Il sesto giorno, ciù Schwarz is megl che uan
Il sesto giorno è il film che portò la parabola superomistica di Arnold Schwarzenegger alla sua inevitabile conclusione: la clonazione
L’intera carriera di Arnold Schwarzenegger può essere vista come una celebrazione costante e sempre in crescendo del suo corpo e della sua straordinaria fisicità. Schwarzy è il genere di attore che “fa” un film con la sua sola presenza, è un’incarnazione del cinema inteso come teatro dell’immaginazione, quel luogo dove esiste una forma di perfezione che la vita reale può solo ambire di imitare (per esempio nel mondo del cinema a pochissima gente scappa la pipì nei momenti peggiori). Non è un caso che abbia cominciato recitando un ruolo per il quale gli bastava essere grosso e minaccioso senza bisogno di parlare troppo; né che sia stato scelto lui per interpretare il primo Terminator, o il fatto che Commando non sembri un film action esagerato e sopra le righe quanto piuttosto un documentario verista. Ognuna delle tappe della sua carriera può essere reinterpretata in quest’ottica, da True Lies (dove la sua vera natura deve venire tenuta nascosta, e questo fatto confrontato con le sue dimensioni e la sua muscolatura è sufficiente a generare comicità) fino a quei film dove si è dovuto forzare per reprimere il suo essere gigantesco e minacciosissimo (un esempio). In questo senso, Il sesto giorno può essere visto come l’inevitabile conclusione di un percorso di celebrazione e deificazione, un percorso il cui ultimo capitolo non può che prevedere una cosa: clonare Arnold Schwarzenegger.
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[caption id="attachment_507560" align="aligncenter" width="1200"] "Una volta ho clonato un pesce lungo così, giuro"[/caption]
Il futuro di Il sesto giorno (“più vicino di quanto pensiate” come ci spiega il film) è quindi più addomesticato di quello di, per esempio, Atto di forza. A una prima occhiata, il lato sci-fi si limita al fatto che chi perde un cane o un gatto può clonarlo, e che il giocattolo preferito dalle bambine è una bambola “intelligente” e spaventosamente inquietante. Per il resto Adam Gibson e la sua famiglia esistono in una curiosa realtà nella quale si può ordinare il latte direttamente dal frigo smart (una cosa che nel 2000 sembrava effettivamente futuribile e che oggi è perfettamente normale), ma nel quale ci sono ancora i telefoni a manovella; nel quale esiste l’intelligenza artificiale ma le TV assomigliano a vecchi CRT. E nel quale, ovviamente, la clonazione è vista da una certa frangia di popolazione come lo strumento del demonio: una protesta diffusa, e rappresentata in modo molto simile (non a caso, probabilmente) a quelle degli antiabortisti dei nostri giorni.
Ed è qui che succede il miracolo, la magia del cinema: Arnold Schwarzenegger vede cose che non dovrebbe, e viene quindi… clonato, e il suo clone gli ruba la famiglia, il lavoro, gli amici e pure il sesso in macchina con la moglie. Prima avevamo solo un Arnold Schwarzenegger: ora ne abbiamo due, identici in tutto e per tutto, e senza neanche tutti quei problemi di identità che incontrare sé stessi solitamente provoca. È l’inizio di un thrillerone via via sempre più fantascientifico che porterà Arnold Schwarzenegger e Arnold Schwarzenegger a scontrarsi con una potentissima organizzazione turbocapitalistico-criminale ma anche e soprattutto a passare tanto tempo insieme in scena. Un sogno che diventa realtà, un’immagine celestiale che fa esclamare “sono ubriaco o son desto?”.
A dirla tutta Il sesto giorno gioca relativamente poco con il fatto di avere a disposizione due Arnold Schwarzenegger contemporaneamente. Un po’ immaginiamo sia questione di costi; un po’ del fatto che la sceneggiatura ha tantissime cose da dire e tantissimi spunti di riflessione da proporre, oltre che una quantità industriale di inseguimenti, esplosioni e altre cose che si associano normalmente ai film di Schwarzy. E a dirla ancora più tutta Il sesto giorno porta un po’ i segni della sua età: in certe lungaggini, nel modo in cui gira a vuoto per metà del secondo atto, in certe transizioni tra scene da mani nei capelli, nella tendenza da primi anni Duemila di Spottiswoode a virare tutto al cupo e al grigio scuro.
Però è anche un thriller strapieno di sequenze e di dettagli che si fanno ricordare: un film con un gran bell’inseguimento in macchina, per esempio, che è sempre una nota di merito, nonché un film sull’importanza dei pollici, che dosa con attenzione provocazioni intellettuali, umorismo sottile e meno, e una più che accettabile quantità di sparatorie e gente che esplode. E poi, lo ripetiamo, ci sono due Schwarzenegger. Che non sono come i due Van Damme di Double Impact, lo yin e lo yang e così via; sono letteralmente lo stesso personaggio raddoppiato. Che è poi l’unica scelta possibile quando hai un film con Schwarzenegger e vuoi migliorarlo: aggiungi altro Schwarzenegger.