I migliori film di John Landis (a parte quelli ovvi)
Compie settant’anni il regista di Animal House e Blues Brothers – e non solo
John Landis oggi compie settant’anni (auguri!) e potrebbe parlarvi a lungo della maledizione di un grande inizio di carriera: tra il 1978 e il 1983 il signore di Chicago fece uscire Animal House, I Blues Brothers, Un lupo mannaro americano a Londra e Una poltrona per due, oltre al bel documentario Coming Soon e a due episodi del film di Ai confini della realtà. È facile capire perché da lì in avanti il resto della sua carriera sia stato un costante bombardamento di gente che gli diceva “perché non sei più tornato a quei livelli?”, un trattamento ingiusto e ingeneroso a fronte di una produzione che, se da un lato è vero che non ha mai più toccato le vette dei primi anni, dall’altro non è mai realmente crollata dal punto di vista qualitativo – è più corretto affermare che a un certo punto Landis è uscito dallo zeitgeist e ha cominciato a lavorare più per sé stesso e la sua soddisfazione.
Tutto in una notte (1985)
John Landis ama Tutto in una notte, e sostiene che sia “il contrario di un film high concept”, di un film cioè che si spiega in una sola frase. E ha ragione: è vero che è un film sovraccarico e appesantito da una buona dose di guardarsi l’ombelico e di fare cinema per sé e per i propri amici del cinema, ed è forse il primo caso di commedia targata Landis alla quale manca un po’ di ritmo, ma Tutto in una notte è anche strapieno di gag che funzionano ed è sorretto da Jeff Goldblum e Michelle Pfeiffer in stato di grazia.
Donne amazzoni sulla Luna (1987)
La versione sci-fi di Ridere per ridere, la cui cornice è un magnifico film che meriterebbe di esistere davvero e che parla della Regina Lara e del Capitano Nelson contro i ragni mangiauomini della Luna, e che raccoglie poi 21 corti comici girati da Landis e i suoi amici (Joe Dante, Carl Gottlieb, Peter Horton, Robert Weiss). Alcuni fanno molto ridere, altri un po’ di meno, ma non ce n’è nessuno completamente impresentabile. Non sarà la miglior antologia comica di sempre ma definirlo, come fece Entertainment Weekly, “l’inizio della fine della sua carriera” è dimostrazione di quanto dicevamo all’inizio sul trattamento ricevuto da John Landis.
Oscar (1991)
Un caso clamoroso di film che con un paio di sforbiciate e un montaggio un po’ più vivace sarebbe ricordato come una gemma di comicità, e che invece è uscito appesantito dalla bulimia di John Landis e più mediocre di quanto meriterebbe. Ci sono sequenze in Oscar che stanno al livello dei momenti migliori dei suoi presunti film migliori, c’è uno Stallone non troppo a suo agio con il genere ma che ci mette tantissimo impegno, e c’è Marisa Tomei al suo quarto film in carriera che si divora la scena ogni volta che compare: avercene di film brutti così.
Leggenda assassina (2005)
L’episodio di Landis per la prima stagione di Masters of Horror, scritto in collaborazione con il figlio Max; dura un’ora per cui se volete potete contestare la sua inclusione in questa lista di film, resta il fatto che Deer Woman, questo il titolo originale, è una perla, una sorta di spin-off di Un lupo mannaro americano a Londra (che viene anche citato nel corso dell’episodio, insieme ai Blues Brothers, il che fa pensare all'esistenza di un Universo Condiviso Landis) con più sangue e più sesso, e un bel po’ di amore per gli effetti speciali pratici e tutto l’armamentario dell’horror classico. Sarebbe addirittura l’episodio migliore dell’intera prima stagione di Masters of Horror, se non fosse seguito da Cigarette Burns di Carpenter.
Burke & Hare (2010)
L’ultimo film di John Landis per il cinema, e anche il suo più compassato, elegante e financo british, dove l’understatement è alla base di tutte le risate e dove ci si fa delle gran risate anche grazie ad accenti buffi ed esagerati. Landis, che qui lavora con uno script non suo, voleva fare la sua versione di film tipo La signora omicidi; in realtà finisce per girare una commedia che sta a metà tra certe cose di Mel Brooks (Frankenstein Jr. in primis) e quello che faceva Simon Pegg all’inizio della sua carriera (Spaced), il tutto in costume. Da applaudire in punta di dita mentre si sorseggia un tè.