Il caos dei film di supereroi raccontato da The Franchise, la serie nata da uno sfogo di Sam Mendes

The Franchise è una storia di finzione, ma è anche una satira contro alcune storture vere dei processi produttivi di Hollywood

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Perché così tanti creativi ce l’hanno con i franchise, in particolare con quelli dei supereroi, se questi formati narrativi portano soldi, rendono potenti i registi e talvolta danno esiti anche creativamente interessanti? La risposta è così complessa da riempire una serie satirica vistosamente ispirata ai set Marvel e DC. The Franchise è creata da Jon Brown ed è nata da una chiacchierata al ristorante tra Armando Iannucci e Sam Mendes. L’ultimo era sfinito dalla produzione di Spectre e spiegava la difficoltà di gestire un progetto simile, con le influenze dello studio e i continui cambi.

Fare film di un franchise è spesso un processo assurdo, caotico e le decisioni vengono prese per i motivi più casuali, sei costantemente in bilico. C’è questa sensazione di un enorme motore che si muove inesorabilmente in avanti, e a volte senti di essere tu a guidare il treno come regista e altre volte sei solo un passeggero” ha detto Mendes. Questo pensiero è diventato la base della serie.

Ma cosa racconta The Franchise di come si fanno i blockbuster a Hollywood?

Nessuno è fondamentale nei film degli studios, tutti sono intercambiabili. È uno degli aspetti più tragicomici di The Franchise: sul set di Tecto (un supereroe capace di generare terremoti) il cast vive il terrore di essere rimpiazzato. Questa idea viene dal fatto che talvolta, dicono i due produttori, Marvel e DC girano una scena con gli attori sul set e poi la girano senza gli attori, ma con gli stessi movimenti di macchina, per aggiungerli o cambiarli eventualmente in post produzione. Nonostante citino entrambi gli studi, il riferimento sembra alla battaglia dell’aeroporto di Captain America: Civil War dove l’aggiunta di Spider-Man a riprese effettuate ha portato a radicali cambi nell’inquadratura.

In realtà più che sostituibili, gli attori sembrano oggi “aggiungibili”. In altre parole: non ci sono mai troppe star e troppi camei in un film di supereroi. E il pubblico sembra apprezzare. Quello che è più difficile fare è convincere che un supereroe possa anche essere donna. I successi di Wonder Woman e Captain Marvel non hanno avuto seguito (significativo il flop di The Marvels). Un tema, quello delle supereroine che non riescono ad avere successo se non assomigliando alla controparte maschile, usato dalla serie come stoccata al cinecomic. 

Il regista dei registi

Si parla anche di Kevin Feige. Uno che porta sulle proprie spalle tutto, subendo continue pressioni in maniera esponenziale man mano che l’universo si espande. In The Franchise Darren Goldstein interpreta il produttore Pat Shannon. Costui è modellato sul boss dei Marvel Studios, anche se i produttori hanno detto di avere scritto il personaggio in maniera diametralmente opposta. Così ha descritto la creazione del "villain" il regista Jon Brown: “Tutti quelli con cui abbiamo parlato hanno detto: 'Kevin Feige è un uomo incredibilmente gentile’, così da scrittore ho pensato: ‘Cavolo, è un vero peccato, fosse un mostro, potremmo attaccarlo’.”

Nella serie si sente però il personaggio dire che la fatica da franchise non è un vero problema, è un concetto truffa. Jon Brown ha un’idea ben precisa su dove stia il problema, nel caso della Marvel:

Mi sembra che il loro rapporto con la fan base si sia capovolto: invece di dire con sicurezza, 'Questo è il film e questa è la nostra strada,' sembra che si siano messi nella posizione di inseguire una fan base che era più coinvolta nelle fasi precedenti rispetto a quanto lo sia ora.

Gli eroi nascosti

Il senso dello show è anche di dare spazio agli eroi nell’ombra dei set. Cioè tutte le persone che contribuiscono a creare il prodotto finale senza ricevere i giusti crediti. Sono tutti gli aiuto registi, i supervisori della sceneggiatura che scrivono e rigirano le scene. Dice Sam Mendes:

Il cuore pulsante della serie ha a che fare con gli aiuto registi, i segretari di produzione, i supervisori della sceneggiatura, i produttori di linea e la troupe che realizza il film senza prendersi il plauso del pubblico. Volevamo fare uno show su artigiani intrappolati in una macchina disfunzionale, più che su un gruppo di idioti che non riescono a fare nulla di giusto. 

Anche se quando crei qualcosa ti dici ‘Non mi lascerò coinvolgere questa volta,’ nel momento in cui ci metti anche solo una piccola parte di te stesso, sei già coinvolto. Non puoi fare a meno di sentirti emotivamente legato. Ed è spesso questo il lato più straziante, perché la macchina produttiva non si preoccupa davvero delle persone; è solo un contenuto.

Ci si potrebbe aspettare che un attacco così diretto al sistema degli studios americani incontri degli ostacoli. In particolare per la Warner, che ha di recente eliminato completamente il film, quasi già completato, di Batgirl. Invece Warner Discovery, che controlla HBO, non ha esitato a dare l’ok alla serie. Hollywood non cambia ma, per lo meno, sa prendersi in giro.

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