Addio a Giulio Andreotti - Il Divo della politica italiana
Nel giorno della scomparsa dello statista romano Giulio Andreotti, ricordiamo i suoi maggiori successi... cinematografici.
Giulio Andreotti, sette volte Presidente del Consiglio, otto volte Ministro della Difesa, cinque volte Ministro degli Esteri, tre volte Ministro delle Partecipazioni Statali, due volte Ministro del Bilancio, delle Finanze e dell’Industria, una volta Ministro del Tesoro, dell’Interno e delle Politiche Comunitarie; a 28 anni era già Sottosegretario di Stato nel primo Governo De Gasperi e ha attraversato il Transatlantico di Montecitorio dalla Costituente fino al 1991 quando Cossiga gli donò il laticlavio a vita.
Lui parlava con la sua voce lenta, educata, da confessore che ti impartisce la penitenza di cinque Pater, cinque Salve Regina, dieci Requiem Aeternam, e io avvertivo un disagio cui non riuscivo a dar nome. Poi, d'un tratto, compresi che non era disagio. Era paura. Quest'uomo mi faceva paura. Ma perché? A chi fa paura un malatino, a chi fa paura una tartaruga? A chi fanno male? Solo più tardi, molto tardi, realizzai che la paura mi veniva proprio da queste cose: dalla forza che si nascondeva dietro queste cose. Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza. L'intelligenza, perbacco se ne aveva. Al punto di potersi permettere il lusso di non esibirla. A ogni domanda sgusciava via come un pesce, si arrotolava in mille giravolte, spirali, quindi tornava per offrirti un discorso modesto e pieno di concretezza. Il suo humor era sottile, perfido come bucature di spillo. Lì per lì non le sentivi le bucature ma dopo zampillavano sangue e ti facevano male.
Non è questo il luogo per ricordare l’Andreotti politico; nei prossimi giorni appariranno ovunque coccodrilli, post mortem e ricordi più o meno ipocriti, d’altronde buona parte del giornalismo italiano attende questo giorno da due decenni, se non di più. Noi di BadTaste.it vogliamo raccontarvi i ritratti di Andreotti che, dal dopoguerra ad oggi, il cinema - e più in generale il mondo dell’entertainment - ha dedicato al Divo Giulio.
In fondo, io sono postumo di me stesso.
L’esordio cinematografico del Divo Giulio risale al 1983 quando, nel celeberrimo Tassinaro di Alberto Sordi, appare nei panni di un cliente dei taxi romani insieme a Federico Fellini e ad una allora appena esordiente Alessandra Mussolini. Nel film, Andreotti si intrattiene per qualche minuto con l’autista (interpretato da Sordi) e spiega perché, a suo avviso, si dovrebbe tornare alle università a numero chiuso.
Il Tassinaro ha marcato un’epoca, tuttavia la figura di Andreotti aveva già ispirato, vent’anni prima, addirittura Totò che, nel film Gli Onorevoli del 1963 disse di voler votare DC perché “non c’è rosa senza spine e non c’è governo senza Andreotti”.
Rimanendo nella commedia italiana, storica è anche la scena di Fantozzi subisce ancora (quarto episodio della fortunatissima saga di Paolo Villaggio, datato sempre 1983), in cui il ragioniere, nel tentativo di decidere per che partito votare, si fa ipnotizzare davanti a una tribuna elettorale televisiva dove, manco a dirlo, a rappresentare lo scudo crociato appare nientemeno che il nostro Giulio.
Anche il cinema americano non poteva non accorgersi della grandezza del personaggio, così, nel 1990, Francis Ford Coppola - da sempre molto attento alle vicende di casa nostra - ne Il Padrino Parte III decide di far incontrare a Don Corleone un ambiguo uomo politico, di nome Licio Lucchesi che, oltre ad essere di fatto una fusione fra Licio Gelli, gran maestro della famigerata loggia P2, e Andreotti, a un certo punto del film sente il famoso aforisma “Il potere logora chi non ce l’ha”, ormai attribuito all’ex Presidente del Consiglio anche se il suo autore - stando alla storia - è Talleyrand.
