Giustizia per il Trono – Daenerys Targaryen

Il capitolo finale di questa carrellata sulle figure principali de Il Trono di Spade non poteva che concludersi con lei: Daenerys Targaryen.

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Il capitolo finale di questa carrellata sulle figure principali de Il Trono di Spade non poteva che concludersi con lei: Daenerys Targaryen. Per tutta la saga presentataci come “una nuova speranza”, quella che una volta riuscita a tornare a Westeros avrebbe ‘spezzato la ruota’ del dominio dei vecchi casati occidentali e restaurato il dominio dell’antica e spodestata dinastia Targaryen. Le vicende di Daenerys prendono una brutta piega nella stagione finale: segnata da perdite, insuccessi e tradimenti interni, la Madre dei Draghi precipita rapidamente nel gorgo della follia trasformando l’ultima battaglia ad Approdo del Re in una strage e minacciando ulteriori guerre e carneficine nel resto del Continente Occidentale, prima di essere fermata con una stilettata al cuore dall’amante di cui si fidava, Jon Snow.

Dire che il finale riservato a Daenerys è controverso è usare un eufemismo. Ancora oggi fanno fatica a sedarsi le discussioni sulla sua discesa nella follia e nel suo inaspettato ruolo di minaccia finale della serie. Quelli più affezionati al personaggio e al ruolo ‘salvifico’ che aveva incarnato in buona parte della serie gridano al tradimento e allo snaturamento della sua figura. I possibilisti ammettono che questa eventualità c’era ma puntano il dito sulla fretta e sulla poca verosimiglianza con cui è stato gestito lo sviluppo. I difensori (una quantità esigua, in verità), affermano che questo finale era scritto nella storia di Daenerys fin dall’inizio e lo vedono come la chiusura più appropriata per il personaggio. Chi ha ragione? Ah, difficile a dirsi...

Sovvertire le aspettative?

Se Jon Snow e il suo mancato faccia a faccia con il Re della Notte poteva essere considerato una vittima illustre dell’impellente bisogno di ‘sovvertire le aspettative’ che ha animato gli showrunner nella fase finale della saga, Daenerys ne è la vittima per eccellenza, la figura-simbolo della piega inaspettata (e per alcuni sgradita) che la stagione finale di Game of Thrones ha preso. Non ne ha fatto mistero l’interprete Emilia Clarke, che aveva naturalmente messo tutta se stessa nel personaggio di Daenerys (“Quando lessi la sceneggiatura dell’ultima stagione decisi che dovevo fare quattro passi per calmarmi... Finii per camminare cinque ore”) e sicuramente non hanno apprezzato la scelta le varie centinaia di spettatori che avevano chiamato le figlie Dany o Khaleesi e che si ritrovavano ora a celebrare un’omicida di massa. Ma scelte estreme del pubblico a parte, almeno su un aspetto il giudizio sembra abbastanza concorde: la discesa di Dany nella follia non ha avuto i tempi e l’approfondimento che meritava. Ma appurati i problemi di tempistica e di dettaglio, vogliamo spingerci oltre e affrontare l’elefante (o il drago) nella stanza: nella sua essenza è una conclusione adatta/plausibile all’arco narrativo di Daenerys?

Senza giri di parole, la personalissima opinione di chi scrive è no. Daenerys non si meritava una conclusione del genere. Rifacendoci a un’altra celebre frase eletta a simbolo dello show, “se pensi che questa storia abbia un lieto fine, non hai prestato attenzione”. Nessuno pensava che Dany, tornata nel Continente Occidentale, avrebbe sconfitto i cattivi, sarebbe stata accolta come eroina e salvatrice e tutti sarebbero vissuti felici e contenti. Siamo pur sempre in Game of Thrones, dopotutto: il peggio che l’umanità ha da offrire finisce per emergere, e anche se non sempre prende il sopravvento, lascia comunque il segno. La possibilità di un finale ‘agrodolce’ (termine peraltro usato dallo stesso George R.R. Martin per definire il nebuloso finale della sua saga letteraria) ce lo aspettavamo. Ma la corruzione definitiva, insanabile ed esecrabile di Daenerys a dittatrice e sterminatrice è troppo. È quella subvert expectations che esagera per il gusto di stupire, ma che stride e contrasta con quanto visto in precedenza.

