“
Ma come non hai ancora visto Homeland?”.
Una domanda che mi sono sentito ripetere infinite volte in passato. Cominciavo a sentirmi quasi un paria, un reietto tanto della società, quanto della redazione. Come se stessi viventi letteralmente fuori dal mondo. Così poco “up to date”. Tant’è: con le serie tv ho delle tempistiche tutte mie e il più delle volte, quando poi comincio a entrare nel meccanismo di un serial che mi appassiona, sviluppo una vera e propria ossessione. Una fedeltà sincera, genuina, anche se magari all’inizio mi accosto con la stessa diffidenza che aveva il lupo Due Calzini verso John Dunbar in Balla coi Lupi. Nel 2012 è avvenuto con Game of Thrones e, di recente, con Homeland, di cui la divisione nazionale della 20Th Century Fox mi ha fornito una review copy in Blu-ray Disc della Season One. Una situazione in cui, volente o nolente, ho dovuto necessariamente smettere di rimandare la visione della serie ispirata al serial televisivo israeliano Hatufim.
Nel caso di Homeland mi sono ritrovato davanti a una delle più interessanti, lucide e profonde riflessioni sull’America post 11 settembre, una sorta di “cugino di primo grado” televisivo di quello
Zero Dark Thirty che l’anno scorso ha fatto parlare di sé non solo in ambito d’informazione cinematografica. Homeland è una storia sull’ossessione, sull’annullamento di quel netto confine che identifica amici e nemici in un’epoca che ha da tempo archiviato le divisioni chiare date dalla Cortina di Ferro, del Muro di Berlino, della contrapposizione Usa-URSS. E qui si parla solo dell’aspetto più evidente, manifesto del serial. Un argomento che, da solo, non sarebbe forse bastato a decretare il successo di una serie che poggia le sue basi sulla perfetta costruzione dell’elemento narrativo più strettamente collegato agli elementi del thriller spionistico, ma che trova la sua chiave di volta nelle performance dei tre protagonisti,
Claire Danes,
Damian Lewis e
Mandy Patinkin, quest’ultimo indimenticabile
Inigo Montoya di La Storia Fantastica - The Princess Bride. Impossibile non farsi trascinare nella fitta rete di congetture, sospetti, luci (poche) e ombre (tante) che avvolge tutti i personaggi della serie. Everybody lies, diceva il Dr. House. E in Homeland le bugie raggiungono un livello di stratificazione talmente elevato che non appena nella testa dello spettatore si delinea il contorno di un’ipotesi risolutiva, questa viene drasticamente messa in discussione dal cliffhanger di puntata, dal ripensare a un piccolo dettaglio quasi impercettibile e insignificante apparso in questo o quell’episodio. Affezionarsi a un personaggio - atto quasi scontato nel momento in cui ci si appassiona a una serie tv - diventa come fare una passeggiata su un campo minato, non tanto perché, come nel già citato Game of Thrones, il tristo mietitore è sempre dietro l’angolo, quanto perché nulla è mai veramente quello che sembra. O forse sì?
Il cofanetto della prima stagione propone un livello tecnico di elevata qualità. Girato in alta definizione con cineprese Arri Alexa, Homeland offre un quadro visivo notevole, chiaro, sempre puntuale nella riproposizione dei dettagli - a parte qualche incertezza negli interni e nelle scene più scure. La fotografia segue l’andamento emotivo del contesto, senza alcun cedimento di sorta delle performance sullo schermo. Buono anche l’audio, in DTS, anche se Homeland non fa dell’audio roboante il suo punto di forza. In ogni caso la dinamica sonora è apprezzabile.
Fra gli extra troviamo:
Scene tagliate
Commento audio al pilota
Settimana Dieci: prologo della seconda stagione
Homeland: Sotto Sorveglianza
Un documentario di circa mezz’ora dedicato alla genesi e allo sviluppo dello show