Passando alla televisione, soprattutto nell’ultima parte della sua lunghissima carriera, Andreotti si è prestato anche ad una serie di spot pubblicitari; per Diners e per una nota compagnia telefonica italiana. Tuttavia l’esperienza sul piccolo schermo del Divo Giulio, oltre alle normali trasmissioni politiche, non si ferma qui. Sono infatti notissime le sue comparsate a vari eventi, dai Telegatti alle trasmissioni della domenica pomeriggio, passando per varietà satirici e show in prima serata.
La sua famosa autoironia, condita con una buona dose di cinismo gli permetteva di apparire in qualsiasi programma senza mai sembrare fuori posto o in imbarazzo, anzi, in molti casi, erano i presentatori che cercavano di metterlo in difficoltà a fare una pessima figura.
Quando si fa politica è meglio essere criticati che ignorati...per cui...
Sarà Paolo Sorrentino, nel 2008, a riportare il novantenne ex Presidente sulla ribalta cinematografica, dirigendo e presentando a Cannes, Il Divo, imperdibile biopic che, oltre a raccontare “La straordinaria vita di Giulio Andreotti” (tagline del film), traccia uno splendido (per quanto cupo) affresco dell’agonia della Prima Repubblica. Il film, infatti, prende spunto dal Processo Andreotti del 1992 per rileggere quarant’anni di storia d’Italia, passando attraverso il caso Sindona, la morte di Aldo Moro, Tangentopoli e il crollo dei partiti tradizionali.
Vogliamo lasciarvi così, con l’incredibile monologo di Toni Servillo, che nel film interpreta proprio Andreotti, in cui, a fine film, tratteggia un impareggiabile ritratto dell’eterna tensione fra bene e male che alberga in ogni vir politicus di levatura.
I francesi lo chiamano l’exercice de l’Etat, l’esercizio dello stato; Andreotti, come amava raccontare, in vita sua non ha mai fatto sport, tuttavia, se l’essere uomo di potere fosse una prova sportiva, Andreotti sarebbe stato di certo un campione olimpionico.
Livia, sono gli occhi tuoi pieni che mi hanno folgorato un pomeriggio andato al cimitero del Verano. Si passeggiava, io scelsi quel luogo singolare per chiederti in sposa – ti ricordi? Sì, lo so, ti ricordi. Gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sapevano, non sanno e non sapranno, non hanno idea. Non hanno idea delle malefatte che il potere deve commettere per assicurare il benessere e lo sviluppo del Paese. Per troppi anni il potere sono stato io. La mostruosa, inconfessabile contraddizione: perpetuare il male per garantire il bene. La contraddizione mostruosa che fa di me un uomo cinico e indecifrabile anche per te, gli occhi tuoi pieni e puliti e incantati non sanno la responsabilità. La responsabilità diretta o indiretta per tutte le stragi avvenute in Italia dal 1969 al 1984, e che hanno avuto per la precisione 236 morti e 817 feriti. A tutti i familiari delle vittime io dico: sì, confesso. Confesso: è stata anche per mia colpa, per mia colpa, per mia grandissima colpa. Questo dico anche se non serve. Lo stragismo per destabilizzare il Paese, provocare terrore, per isolare le parti politiche estreme e rafforzare i partiti di Centro come la Democrazia Cristiana l'hanno definita "Strategia della Tensione" – sarebbe più corretto dire "Strategia della Sopravvivenza". Roberto, Michele, Giorgio, Carlo Alberto, Giovanni, Mino, il caro Aldo, per vocazione o per necessità ma tutti irriducibili amanti della verità. Tutte bombe pronte ad esplodere che sono state disinnescate col silenzio finale. Tutti a pensare che la verità sia una cosa giusta, e invece è la fine del mondo, e noi non possiamo consentire la fine del mondo in nome di una cosa giusta. Abbiamo un mandato, noi. Un mandato divino. Bisogna amare così tanto Dio per capire quanto sia necessario il male per avere il bene. Questo Dio lo sa, e lo so anch'io.
[Il Divo, monologo finale.]