Una caduta poco comprensibile

Proviamo a entrare più nel dettaglio. Chi sostiene la plausibilità della follia di Dany indica spesso che i segni del “fuoco e sangue” che la animano si erano già abbondantemente visti nelle stagioni passate: nella conquista delle città dell’est, nella crocifissione dei padroni degli schiavi, e così via. Verrebbe da dire che buona parte delle azioni intraprese da Dany da questo punto di vista non differiscono poi molto da quelle regolarmente attuate dai vari reggenti dell’Occidente che nessuno si prende la briga di definire pazzo, da Tywin Lannister a Stannis Baratheon, ma anche passando per il più prosaico Robert Baratheon fino al virtuoso ma pur sempre intransigente Eddard Stark. La linea di demarcazione invalicabile che ha sempre distinto Daenerys è il tenere fuori il popolo e gli innocenti dagli orrori della guerra. Anche nei suoi atti più violenti o drastici, la specifica di non fare del male a donne, bambini e civili in generale non è mai venuta a mancare.

E viene invece a mancare sul traguardo, a battaglia ormai vinta. È impensabile? Certo che no: l’eroe o l’eroina che finiscono per violare il giuramento che ritenevano più sacro può essere materia di una potente narrazione drammatica (secoli di drammaturgia classica greca ce lo insegnano), ma la caduta deve essere significativa e rilevante: il personaggio virtuoso che viola la sua legge morale deve farlo per motivi drastici, sconvolgenti, ineluttabili. È questa perentorietà della caduta che manca nel destino di Daenerys: se la Madre dei Draghi fosse caduta di fronte al rischio di una sconfitta finale, di morte certa, o di sterminio delle sue forze, avremmo potuto capirlo. Ma lanciarsi in una strage degli innocenti a battaglia vinta e a obiettivo raggiunto non ha il sapore della tragica caduta. Ha più il sapore di un capriccio. Quel che è peggio, ha il sapore di un capriccio altrui.

Il senso della storia

Ma soprattutto, quello che lascia perplessi è: con questa conclusione, qual è il senso della storia di Daenerys nella sua interezza? A voler essere all’antica ci verrebbe da chiedere qual è la morale della storia, ma cercare una morale in Game of Thrones forse è pretenzioso. Chiediamoci allora qual è semplicemente il senso? Che geni ed ereditarietà avranno sempre la meglio sulle scelte individuali? Che per quanto tu faccia e per quanto ti sforzi sarai sempre la figlia dei tuoi antenati e ti porterai dietro le sue tare? La sfida di Dany era proprio questa: dimostrare di poter essere diversa dal Re Folle e da coloro che l’avevano preceduto. Una vittoria sarebbe stata edificante, una vittoria amara o a caro prezzo sarebbe stata la soluzione più appropriata, una caduta rovinosa avrebbe avuto bisogno di una motivazione o di una spiegazione chiara, potente e significativa. È quella che manca, e ci ritroviamo a gemere come Drogon, di fronte al corpo senza vita dell’ultima Targaryen senza capire cosa sia successo.

Potremmo addentrarci nella ridda di ipotesi da web che vedrebbero il drago avere portato in volo il corpo della Regina a est, dove ancora sono attive le Sacerdotesse Rosse del Culto di R’llhor per un’improbabile ma non impossibile resurrezione, ma è un’ipotesi che forse è meglio lasciare al dominio dei what if e della fan fiction.

Menzioniamo però almeno una delle teorie più quotate, e nel farlo chiudiamo il cerchio di questo ciclo di articoli riagganciandoci a quanto avevamo accennato nel primo della serie, dedicato a Cersei Lannister, perché ci colpisce come un esempio di conclusione che avrebbe conservato la conclusione ‘agrodolce’ della storia ma senza devastare la preponderante parte virtuosa del personaggio. Nell’ormai famigerato ‘scambio di coppie’ del finale, la pugnalata al cuore che accompagna il bacio avrebbe dovuto sferrarla Jaime Lannister all’amata/odiata sorella mentre Daenerys Targaryen, costretta alla strage per salvare una battaglia sull’orlo della sconfitta, rendendosi conto di avere fallito nell’ora della prova suprema e giudicandosi indegna del trono, avrebbe dato ordine a Drogon di scioglierlo per poi ‘autoesiliarsi’ e fare ritorno nell’est, dove il suo regno non aveva conosciuto il fallimento.

La aggiungiamo, come tanti altri finali ipotetici che ci siamo divertiti a menzionare nel corso di questa serie, alla wish list di un’improbabile, ma sempre sognata chiusura del ciclo letterario. Anche quello sarebbe un sovvertimento delle aspettative!

Trovate tutte le notizie su Il trono di spade nella nostra scheda.

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