La prova del tempo: 1991, Terminator 2 e la consacrazione di James Cameron
Nuovo appuntamento con la nostra rubrica dedicata ai successi al botteghino: parliamo del 1991, l'anno di Terminator 2
Terminator 2: il giorno del giudizio – $204,843,345
Robin Hood: il principe dei ladri – $165,493,908
La bella e la bestia – $145,863,363
Il silenzio degli innocenti – $130,742,922
Scappo dalla città - La vita, l'amore e le vacche – $124,033,791
Hook - Capitan Uncino – $119,654,823
La famiglia Addams – $113,502,426
A letto con il nemico – $101,599,005
Il padre della sposa – $89,325,780
La pallottola spuntata 2½: l'odore della paura – $86,930,411
Il 1991 è l'anno in cui James Cameron si manifesta nella sua forma definitiva, con tutta la sua potenza e arroganza. Scrive il sequel del piccolo gioiellino che l'aveva fatto conoscere nel 1984; si fa dare il budget più alto mai visto a Hollywood (il primo a raggiungere nove cifre); costruisce la trama attorno a una novità tecnologica rivoluzionaria che lui stesso aveva testato timidamente nel suo film precedente (il "morphing", padre spirituale di tutti gli effetti digitali); sfrutta la notorietà raggiunta parallelamente dalla sua vecchia star (Schwarzenegger) cambiandone il ruolo da villain a eroe; condisce con i Guns'N'Roses. Terminator 2: il giorno del giudizio può soltanto vincere per giustificare l'investimento e – una sfida che soltanto Cameron ha dimostrato di poter affrontare sistematicamente – vince. Il morphing la fa da padrone: non solo introduceva di prepotenza l'uso del digitale negli effetti speciali dimostrando che era possibile integrarli, ma lo faceva tramite una "magia", quella della "trasformazione liquida", che gli effetti pratici non potevano replicare. A tutt'oggi è l'ultimo vero game changer del settore, insieme alla motion capture qualche anno dopo.
Al terzo posto il film che sancisce definitivamente la rinascita della Disney. Ferita nell’orgoglio da oltre un decennio di progetti deludenti se non veri e propri flop, e mantenuta a galla dalle riedizioni dei classici (che volutamente non avevano ancora fatto uscire in homevideo), aveva avuto un primo improvviso slancio di ripresa con La sirenetta. La bella e la bestia, tratta da un'altra conosciutissima fiaba classica, gode della nuova iniezione di fiducia e di una colonna sonora che sfonda le classifiche, e si piazza trionfalmente sul podio.
Al quarto posto la prima sorpresa: Il silenzio degli innocenti è un violento thriller firmato da Jonathan Demme che lancia la carriera di Anthony Hopkins grazie al suo memorabile ritratto dell'ipnotico killer cannibale Hannibal Lekter, e contro ogni previsione fa piazza pulita dei cinque Oscar principali (film, regia, attore, attrice, sceneggiatura).
Al quinto una sorpresa ancora più grossa: Scappo dalla città è una fantasia riflessivo/escapista per 40enni in crisi che coglie una fetta del pubblico grossa e ricettiva e piena zeppa di empatia, e riesce pure a regalare un Oscar a Jack Palance.
Il sesto posto di Hook - Capitan Uncino è dolceamaro: la storia di Peter Pan rivista da Steven Spielberg sembra un gol a porta vuota, il cast è impressionante (Robin Williams, Dustin Hoffman, Julia Roberts, Bob Hoskins), il pubblico accorre ma qualcosa non torna, la critica storce il naso, il passaparola è deludente e l'impressione netta è che tutti si aspettassero di più.
Al settimo funziona subito il primo tentativo di catturare il pubblico di Tim Burton senza Tim Burton: La famiglia Addams porta sul grande schermo i personaggi di un fumetto popolare e un'amatissima serie tv, e azzecca in pieno il cast anche nelle scelte più azzardate (lo zio Fester di Christopher Lloyd è diversissimo nei manierismi ma perfetto nello spirito).
All'ottavo troviamo A letto con il nemico, ovvero l'incontrollabile bisogno del pubblico americano di andare a vedere una cosa qualsiasi con Julia Roberts,
Al nono troviamo Il padre della sposa, ovvero Steve Martin che decide di puntare su una nuova carriera da protagonista di innocue commedie per famiglie rinunciando ai suoi spettacolari esordi surreali: il pubblico dovrebbe respingerlo e invece lo premia, facendoci perdere uno dei comici più geniali della sua generazione.
Chiude la classifica il sequel della Pallottola spuntata, con incassi (e qualità) sostanzialmente invariati rispetto al primo capitolo.
