Il New York Times a pagamento (ancora)
Per l'ennesima volta, il popolare quotidiano annuncia il passaggio ai contenuti a pagamento. Ma con una formula, se possibile, peggiore delle precedenti...
Rubrica a cura di ColinMckenzie
D'altronde, le ragioni non mancano. L'attuale dirigenza (e con loro tanti commentatori) sembra essersi scordata che questo tentativo è già stato fatto nel 2005 e si è rivelato un sonoro fallimento, tanto che quella strada fu abbandonata nel settembre del 2007 per un numero insufficiente di pagamenti e per le difficoltà di (non) sfruttare i tanti lettori occasionali che arrivavano dai motori di ricerca (ma che ovviamente non potevano accedere a certi contenuti), il tutto mentre il mercato della pubblicità su Internet aumentava.
Peraltro, non si è scelta neanche la strada della ESPN o del Wall Street Journal (esempio peraltro fuorviante, visto che le informazioni economiche sono tra le poche per cui gli addetti ai lavori sono disposti a pagare), ossia quella di alcuni pagamenti gratuiti e altri. No, qui l'idea è che a un certo punto si paghi, ma non si capisce esattamente chi e perché, dopo aver letto alcuni articoli gratuiti per un periodo di tempo, dovrebbe poi trovare essenziale pagare.
Forse, il grosso errore è quello di voler passare a Internet pensando di dover per forza mantenere gli stessi fatturati e gli stessi dipendenti (tanti, troppi) dei mass media tradizionali. Non è che se la formula attuale più diffusa (contenuti gratuiti e pubblicità) non funziona come vorrebbero gli editori, allora una svolta a 180 gradi dovrebbe per forza essere efficace e migliore.
Alla fin fine, comunque, la notizia positiva è che, dopo tanti proclami di 'Basta con i contenuti gratuiti", magari vedremo qualcuno che lo fa veramente e potremo giudicare i risultati. Come diceva Flaiano, meglio una fine spaventosa che uno spavento senza fine...
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