Il principe d’Egitto: i registi tornano a parlare del film a 25 anni dalla sua uscita

Secondo Jeffery Katzenberg Il principe d'Egitto doveva sembrare disegnato da Gustave Doré, dipinto da Claude Monet e diretto da David Lean

Condividi

25 anni anni fa Il principe d’Egitto provava a rivoluzionare l’animazione. Chiudeva simbolicamente un periodo, quello del disegno a mano più tradizionale, mentre stavano prendendo piede i film con personaggi tridimensionali a computer. Parlava di temi da cui gli altri studio si tenevano lontani, lo faceva con gravitas e un senso epico insolito per una produzione rivolta ad un pubblico vasto. Jeffery Katzenberg con la DreamWorks Animation Studio era risoluto: voleva creare un’alternativa che guardasse all'animazione classica, rilanciandola però con una ambizione moderna. Il principe d’Egitto fu il progetto più rischioso. Un film maturo, di rottura rispetto agli schemi classici della casa rivale. (QUI IL NOSTRO SPECIALE INTERATTIVO PER SAPERNE DI PIÙ)

Katzenberg in rotta con la Disney e all’apice del suo potere riuscì a portare con se una nutrita squadra formata dai migliori artisti sulla piazza (lavorarono 425 animatori al film). In cabina di regia Brenda Chapman (che segnerà una tappa importante come prima donna a capo di un lungometraggio animato), Simon Wells e Steve Hickner. 

In occasione dell’anniversario Universal Studios e DreamWorks Animation hanno restaurato il film e lanciato un’edizione 4K UHD Blu-ray. I registi sono tornati a parlare di come tutta la lavorazione fosse guidata da un’idea ben precisa: essere un’alternativa, cambiare le aspettative, essere seri, rigorosi, ambiziosi. 

Steve Hickner spiega: “Le direttive di Jeffrey erano di non rifare la Disney. Perciò l’idea era di trovare i nostri confini”. “Volevamo creare uno studio che riuscisse a camminare con le proprie gambe, senza copiare quello che ha fatto la Disney” continua Chapman “per questo Jeffrey e Steven hanno scelto una prima storia così intensa”. 

E di intensità, in effetti, la lavorazione de Il principe d’Egitto ne portò con sé parecchia dato l’argomento spinoso affrontato. Per adattare il testo sacro dovettero consultarsi con le autorità religiose per avere la loro approvazione. Camminarono in un terreno rischiosissimo anche sotto il profilo della rappresentazione della violenza. Il testo è fatto di schiavitù, piaghe, morte e terrore. Una materia da cui l’animazione più commerciale si era tenuta ben lontana, soprattutto alla fine degli anni ’90. La tensione, prima del lancio del film, era altissima. C'erano molti dubbi sulla possibile reazione del pubblico.

Un adattamento universale

Simon Wells spiega che hanno risolto questi problemi cambiando il focus:

Una cosa veramente potente del film è che non parla solo di religione. È invece la storia di qualcuno che deve venire a patti con un’identità con cui non è cresciuto, e che fatica a decidere se accettarla o no.

Un dramma che rompe le barriere del racconto devozionale da cui prende le mosse, appoggiandosi sul dramma dei due protagonisti in cui è possibile identificarsi anche nel tempo presente. Un racconto epico, senza tempo, come desiderato da Katzenberg. 

Fu lui a dire ai registi come avrebbero dovuto concepire il film. Il principe d’Egitto doveva sembrare "disegnato da Gustave Doré, dipinto dall’impressionista Claude Monet e diretto da David Lean". Una direttiva iperbolica, ma anche un messaggio chiaro ai registi: pensate in grande. Per farlo misero insieme un cast vocale di grandi attori come se dovessero girare in live action. Una pratica, all’epoca, insolita per l’animazione. Ancora oggi le grandi produzioni non possono esimersi da seguire la strada tracciata dal film. 

Il successo del Principe d’Egitto ripagò lo sforzo, riposizionando il linguaggio dell’animazione su un pubblico diverso da quello del solo intrattenimento per famiglie. Una longevità che rende orgogliosa Chapman:

Sono veramente fiera del film e di quello che abbiamo ottenuto. Sono emozionata dalle gambe che ha avuto e sento che ha aperto una porta. Non so se l’ha aperta a sufficienza da considerare altri tipi di storytelling per l’animazione, ma ha toccato un certo gruppo di persone.

Fonte: Aframe

Continua a leggere su BadTaste