I dimenticati
L'abbiamo già visto in qualcuna delle annate precedenti: a volte una star è talmente calda che la gente si fionda a vedere letteralmente qualsiasi cosa, basta che sia protagonista. Poi magari fa schifo, eh? E magari lo sanno pure. Magari lo sanno persino prima di andare al cinema. Ma c'è poco da fare: meglio un film a caso con Julia Roberts che [inserire un titolo a caso fra quelli della sezione "I sottovalutati" qua sotto]. Questo è lo star system, ovvero come funzionava Hollywood fino a circa 10/15 anni fa, quando si è scoperto che il vero re è il brand e che a nessuno frega niente di Robert Downey Jr. a meno che non faccia Iron Man (o al limite un altro personaggio già noto come Sherlock Holmes). Julia Roberts aveva appena conquistato il mondo con Pretty Woman e ora, nel 1991, era come se avesse la palla infuocata a NBA Jam: poteva tirare da qualsiasi posizione e, salvo ambizioni veramente eccessive, sarebbe andata dentro. E il suo tiro è A letto con il nemico: nessuna star tranne lei, un budget modesto di cui metà in tasca sua, un regista sconosciuto (ma autore dell'ottimo thriller The Stepfather), una trama che è sostanzialmente identica a quella del recente L'uomo invisibile tranne che nessuno diventa invisibile. A rivederlo oggi vi farebbe sicuramente impressione: la storia di una donna che tenta di fuggire dal marito violento non viene esattamente trattata con l'attenzione e la sensibilità che ci aspetteremmo in quest'epoca moderna di maggior consapevolezza e urgenza di denuncia. Ma non c'è pericolo, non se lo ricorda nessuno.
La cosa veramente buffa? A costo di contraddirmi, questo fu soltanto uno di tre film con Julia Roberts usciti nello stesso anno. C'è anche Hook di Spielberg, in cui lei ha un ruolo minuscolo (doppio senso volutissimo) nei panni di Campanellino. Ma c'è soprattutto il film su cui tutti puntavano realmente come uno dei grandi successi annunciati della stagione: Scelta d'amore, una storia romantica che più romantica non si può, diretta da un regista solido come Joel Schumacher e ricalcata sul modello di un classico indimenticato come Love Story. Ma il pubblico sentì puzza di sfiga lontano un miglio: i richiami espliciti a Love Story, certo, ma anche il titolo originale non esattamente invitante (Dying Young, "Morire giovani"). E, dovendo scegliere, preferirono andare a vedere un thriller teso col lieto fine piuttosto che una storia d'amore deprimente. La sua corsa si ferma alla posizione 42.
I sottovalutati
Scorsese sfiora la Top 10 con il suo remake di Cape Fear (posizione 12), che se lo chiedete a me, per come si completa al film originale invece che semplicemente rifarlo, è uno dei pochissimi remake al mondo che ha veramente senso di esistere . Subito sotto il sequel delle Tartarughe Ninja, prodotto in tempi record per sfruttare gli incassi fenomenali del primo. Alla 14 un classico di Ron Howard con cast stellare: Fuoco assassino. Subito sotto, il sesto Star Trek dimostra la forza di un franchise duro da affondare. Alla 17 JFK è un controverso pamphlet complottista di tre ore di Oliver Stone che dopo Nato il 4 luglio con Tom Cruise si affida di nuovo alla star del momento (Kevin Costner) e di nuovo viene dato per favorito agli Oscar ma finisce per perdere. Alla 18, Hot Shots! è diretto da Jim Abrahams, ex-trio ZAZ con David Zucker (Una pallottola spuntata) e Jerry Zucker (Ghost): è la conferma che le parodie demenziali vanno forte. Alla 21 L'ultimo boyscout unisce Bruce Willis a Tony Scott (Top Gun) e una sceneggiatura di Shane Black (Arma letale): il risultato è una pietra miliare dell'action forse troppo densa e ingegnosa per sfondare veramente. Rispettivamente alla 23 e alla 26 troviamo i due film che sconvolsero realmente l'annata: ispirati da Fa la cosa giusta di Spike Lee, Boyz 'n the Hood del 23enne John Singleton e New Jack City del figlio d'arte Mario Van Peebles ridefiniscono il concetto di blaxploitation aggiornandolo a sentimenti di rabbiosa protesta, associandolo ad analoghi movimenti musicali contemporanei (nel primo film c'è Ice Cube, nel secondo Ice-T) e affiancando drammatici eventi di cronaca come il pestaggio di Rodney King (a cui seguirono, l'anno seguente, le rivolte di Los Angeles) che ne confermavano attualità e urgenza. Altri classici usciti durante l'anno: Thelma & Louise (28), Point Break (29), The Doors (39). Van Damme è ufficialmente un action hero in ascesa e piazza Double Impact alla 45 e Lionheart alla 56. The Commitmens si ferma alla 80 ma diventa un cult che cambia per sempre il repertorio dei pianobar. Barton Fink dei Coen vince Cannes ma si ferma alla 117. Nikita di Luc Besson è appena alla 123, ma fa nascere una serie infinita di imitatori di cui si sente l'influenza ancora oggi. Sempre nelle zone basse, due classici del cinema indipendente come My Own Private Idaho (114) e Slacker (166), che lanciarono rispettivamente le carriere di Gus Van Sant e Richard Linklater.
