Il piccolo grande mago dei videogames è una giostra di nostalgia e disagio

Il Nintendo, il Power Glove, il rullante anni Ottanta, ma anche la sessualizzazione dei minorenni e la violenza sui disabili: il film su Super Mario Bros. 3 non è come ve lo ricordate

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Vi ricordate videogames come Space Invaders e Pac-Man? L’Atari? Il Nintendo? Donkey Kong e la prima apparizione di Mario in un videogioco? Se la risposta è sì (o se la risposta è no ma avete visto Stranger Things), su Netflix è da poco arrivata una miniserie di documentari che metteranno a dura prova i vostri condotti lacrimali: si chiama High Score e ne abbiamo parlato qui.

Il piccolo grande mago del product placement

High Score è un documento affascinante ma incompleto che documenta i primi trent’anni di storia del videogioco soffermandosi in particolare su una serie di fenomeni ben noti anche a chi non mastica il medium. Tra questi, visto che parliamo soprattutto di anni Ottanta e Novanta, a farla da padrone sono i prodotti Nintendo, i baffi di Mario, la spada di Link in Zelda, più tutto il portato culturale collaterale (le convention, i campionati, i Gameplay Counselor...) di quel periodo nel quale la grossa N rossa dominava il mercato e i salotti delle famiglie americane. Quello che High Score non dice mai esplicitamente è che si tratta del prodotto perfetto per una categoria molto specifica di persone cresciute in quegli anni: quelle che quando non stavano giocando stavano guardando Il piccolo grande mago dei videogames, sognando di poter un giorno salire su un palco e ricevere 50.000$ cash perché hanno trovato il flauto di Super Mario 3.

Il piccolo grande mago dei videogames, che uscì nel 1989 accompagnato da pernacchie e insulti tipo “il peggior film dell’anno”, è un clamoroso esempio di come la nostalgia e il product placement possano oscurare tutto il resto e cementare, in chi c’era in quegli anni, il culto di un’opera. Il film di Todd Holland incassò meno di 15 milioni di dollari e fu considerato un flop, ma grazie all’home video e (almeno in Italia) a una martellante programmazione pomeridiana/serale, è ricordato come un cult, un pezzo di storia, uno di quei film per famiglie che facevano felici i figli perché vedevano come protagonisti un gruppo di ragazzini appassionati di videogiochi, e che facevano felici i genitori che nel successo del piccolo Jimmy vedevano forse una speranza per il futuro del LORO piccolo Jimmy che passa le giornate chino sul Game Boy e non in cortile a giocare a calcio con gli amici.

Il piccolo grande magio del disagio

La verità, nel 2020, è molto più shockante di così: The Wizard (da qui in avanti useremo il titolo originale perché è più corto) è prima di tutto un dramma familiare ai confini dell’exploitation emotiva, poi un road trip punteggiato di episodi moralmente discutibili, e solo alla fine un enorme product placement per Nintendo, una pubblicità mascherata da film che si svolge in un’America parallela nella quale anche i cabinati da sala giochi riproducono solo ed esclusivamente giochi della casa giapponese nonché un’occasione da 6 milioni di dollari per lanciare (almeno sul mercato statunitense, visto che in Giappone era uscito da qualche mese) Super Mario Bros. 3. E se quest’ultimo discorso è ben noto fin dal giorno dell’uscita del film, e anzi già al tempo fu una delle motivazioni più usate per stroncarlo, sono i primi due che continuiamo a ignorare da anni, cullandoci nel ricordo del primo e unico prodotto audiovisivo della storia in grado di rendere fighissimo pure il Power Glove.

The Wizard è la storia di una famiglia distrutta: lo sciur Woods (Beau Bridges) e la sua seconda moglie Christine (Wendy Phillips) si sono separati dopo la tragedia che ha portato alla morte della piccola Jennifer, sorella gemella dell’altrettanto piccolo Jimmy, il quale vive con la sciura Christine e il suo nuovo marito. I due fratelli di Jimmy, uno figlio di Christine (Corey/Fred Savage) e l’altro dell’anomima prima moglie (Nick/Christian Slater) vivono invece con lo sciur Woods, e passano le giornate a litigare. Ah, giusto: il piccolo Jimmy non si è mai ripreso dallo shock della morte della sorella ed è entrato in uno stato semi-catatonico che lo porta a isolarsi dalla realtà e a essere insolitamente fissato con attività ripetitive (costruire castelli di cose) e con la necessità di raggiungere la California.

In questo quadro di sfascio familiare spicca per insensibilità il nuovo marito di Christine, il signor Bateman (Sam McMurray), che essendo un padre di famiglia americano tutto casa lavoro ordine e disciplina ha un pessimo rapporto con il piccolo Jimmy, dove “pessimo rapporto” si traduce in “piuttosto che averlo in giro per casa lo fa rinchiudere in un istituto per bambini problematici e se lo dimentica lì”. A casa del padre, Corey soffre per questa cosa e si convince che ai suoi genitori non freghi nulla del fratello; decide quindi di armarsi di skateboard, far evadere Jimmy dall’istituto e partire con lui per un viaggio a piedi verso la California. Sconvolti dalla scomparsa dei figli, i genitori decidono di partire alla loro ricerca: il padre sciur Woods insieme al figlio Nicky, la madre sciura Bateman spedendo al suo posto un investigatore privato specializzato in ritrovare bambini scomparsi e riportarli dai genitori.

