue. Inoltre, questa volta non sono persone travestite da scimmie. Abbiamo un contesto nel quale le scimmie sono esseri senzienti, e inoltre c’è un’incredibile tecnologia sviluppata dalla Weta Digital, per cui è possibile vedere l’umanità di queste scimmie grazie a quello che si riesce a fare ora con il motion capture. La nostra storia, incentrata sul tema “uomo contro bestia”, diventa estremamente efficace, perché in questa incarnazione sembra molto più reale.

Pensi che il film si inserisca in quel filone fantascientifico che spinge la scienza “un po' oltre” e indaga su ciò a cui può ambire?
Sì, e penso sia in questo che “L’alba del pianeta delle scimmie” renda realmente omaggio all'originale, in un certo senso. Nonostante l’età, la fantascienza e la tecnologia, alla fine della giornata si va al cinema a vedere se stessi. Andiamo a vedere qualcosa in cui ci si possa identificare. Se un film se ne allontana troppo, nella natura delle bestie o dei personaggi o nella storia, credo che la gente inizi a perdere interesse. Penso che per questo motivo il primo film ebbe un tale successo, e quello che spero di raggiungere con “L’alba del pianeta delle scimmie”, è che le persone si riconoscano nel dilemma che il personaggio di James Franco si trova ad affrontare. Mi auguro capiscano, grazie al mio personaggio, Steve Jacobs, quello che l'avidità e l'ambizione possono causare. Nel nostro mondo, dopo il crollo economico e in cui la responsabilità è spesso di questi fattori economici, sembra proprio che il mondo de “L’alba del pianeta delle scimmie” sia molto attuale in questo 2011.

Per il personaggio di Steve Jacobs, ci si è in un certo senso ispirati ai casi d'attualità?
Assolutamente sì, non è stato difficile trovare un punto di riferimento per il modo di interpretarlo, devo ammetterlo! Il che è stato una fortuna, perché in termini di plausibilità e del mondo in cui viviamo, lui è davvero reale. Si può sentire la pressione del personaggio di James Franco nel film, e si può percepire l'ambiente in cui la storia si svolge, per cui la scienza è spinta così oltre che ci si erge quasi a divinità. E questa non è mai una buona idea! Si tratta dell’elemento che, nella sceneggiatura, mi è piaciuto dei personaggi, e ho sentito di aver “riconosciuto” non solo il mio personaggio, ma anche quello di James e di tutti gli altri, anche esaminando uno scenario diverso. Ci si sente radicati alla realtà proprio grazie a questi personaggi.

Ti è piaciuto interpretare le sfumature con cui Jacobs e gli altri personaggi hanno a che fare?
Sì. Alla fine, ciò che il laboratorio del mio personaggio cerca di fare è di far progredire la medicina e di produrre farmaci che aiutino i malati gravi a guarire. E a volte la scienza ha bisogno di essere spinta, per arrivare a quelle cure. Ed è lì che ti scontri inevitabilmente con questa zona grigia dei test sugli animali.
Fino a che punto ci si spinge? A che punto incroci la linea di ciò che è ritenuto naturale e quella che inizia a sfidare le leggi della natura? E poiché questo è il quotidiano di Steve Jacobs, è necessario avere ogni giorno un’opinione su queste pesanti tematiche. Ma la novità è che, se si crea un farmaco che può accrescere l'intelligenza delle scimmie, allora in teoria accrescerà anche l'intelligenza degli esseri umani, il che sarebbe come trovare il Paradiso. Come dire: "Ok, ora siamo dentro qualcosa che sposta tutto il dibattito a un livello superiore". E questo è semplicemente l’obiettivo verso il quale quei ricercatori si dirigono ogni giorno, fino a quando arriva il momento delle grandi scelte. Ancora una volta, chiunque può identificarsi nella tensione che la decisione può causare.

Si sente il peso della responsabilità che deriva dal tentativo di far ripartire un marchio come quello del “Pianeta delle Scimmie”?
Io ragiono da attore, ed è come recitare l’Amleto: non si può continuare a pensare a Laurence Olivier e Kenneth Branagh. Come professionista, hai la percezione del fatto che sei stato molto fortunato per quest'occasione e vuoi dare il tuo contributo a questa storia per quello che di buono puoi apportare. Penso che sia questo l'atteggiamento di Rupert Wyatt. Tutti noi siamo consapevoli che si tratta di una saga molto amata, ma bisogna avere un atteggiamento del tipo "Ok, io non ho intenzione di pensare a Charlton Heston. Raccontiamo questa storia nel modo più realistico possibile, sulla base ci ciò che abbiamo noi." Così, anche se è inevitabile che questi film siano in un certo qual modo persistenti, e poiché l'idea di fondo è un reboot su cui forse un franchising futuro può essere costruito, il nostro lavoro si è incentrato sul farlo sentire completamente nuovo sia per un nuovo pubblico che per il pubblico che ha amato la pellicola del '68 e quelle che si sono susseguite, in modo che possano sentirsi realmente coinvolte in un nuovo viaggio all'interno di questo concept, che è davvero forte.

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