La chiusura di Megaupload e le reazioni: qual è la giustizia?
E’ giusta una retata come quella fatta ai danni di Megaupload? Ed è giusta la guerriglia informatica scatenata da Anonymous a ridosso dell’evento?
Quella che si è consumata nella nottata italiana è stata una vera e propria retata. Un’operazione che ha coinvolto l’FBI, il Department of Justice e la polizia di diversi stati tra cui Nuova Zelanda, Germania, Olanda, Canada e Filippine, finalizzata a chiudere senza appelle due società che operavano su 18 domini (Megastuff.co, Megaworld.com, Megaclicks.co, Megastuff.info, Megaclicks.org, Megaworld.mobi, Megastuff.org, Megaclick.us, Mageclick.com, HDmegaporn.com, Megavkdeo.com, Megaupload.com, Megaupload.org, Megarotic.com, Megaclick.com, Megavideo.com, Megavideoclips.com e Megaporn.com) e che canalizzavano il 3% di tutto il traffico della rete occupando la 13esima posizione tra i siti più visitati in assoluto. Un colosso vero e proprio che, come il grande crimine organizzato, si stava lentamente ripulendo. In molti lo utilizzavano legalmente come spazio d’archiviazione (addirittura testimonial noti come P. Diddy avevano messo la loro faccia per promuoverlo, complice il fatto che Swizz Beatz, il fidanzato di Alicia Keys, fosse CEO di Megaupload) e la società stessa aveva annunciato un’attività di noleggio e streaming a pagamento perfettamente legale. E qui sta il punto della questione.
L’idea era di operare una vendetta contro chi aveva ingiustamente chiuso (con metodi, ammettiamolo, che non sono proprio il massimo) una delle principali risorse di pirateria, ovvero il simbolo della lotta armata contro l’ignavia delle società di distribuzione o di edizione musicale e di un sistema che ancora ritiene che le window (cioè il passaggio di un film dalla sala, alla pay tv, all’home video, alla tv libera scandito da tempi fissi) sia un modello di distribuzione efficace.
La storia e la vita di Kim Schmitz, ovvero Kim Dotcom, è nota, come nota è la fortuna che ha fatto. Non a caso le autorità al momento del blitz hanno sequestrato asset per 50 milioni di dollari (tra materiali di elettronica di consumo, server, auto di lusso come Maserati, Lamborghini, Cadillac, Rolls Royce, moto da corsa, acquascooter e via dicendo in un lungo campionario che somiglia alla lista dei desideri di un bambino di 12 anni), tutte riconducibili a un singolo. Secondo le prime stime la fortuna dell’impero del Mega gira intorno ai 175 milioni di dollari.
C’è una bella differenza allora tra il software peer to peer, i torrent e sistemi come Megavideo o Megaupload dove non solo si fruisce a bassissima qualità, ma esiste un sistema economico parallelo e organizzato che non è distante dal crimine organizzato. Per questo difendere una simile idea di pirateria con attacchi informatici è ancora più sbagliato, si attacca un sistema per difenderne un altro, peggiore.
Anche perchè sappiamo tutti cosa succederà. E’ già successo. Questo caso esemplare si trascinerà per mesi, intanto gli utenti troveranno un altro modo di fare la stessa cosa, senza incorrere negli errori di Schmitz (il quale si sentiva al sicuro, coperto dal DMCA, ma non aveva considerato che per avere quella copertura avrebbero dovuto rimuovere i video quando i proprietari del diritto glielo chiedevano, come fa YouTube). Colpire una società che opera nella pirateria sarà anche legittimo e giusto ma è sostanzialmente inutile come deterrente. Non fa nemmeno da esempio, semmai fornisce un indizio in più agli altri operatori su cosa non fare per evitare l’arresto.