Hermione is that you?

Tutta questa storia di abusi, anaffettività, mancato riconoscimento della disabilità, chiusura emotiva (il padre sciur Woods non riesce neanche a parlare con i figli della morte della prima moglie, preferendo borbottare qualcosa di molto maschio prima di chiudersi in un silenzio carico di testosterone) e tragedie familiari viene presentata come una vicenda in realtà piena di allegria e buoni sentimenti, che vengono solo amplificati ogni volta che qualche personaggio viene a contatto con i videogiochi. Perché vedete, nel corso del loro viaggio verso la terra delle prugne Sunsweet Corey e Jimmy fanno la conoscenza di Haley (Jenny Lewis, che negli anni successivi avrà una carriera di discreto successo in ambito musicale), una rossa tutto pepe sulla quale è stata più o meno inconsciamente Hermione Granger che, quando scopre che Jimmy ha un talento innato per i videogiochi, decide di sfruttare i due gonzi per fare un sacco di soldi.

Qui inizia tutto il secondo layer di disagio legato a The Wizard: più che la simpatica ragazzina e casto love interest del nostro protagonista che vorrebbe essere nelle intenzioni della produzione, Haley è la versione più volgare e adulta di Beverly di IT, fortunatamente senza la parte sulle violenze domestiche ma comunque figlia semi-abbandonata di padre camionista e madre fuggita dai suoi stessi debiti di gioco, aggressiva, furba, scaltra, truffatrice nata, forzatamente sensuale, spesso ritratta in pose e modi da donna navigata... diciamo così, non il tipico personaggio da film per pre-adolescenti, e sicuramente non il tipico personaggio che ci si aspetta in un film nato per fare pubblicità ai giochi Nintendo. Haley è un personaggio di 13 anni scritta come se ne avesse 18, e non è peraltro l'unica minorenne a venire ipersessualizzata:

E se ancora non siete convinti, eccovi una sequenza in piscina che dovrebbe sollevare ogni dubbio:

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Solo i videogiochi ti salveranno!

E in tutto questo non abbiamo ancora citato la violenza e l’umiliazione costanti a cui viene sottoposto il povero Jimmy, reo di essere, come dicono loro stessi più volte, “un po’ timido” e per questo costantemente bersagliato di insulti abilisti e atti di bullismo di ogni genere. Ancora una volta a salvarlo sono i videogiochi Nintendo, perché forse non è ancora chiaro per cui lo ribadiamo un’altra volta: The Wizard è uno spot di un’ora e quaranta che serve a dimostrare che i giochi della grande N ti salvano la vita, ti rendono una persona migliore, riuniscono le famiglie, ti aiutano a superare lo shock della perdita di una sorella, tutto questo e molto di più se comprate un Nintendo Entertainment System® con la cartuccia di Super Mario Bros. 3® e magari il Power Glove® e le cartucce di altri giochi che vi stiamo presentando in questo film cinematografico, per esempio Ninja Gaiden®, Teenage Mutant Ninja Turtles®, Rad Racer®, Adventures of Link® e molti, molti altri!

Intendiamoci: almeno questo va benissimo così, The Wizard non ha mai nascosto di voler essere una pubblicità per quella che al tempo era di gran lunga la console più venduta d’America. E il film ha addirittura qualche merito: per la prima volta al cinema il gameplay di un noto videogioco diventa parte della narrazione visiva e non è solo la sua presenza come elemento di contorno, ma il suo contenuto stesso a contribuire alla scena, e in questo senso The Wizard non è solo un remake di Rain Man con i videogiochi ma anche l’antenato di certi Let’s Play su YouTube; quella di Jimmy che trova il flauto per raggiungere la warp zone e superare il punteggio dell’antipaticissimo Lucas è una sequenza il cui valore è accresciuto da quello che succede dentro al videogioco, non solo a chi ci sta giocando, e questa nel 1989 era una scelta da pionieri.

Peccato davvero che tutto il resto sia esasperante: il primo montato del film durava due ore e mezza, e nonostante quasi sessanta minuti di tagli The Wizard riesce comunque a trascinarsi, ripetersi e dilungarsi, oltre che a sprecare tempo prezioso a inquadrare paesaggi infiniti alla Easy Rider con panoramiche accompagnate dal riverbero di una canzone anni Ottanta, una scelta stilistica che non si capisce in che modo possa essere considerata di appeal per il pubblico di riferimento. E peccato per certi eccessi di scrittura che non richiedono necessariamente una laurea in moralismo per colpire in negativo. Peccato per il film, insomma, ma se avete guardato High Score con una lacrimuccia fissa all’angolo dell’occhio fatevi un altro giro con The Wizard e concentratevi solo sulle scene in cui compaiono i videogiochi: scoprirete che la lacrimuccia è sempre lì.

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