La famiglia Addams è un magnifico circo di freak
Il primo film in carriera di Barry Sonnenfeld è un adattamento un po’ superficiale, ma anche una continua giostra di invenzioni
Charles Addams era un tizio con un’enorme passione per tutto ciò che era gotico, macabro e inquietante e un grande talento per la narrazione per immagini; queste sue due caratteristiche distintive si combinarono, ormai quasi un secolo fa, nel 1937, a creare quella che ancora oggi è la sua opera più nota: un migliaio di vignette che raccontano la vita della bizzarra e facoltosa famiglia Addams.
"Non la serie, le vignette!" (Barry Sonnenfeld, circa 1990)
Quella di La famiglia Addams, il film datato 1991 di cui stiamo parlando, è una storia di fortunate coincidenze e di incomprensioni di fondo, che comincia con le vignette di Charles Addams, prosegue con la serie TV datata 1964 e si conclude nel gelido abbraccio di Raul Julia e Anjelica Huston. E per raccontarla partiremo da una considerazione: per quanto La famiglia Addams sia oggi vista come una serie quasi mitica, amatissima, un pezzo di storia della televisione (quante serie possono dire di essere riconoscibili con uno schiocco di dita?), la sua fama al tempo non era paragonabile a quella delle vignette da cui era tratta, né di altre serie simili (I mostri su tutte) che uscirono nello stesso periodo.
L’idea era (parafrasiamo): “non voglio fare un film tratto dalla serie, voglio fare un film basato sulle vignette”. Sonnenfeld, che fino a lì aveva lavorato come direttore della fotografia nei primi tre film dei fratelli Coen (e in Misery, e in Harry, ti presento Sally), ricevette nel 1990, dal produttore Scott Rudin, l’offerta per la sua prima regia: un adattamento delle opere di Charles Addams. La proposta, c’è da dire, arrivò solo dopo che Tim Burton e Terry Gilliam la rifiutarono: solo a quel punto Rudin decise di sottoporre il film a Sonnenfeld, spiegandogli che non voleva un regista di commedie ma uno con un forte “visual comedy sense” – in altre parole, quelle di Sonnenfeld stesso in un’intervista di quest’anno, qualcuno che sapesse girare un film non tratto dalla serie TV, ma dalle vignette di Charles Addams. E il segreto del successo (presso il pubblico) di La famiglia Addams, e il motivo per cui il film non venne altrettanto apprezzato dalla critica, sta proprio in questo dettaglio.
Raccolta scombinata a chi?
Quando uscì al cinema nel 1991, La famiglia Addams di Sonnenfeld venne dipinto come (riassumiamo) “una raccolta scombinata di gag e one-liner” e criticato per una sceneggiatura troppo propensa a divagare. Il confronto, raramente esplicitato ma evidente, era con la serie TV di David Levy, un prodotto che non riuscì a conquistare un pubblico sufficiente a meritarsi più di due stagioni ma che divenne immediatamente un beniamino della critica televisiva, che aveva apprezzato l’approccio rivoluzionario e senza tabù a certi temi e la concisione del racconto. Ma la serie TV aveva relativamente poco a che fare con le vignette di Addams: mentre nella prima ogni stranezza, ogni mostruosità, ogni situazione era al servizio della trama del singolo episodio, le seconde sono prima di tutto un’antologia di vita vissuta, senza alcun accenno di orizzontalità narrativa – una serie di, per l’appunto, vignette che ritraggono momenti, non archi, e che messe una in fila all’altra compongono un mosaico che assomiglia molto a “una raccolta scombinata di gag e one-liner”.
Quanto detto per le vignette di Addams vale, senza grosse variazioni di sorta, per il film di Sonnenfeld. Certo, esiste una trama che sorregge tutta l’opera, e che è messa in moto dalla più classica rottura degli equilibri: Fester, il fratello di Gomez, scomparso da tempo, ricompare misteriosamente una notte e spiega di essere rimasto per tutti quegli anni nel Triangolo delle Bermuda. Sarà vero? Sarà un impostore? Il film non si premura neanche di trattarlo come un mistero: Fester (Christopher Lloyd) si chiama in realtà Gordon, e si sta fingendo membro degli Addams per impossessarsi della fortuna di famiglia. Il suo ruolo è quindi quello della persona normale che si ritrova catapultata in mezzo alle stranezze della famiglia Addams e impara ad apprezzarle, e sono proprio queste stranezze, più che tutta quella faccenda dei soldi, che interessano a Sonnenfeld, e che gli servono per mettere in scena il suo omaggio ad Addams.
Il circo dei freak
La famiglia Addams è un circo, una giostra, un caleidoscopio, una rutilante e barocchissimo collezione di vignette in movimento impreziosite da dialoghi sopra le righe recitati da un esercito di attori e attrici in overacting costante. A Sonnenfeld le gag visive interessano più di qualsiasi intreccio e pure più delle one-liner (e il film ne è pieno), e ogni inquadratura è infarcita di dettagli piccoli e grandi, spesso lontani dal centro dell’attenzione, e costruite con lo stesso amore per l’assurdità fulminante che traspare dai cartoon di Charles Addams. Gli stessi membri della famiglia sono spesso trattati come se fossero oggetti di scena, pezzi di racconto per immagini: basti pensare che la Morticia di Anjelica Huston aveva un’illuminazione dedicata, e che Sonnenfeld disse al suo direttore della fotografia Owen Roizman «se sta di fianco a una finestra in una giornata di sole e la luce dovrebbe illuminarla da sinistra, ecco, tu non farlo».
A fronte di cotanta abbondanza visiva, si può anche perdonare al film il fatto di non avere un intreccio particolarmente appassionante e di cominciare lento per poi diventare fin troppo frettoloso sul finale, che tra le altre cose introduce la nuovissima situazione “gli Addams fuori da casa loro” e la risolve nel giro di dieci minuti. Anzi, bisognerebbe smetterla di pensare a La famiglia Addams come a un baraccone poco riuscito e fare un applauso a Barry Sonnenfeld per essere riuscito a evitare il rischio di rendere il suo film niente più che una lunga puntata della serie TV, e per aver colto alla perfezione lo spirito di quelle vignette.
La famiglia Addams è disponibile su Amazon Prime.