Il grande flop
Doppietta di Bruce Willis! Incredibile. L'anno precedente si era fatto coinvolgere fuori ruolo nel Falò delle vanità di De Palma uscendone indenne grazie al successo di Die Hard 2, quest'anno punta fortissimo sul suo progetto del cuore: Hudson Hawk è il film che si fa scrivere su misura dopo averne firmato la storia. Ci credono tutti, John McClane era già un mito, il budget di 65 milioni è pari a quello per Atto di forza l'anno precedente. E la produzione fila liscia, se non consideriamo un ostacolo Bruce Willis che fa continuamente ritoccare lo script sul set a seconda dell'idea che gli balza in mente in quell'istante. Non è tutto da buttare Hudson Hawk, ma è un miscuglio delle influenze più disparate, da Hitchcock alla commedia surreale, che vorrebbe trasformare Bruce Willis in una specie di Cary Grant del New Jersey ma finisce soprattutto per spiazzare con continui sbalzi di tono. Ad aggiungere alla confusione ci si mette anche il reparto marketing a tentare di spacciarlo come action puro, e la frittata è servita: il pubblico è perplesso, gli incassi si fermano a 17 milioni.
E un altro progetto strambo in cui qualcuno ha dato troppi soldi e carta bianca alla persona sbagliata è Nient'altro che guai, follia grottesca partorita da Dan Aykroyd e suo fratello, con un cast all-star che include Chevy Chase, Demi Moore, Aykroyd stesso nei panni di un giudice di 106 anni e John Candy in triplo ruolo. Dal punto di vista artistico è una black comedy satirica con echi horror che cerca il suo senso in una voluta sgradevolezza; dal punto di vista commerciale sembra una sfida suicida a mostrare agli spettatori l'ultima cosa che vorrebbero vedere da un cast simile. Il budget era di 40 milioni, l'incasso si ferma a 8.
Il tema dell'anno
Siamo nelle parti medio-basse della classifica, ma è indubbio che il movimento di maggior rilievo della stagione è l'ondata di nuova blaxploitation ispirata dal successo di Spike Lee, specialmente Fa la cosa giusta, e di band come N.W.A. o Public Enemy. Film come Boyz n the Hood (23), con l'esordiente 23enne John Singleton a collezionare al volo una nomination agli Oscar come Miglior Regista, o New Jack City (26), una specie di ethnic-swap di Scarface diretto da Mario Van Peebles (figlio di quel Melvin che lanciò il movimento di blaxploitation originale nei primi '70), colsero nel segno, agitarono gli animi, finirono sui giornali per sparatorie fuori dalle sale ed evidenziarono una profonda spaccatura sociale che si sfogò con le rivolte di Los Angeles del '92 al seguito dell'assoluzione degli agenti che malmenarono Rodney King. Nello stesso anno Spike Lee proponeva il provocatorio Jungle Fever (44), e usciva anche il meno incendiario ma sottovalutato A Rage in Harlem di Bill Duke (regista televisivo più noto come caratterista in film come Commando e Predator). Il movimento guadagnò una spinta notevole, includendo altre voci come quella dei fratelli Hughes (Menace 2 Society del 1993), mentre Spike Lee otteneva abbastanza credito da riuscire a girare un kolossal su Malcolm X (1992). Flop successivi smontarono la carriera di quasi tutti i coinvolti: John Singleton finì per girare 2 Fast 2 Furious e persino Abduction con Taylor Lautner; Mario Van Peebles floppò con gli ambiziosi Posse e Panther e finì a recitare in action di seconda fascia; i fratelli Hughes se la cavarono lievemente meglio con film altrettanto commerciali ma più solidi come From Hell (2001) e The Book of Eli (2010); Bill Duke nel 1993 già girava Sister Act 2; Spike Lee, fra alti e bassi, è l'unico ad essere ancora a galla con la reputazione intatta. Oggi il successo di un'ondata meno rabbiosa ma altrettanto insistente, guidata da gente come Ava DuVernay, Barry Jenkins e Jordan Peele, dimostra soprattutto che negli ultimi 30 anni i cambiamenti non sono stati poi così tanti.
E in Italia?
Ritornano in massa i titoli nostrani: sfondano Nuti (Donne con le gonne), Troisi (Pensavo fosse amore e invece era un calesse), Verdone (Maledetto il giorno che ti ho incontrato) e Vacanze di Natale '91, vince Benigni con Johnny Stecchino davanti a Robin Hood (secondo) e Terminator 2 (quarto dietro a Nuti). Scelta d'amore con Julia Roberts è sesto, a confermare i sospetti sull'influenza del titolo, e la Top 10 è completata da Hook e da JFK.